Bill Clinton – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 I don’t live today: scene dalla guerra di classe in America (e non solo) https://www.carmillaonline.com/2020/06/24/i-dont-live-today-scene-dalla-guerra-di-classe-in-america-e-non-solo/ Wed, 24 Jun 2020 21:01:44 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=60919 di Sandro Moiso

Will I live tomorrow? Well I just can’t say But I know for sure I don’t live today (I don’t live today – Jimi Hendrix, 1967)

“Certo che c’è la guerra di classe, ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che la sta facendo e la stiamo vincendo.” (Warren Buffett, 2006)

Gli eventi delle ultime settimane negli Stati Uniti hanno sicuramente costituito un severo monito, soprattutto per chi, come il finanziere Warren Buffett, uno dei tre uomini più ricchi del mondo, poteva crogiolarsi in un illusoria [...]]]> di Sandro Moiso

Will I live tomorrow?
Well I just can’t say
But I know for sure
I don’t live today

(I don’t live today – Jimi Hendrix, 1967)

“Certo che c’è la guerra di classe, ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che la sta facendo e la stiamo vincendo.” (Warren Buffett, 2006)

Gli eventi delle ultime settimane negli Stati Uniti hanno sicuramente costituito un severo monito, soprattutto per chi, come il finanziere Warren Buffett, uno dei tre uomini più ricchi del mondo, poteva crogiolarsi in un illusoria vittoria definitiva della propria classe su quella degli oppressi.
Le notizie di tali eventi hanno fatto rapidamente il giro del mondo e, esattamente come le lotte contro la guerra in Vietnam degli anni Sessanta, hanno infiammato le piazze dei paesi occidentali e di altri continenti.

La forza delle manifestazioni, il timore suscitato dal loro rapido diffondersi, la capacità di risposta politica dimostrata dai manifestanti (in grado di utilizzare tanto la violenza quanto l’abilità di influenzare mediaticamente e politicamente l’opinione pubblica nazionale e internazionale), la strategia messa in atto collettivamente nelle strade e nelle piazze hanno costituito una brutta sorpresa per un potere politico e finanziario che da anni si pensava ormai vincitore nel confronto con i subordinati di ogni colore e credo.

La richiesta improvvisa e radicale dello scioglimento delle forze di polizia o almeno di un loro radicale ridimensionamento e di una sostanziale revisione dell’uso della forza ad esse consentito è stato un passo di portata storica, non soltanto per i movimenti americani ma anche per quelli che in ogni angolo del mondo si oppongono ormai da anni alle violenze poliziesche e, più in generale, dello Stato nei confronti di chi difende, sul fronte opposto, gli interessi di classe, ambientali, di genere e appartenenza culturale e etnica. Defund the police è diventato uno slogan politico che potrebbe avere, anche qui da noi, una funzione niente affatto secondaria per rilanciare il dibattito pubblico sul ruolo attivo delle forze dell’ordine nella repressione sociale e nella creazione di autentici casi giudiziari, come ad esempio in Val di Susa nei confronti del movimento NoTav.

La sorpresa con cui è stata accolta la richiesta da diverse amministrazioni locali statunitensi, la confusione in cui sono rimasti intrappolati i vertici militari e politici manifestano non soltanto un vacuo ‘pentimento’ per le violenze subite da secoli dalla comunità afro-americana, ma anche la crisi sociale, politica ed economica in cui si dibatte ormai da tempo la maggior potenza imperialista dell’Occidente. Una crisi di cui abbiamo parlato già più volte su Carmilla, destinata inevitabilmente a sfociare in un nuovo conflitto globale per il contollo dell’economia planetaria oppure in una nuova guerra civile di cui da tempo si parla negli ambienti politici e culturali statunitensi. Guerra civile che già da anni ispira, anche soltanto metaforicamente, molte trame della produzione letteraria, cinematografica e fumettistica statunitense.

Guerra civile a venire (o forse già in atto) che ha prodotto un immaginario che già la “comprende” e che, a sua volta, spinge, nemmeno più troppo inconsciamente, verso una sua concreta deflagrazione.
Guerra civile che, proprio in quanto tale, non può essere animata e agita da due soli attori, come la concezione tradizionale dello scontro di classe vorrebbe. Le guerre civili infatti decidono di come le società e le economie dovranno essere ristrutturate una volta concluse e una volta emerso il vincitore.

