Buenos Aires – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 19 Aug 2025 20:00:44 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La Patagonia senza confini di Jorge González https://www.carmillaonline.com/2015/09/16/la-patagonia-senza-confini-di-jorge-gonzalez/ Tue, 15 Sep 2015 22:01:40 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24826 di Simone Scaffidi L.

1cf5e5497e015bcbb2c0657e3f84b58cJorge González, Cara Patagonia, 001 Edizioni, 2013, pp. 280, € 29,00

Di questo romanzo a fumetti, suggestiva commistione di finzione e storia della Patagonia, impressionismo e naturalismo, in Italia se n’è parlato troppo poco, come spesso accade alle opere dei grandi disegnatori e fumettisti internazionali. Uscito in Francia e Spagna nel 2011 è il secondo lavoro di Jorge González pubblicato in Italia (2013), preceduto da Fueye. Il suono del Tango (2009) – un racconto migrante e sottoproletario dove il pastello incontra il bandoneòn in un potente amplesso di colori [...]]]> di Simone Scaffidi L.

1cf5e5497e015bcbb2c0657e3f84b58cJorge González, Cara Patagonia, 001 Edizioni, 2013, pp. 280, € 29,00

Di questo romanzo a fumetti, suggestiva commistione di finzione e storia della Patagonia, impressionismo e naturalismo, in Italia se n’è parlato troppo poco, come spesso accade alle opere dei grandi disegnatori e fumettisti internazionali. Uscito in Francia e Spagna nel 2011 è il secondo lavoro di Jorge González pubblicato in Italia (2013), preceduto da Fueye. Il suono del Tango (2009) – un racconto migrante e sottoproletario dove il pastello incontra il bandoneòn in un potente amplesso di colori e musica – e seguito dal più recente Ritorno in Kosovo (2014) scritto a quattro mani con il disegnatore Jakupi Gani.

La storia – alla cui sceneggiatura hanno partecipato Horacio Altuna, uno dei maestri del fumetto argentino, e gli scrittori Hernán González y Alejandro Aguado – si dipana lungo un secolo, geograficamente frammentata tra la Terra del Fuoco, la provincia di Chubut e Buenos Aires. Si apre con una battuta di caccia contro gli indigeni Yamana e Ona da parte dei mercenari al soldo dei proprietari terrieri inglesi, nell’anno 1888. Prosegue narrando la Patagania Ribelle degli anarchici e la feroce repressione degli estancieros e dello Stato argentino negli anni ’20; per toccare la dittatura militare degli anni ’70 e arrivare ai giorni nostri, all’indebita appropriazione da parte delle grandi multinazionali degli sconfinati territori della Patagonia. Un viaggio dunque dal bene comune e condiviso delle risorse naturali alla proprietà privata dei ruscelli, degli animali e delle montagne.

– Vuoi portarti un fucile?
– Laggiù non si scherza. È terra di Benetton.

Nell’opera di González la Patagonia, terra di confine per antonomasia, è un mondo senza limiti e contorni finiti, come la natura, il vento che soffia e la storia taciuta delle popolazioni indigene che abitano queste lande estreme. Della volontà di sconfinare lo stereotipo ne è testimone il tratto che sfuma, rievocando le grandi tele di Turner – guardare per credere pagina 32 tra le altre – e la potenza espressiva del colore che a contatto con l’acqua sgorga insistenti sinestesie. Ciò che è visivo quando passa dalle mani di González riesce a trasformarsi in sensazione uditiva o tattile, assenza di rumore o esplosione di movimento. L’autore sembra voler abbatere il muro che separa le arti e i sensi per dissolvere nei contrasti di luce e colore un confine che è il prodotto di un’umanità vorace nell’affermare le barriere dell’identità e della proprietà.

– …Questi indios non vogliono capire che nessuno tocca le mie pecore.

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La violenza della natura viene diluita, ma non per questo smorzata, con la violenza dei colonizzatori, dello Stato e delle multinazionali, raggiungendo lo scopo di ridurre la purezza e l’immagine mitica dell’una e dell’altra esperienza. I disegni, grazie al meccanismo sinestetico a cui si è accennato, rievocano le parole di due dei più grandi narratori e esploratori della Patagonia, coloro che forse meglio di tutti riuscirono a raccontare la radicalità e le contraddizioni politiche e naturali di questa terra: il cileno Francisco Coloane e l’argentino Osvaldo Bayer, anche se a loro non piacerebbe vedere il proprio nome attraccato a una nazionalità.

Quella di González è una storia che, come gli iceberg che doppiano Capo Horn, s’immerge negli abissi della memoria e delle rimozioni per regalarci un’immagine dura e non monolitica della Patagonia. Dalle tavole emerge la complessità di una montagna nel mare, la cui vetta spianata dai venti è solo il preludio superficiale della somma di storie ben più profonde, colme di umanità e riscatto, violenza e sconfitta.

Jorge González (Dear Patagonia, pág. 85)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Severino Di Giovanni (Chieti, 1901 – Buenos Aires, 1931) https://www.carmillaonline.com/2014/02/05/severino-di-giovanni-chieti-1901-buenos-aires-1931/ Tue, 04 Feb 2014 23:02:23 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=12338 di Simone Scaffidi Lallaro

severino di giovanni 1Il 10 giugno 1924 una squadra fascista capitanata da Amerigo Dumini sequestra e uccide il segretario del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti, reo di aver denunciato alla Camera i brogli elettorali e le bastonate delle milizie fasciste. Un anno dopo, dall’altra parte dell’oceano, il paese che ospita la comunità di immigrati italiani più grande del mondo si prepara a festeggiare il venticinquesimo anniversario della salita al trono di Vittorio Emanuele III. Al teatro Colón di Buenos Aires tutto è pronto per la festa, allestita dalla delegazione del Fascio. La banda [...]]]> di Simone Scaffidi Lallaro

severino di giovanni 1Il 10 giugno 1924 una squadra fascista capitanata da Amerigo Dumini sequestra e uccide il segretario del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti, reo di aver denunciato alla Camera i brogli elettorali e le bastonate delle milizie fasciste. Un anno dopo, dall’altra parte dell’oceano, il paese che ospita la comunità di immigrati italiani più grande del mondo si prepara a festeggiare il venticinquesimo anniversario della salita al trono di Vittorio Emanuele III. Al teatro Colón di Buenos Aires tutto è pronto per la festa, allestita dalla delegazione del Fascio. La banda si appresta a eseguire l’inno di Mameli mentre le dame e i signori borghesi scalpitano impazienti dentro i loro vestiti migliori. La marcia parte e all’improvviso dalle prime file della platea si alza un grido: “Assassini! Ladri! Viva Matteotti!”, corredato da una fitta pioggia di volantini che investe le guardie fasciste.

La caccia all’uomo ha inizio, volano cazzotti e spintoni. Nel parapiglia generale, l’ambasciatore italiano Luigi Aldrovandi Marescotti, conte di Viano, afferra un volantino piovuto dai piani superiori. Il nervosismo lo pervade, il pensiero vola a Mussolini e alle sue supreme direttive: consolidare l’immagine del regime fascista in Argentina. Non ha nessuna voglia di leggerlo, vorrebbe strapparlo, ma un ragazzotto biondo lo libera dalla dovuta incombenza facendo vibrare con le sue urla i manganelli delle camicie nere:

«… Santificatori della monarchia Sabauda avete dimenticato che proprio sotto il regno di Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà… di pochi Re d’Italia; sorse, si alimentò nel sangue, quell’accozzaglia di briganti che si chiamano i FASCISTI… con tutti i suoi Dumini, i Filippelli, i Rossi, i De Vecchi, i Regazzi, i Farinacci… e che trova in Benito Mussolini la più precisa e perfetta raffigurazione di tutte le infamie… Glorificatori della Monarchia appuntellata dal pugnale dei Dumini scrivete nella storia della Casa Savoia questo nome glorioso: Matteotti! Ricordate i 700 assassinati nel 1898 dai cannoni di Umberto il Buono. W la mano di Bresci!…»

severino di giovanni 2Dal 6 al 9 marzo 1898 a Milano, l’esercito regio di Umberto I, comandato dal generale Bava Beccaris, scaricava la sua artiglieria sulla piazza gremita di operai provocando una carneficina. Due anni più tardi e due mesi prima della nascita di Severino di Giovanni, l’anarchico Gaetano Bresci tornava in Italia dall’America per vendicare i massacri del regno d’Italia, quelli siciliani del 1894 e quelli milanesi del 1898. Il 29 luglio 1900 sotto i colpi della sua rivoltella cadeva Re Umberto I, soprannominato il “re Buono”.

Il biondo del teatro Colón di Buenos Aires si chiama Severino di Giovanni. È un tano[1], arrivato in Argentina da meno di tre anni e già entrato nei registri della polizia bonaerense a seguito di questa azione. Nel 1922 ha 21 anni quando lascia l’Abruzzo e s’imbarca per l’America con la moglie Teresina e i suoi figli. Non sogna il Nuovomondo, sa che per quelli come lui la vita è dura su entrambe le sponde dell’Atlantico. Decide di partire perché non tollera l’avanzare del fascismo e il crescere della repressione nei confronti degli anarchici. Oltreoceano diventa presto uno dei massimi esponenti della corrente illegalista dell’anarchismo argentino. Sostiene la campagna internazionale di solidarietà agli anarchici Sacco e Vanzetti con gli articoli pubblicati sul suo giornale “Culmine” e con ripetuti assalti alle banche. Crede ferventemente nella legittimità di queste azioni. Sulla sua scrivania c’è scritta una frase di Fichte:

«chi non ha il necessario per vivere non deve riconoscere né rispettare la proprietà degli altri: i principi del contratto sociale sono stati violati a suo sfavore»

I soldi ricavati dai colpi messi a segno servono per finanziare il sostentamento delle famiglie dei compagni arrestati, la propaganda libertaria a mezzo stampa e il suo ambizioso progetto di pubblicare l’opera completa di uno dei suoi autori preferiti: il geografo pacifista e anarchico Élisée Reclus.

Solcando le strade degli espropri e dell’illegalismo di terra argentina Severino incontrerà diversi anarchici europei, tra cui Buenaventura Durruti – protagonista della Guerra Civile spagnola del ’36 – con il quale condividerà alcune azioni. Ma non tutto il movimento anarchico argentino accetta le pratiche illegaliste di Severino. Men che meno quando queste provocano morti o feriti innocenti e inaspriscono la repressione nei confronti degli anarchici. È il caso della bomba alla National City Bank, ventitré feriti e due morti, e dell’ordigno esploso al Consolato italiano, nove morti, di cui sette fascisti italiani, e trentaquattro feriti.

A seguito di queste azioni Severino diventa il nemico pubblico numero uno della Repubblica Argentina e viene violentemente attaccato da alcuni esponenti del movimento anarchico bonaerense. Al sentirsi accusare di fascismo Severino s’infuria. L’invettiva arriva dalle colonne del quotidiano anarchico “La protesta” e più precisamente dalle penne di Lopez Arango e Diego Abad Santillan (dirigente della CNT e della FAI durante la Guerra Civile spagnola). È l’inizio di una profonda frattura che attraverserà il movimento libertario argentino e lo porterà allo sfacelo. López Arango viene assassinato e l’autore del misfatto è con tutta probabilità Severino di Giovanni. L’anno successivo lo stesso Severino chiede, con una lettera inviata a Luigi Fabbri – insieme a Malatesta la figura più riconosciuta dell’anarchismo internazionale dell’epoca –, che le azioni da lui portate a termine vengano giudicate a seguito degli attacchi de “La Protesta”. Il tribunale anarchico che si formerà e al quale prenderà parte anche Hugo Treni (alias Ugo Fedeli) giudicherà le pesanti accuse contro Severino infondate anche se molti compagni non giustificheranno mai l’assassinio di Arango.

Braccato dalla polizia e consigliato dai compagni decide di fuggire dall’Argentina destinazione Francia. Solo che la ragazza di cui è innamorato, América Scarfò, non è ancora maggiorenne e non può lasciare il paese senza l’autorizzazione dei genitori. Severino s’improvvisa così regista di teatro e mette in scena un’opera buffa che si prende allo stesso tempo gioco della morale borghese e dei dogmi cattolici. Convince un compagno anarchico, Silvio Astolfi, a fidanzarsi fittiziamente con América e ad andare a casa sua ogni giorno per corteggiarla. Iniziano così le pratiche tradizionali che avrebbero portato i due ragazzi al matrimonio. I genitori si convincono della genuinità del loro amore e concedono a Silvio Astolfi di sposare América. Pochi mesi più tardi il sacramento si consuma.


severino di giovanni 3Ora con il consenso del marito la sposa può espatriare. Il loro viaggio di nozze dura il tempo di una corsa in macchina per arrivare da Severino che li aspetta fuori città con delle rose rosse in mano. In questo periodo, nonostante il cerchio intorno a lui si faccia sempre più stretto Severino trascorre probabilmente i mesi più sereni della sua vita insieme ad América. È a un passo dalla fuga e dalla rinascita in Francia, dove i compagni italiani espatriati lo aspettano. Ma accade un imprevisto: il fratello della sua compagna viene incarcerato. Severino non se la sente di fuggire in Europa senza aver prima liberato il compagno di idee e di tanti colpi. Insieme a Paulino Scarfò, fratello di América e Alejandro, tenta l’ultimo colpo in terra argentina ma fallisce. Il tempo stringe e a peggiorare la situazione ci si mette l’inasprirsi della repressione dettata dalla conquista del potere del dittatore Uriburu.

La sera del 30 gennaio 1931 la tipografia di Gennaro Bontempi è circondata dai poliziotti, Mario Vando (alias Severino di Giovanni) esce allo scoperto e si accorge del pericolo. Inizia una corsa forsennata, seguita da una sparatoria che costerà la vita a una bambina e a un poliziotto. Anche Severino è a terra ma non è morto. Forse si è sparato da solo, forse l’hanno colpito. Il giorno successivo viene processato. La difesa è affidata a un tenente dell’esercito che metterà in discussione le accuse mosse nei confronti dell’anarchico e per questo si guadagnerà l’esilio forzato in Paraguay.

La mattina del 1 febbraio 1931 sembra di essere tornati indietro di sei anni, a quel teatro Colón allestito a festa dai fascisti. Gli invitati sono gli stessi: dame e signori borghesi che scalpitano impazienti dentro i loro vestiti migliori. I militari argentini preparano il palcoscenico. Severino entra in scena. Risa e scherni. Ha gambe e braccia legate. Lo legano alla sedia con delle corde per evitare che il cadaveri si afflosci a terra una volta colpito a morte. Il plotone si schiera davanti a lui. Un ultimo grido: «Viva l’anarchia!» e si chiude il sipario. Gli spettatori tornano nelle loro case accoglienti e intanto la storia di Severino vola da una parte all’altra dell’oceano.

Il giorno dopo nello stesso modo ammazzeranno Paulino Scarfò, le sue ultime parole saranno le stesse di Bartolomeo Vanzetti: «Signori, buona notte, viva l’anarchia!»

 

 

[1] Tano, tanos: termine con il quale venivano chiamati gli immigrati italiani in argentina, da napolitano/s.

 

Per approfondimenti

O. Bayer, Severino di Giovanni, Agenzia X, 2011.

O. Bayer, Severino di Giovanni«Carmilla», 10 dicembre 2011.

C. Cattarulla, Anarchici italiani in Argentina: Severino di Giovanni, «DEP – Deportate, esuli, profughe», 11, 2009, p. 81-93.

V. D’Andrea, Viva l’anarchia!«Adunata dei Refrattari», 28 marzo 1931[traduzione inglese].

A. Prunetti, America, «Carmilla», 13 settembre 2006.

G. A. Stella, Severino di Giovanni, storia d’amore e d’anarchia, «Corriere della Sera», 31 dicembre 1999.

Sur Blog, L’esecuzione di Severino di Giovanni, «Sur Blog», 14 dicembre 2011.

 

Approfondimento musicale

O. Bayer & Quinteto Negro La Boca, Milonga para Severino

 

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