Così fu per la guerra civile americana, durante la quale il presidente repubblicano Abramo Lincoln guidò la costruzione di un’America industriale sulle ceneri di un’altra America agricola, schiavista e dipendente dalle esportazioni verso l’impero britannico. In cui la questione della schiavitù e dell’oppressione divenne dirimente soltanto a partire dal 1863, con il proclama con cui il presidente del Nord abolì la stessa nella speranza che la rivolta degli schiavi mettesse in crisi il Sud, fino ad allora vincente nello scontro militare. Vittoria finale del Nord cui la classe operaia dello stesso, anche sotto l’invito dei socialisti ispirati da Karl Marx e Friedrich Engels, aveva dato un significativo contributo in termini di arruolamento e partecipazione, non tanto per la liberazione degli schiavi afro-americani, quanto piuttosto a favore di uno sviluppo industriale nazionale che permettesse e favorisse lo sviluppo della stessa classe e il miglioramento delle sue condizioni di vita e di partecipazione democratica alla vita politica nazionale.

Ecco, proprio quella guerra civile ci permette di cogliere l’essenza di tutte le guerre civili: più attori in lotta sullo stesso campo, divisi oppure uniti da interessi che talvolta coincidono e ancor più spesso divergono.
Capitalisti industriali del Nord, banchieri, grandi proprietari terrieri del Sud, piccoli proprietari terrieri degli Stati confederati, schiavisti, abolizionisti, afro-americani schiavi oppure liberi nelle principali città del Nord, operai industriali, socialisti, repubblicani, democratici (questi ultimi all’epoca rappresentanti della proprietà terriera del Sud) furono infatti gli attori principali di quel dramma.

La vittoria dei primi dell’elenco delineò il destino di grande potenza degli Stati Uniti, gli schieramenti politici successivi, gli allineamenti di classe rispetto agli interessi nazionali, odii e conflitti mai rimarginati ma, soprattutto, non risolse il problema della sottomissione degli afro-americani al potere bianco che, comunque, da quella guerra non fu minimamente scalfito o indebolito, ma piuttosto rafforzato da alleanze (ad esempio quello tra gli interessi economici del gran capitale e quelli dell’aristocrazia operaia del Nord) semplicemente impensabili prima di allora.

No sun comin’ through my windows
Feel like I’m livin’ at the bottom of a grave

(I don’t live today – Jimi Hendrix, 1967)

Anche la Grande Crisi degli anni Trenta non contribuì ad un ravvicinamento tra gli interessi dei lavoratori, dei piccoli contadini bianchi impoveriti e quelli della comunità afro-americana. Troppo vicine risultavano, soprattutto al Sud, le ferite lasciate ancora aperte dalla guerra civile; troppo nazionalista risultava ancora la politica di una sinistra americana che incoraggiava gli operai bianchi a partecipare allo sforzo collettivo in vista dello scontro militare con le potenze del male, rappresentate all’epoca da Germania, Italia e Giappone (anche se ai vertici dell’establishment economico e politico statunitense non poche erano le simpatie per quei regimi politici) mentre lo stalinismo spingeva i ‘neri’ alla creazione di un proprio stato autonomo nel Sud degli Stati Uniti, basato unicamente sul presupposto della maggior presenza di discendenti degli schiavi, in stati come l’Alabama, la Georgia e il Mississippi, rispetto alla popolazione ‘bianca’.

In realtà la crisi della segregazione razziale ebbe inizio soltanto un secolo dopo, negli anni Sessanta del ‘900, a seguito di una crisi di coscienza politica sviluppatasi tra gli anni della Nuova Frontiera di kennedyana memoria e la critica del macello imperialista in Vietnam, che vide comunque protagonisti, oltre agli afro-americani, gli studenti, gli intellettuali e una parte dei reduci di quella guerra più che i lavoratori della classe operaia o della classe media bianca. Ancor aggrappati, questi ultimi, ad un sogno americano che per gli altri andava rapidamente disfacendosi nella repressione poliziesca dei movimenti giovanili, nei ghetti delle metropoli e nelle paludi del Sud-est asiatico. Soltanto là dove la componente afro-americana era predominante, come nel caso di Detroit, la classe operaia bianca si unì ai neri nella lotta, che ebbe comunque sempre al suo centro rivendicazioni inerenti l’autonomia di classe, il lavoro e le sue condizioni salariali ancor più che i diritti civili1.

La vera novità di queste ultime settimane, invece, è data dal fatto che le proteste hanno coinvolto soggetti diversi, sia dal punto di vista etnico-culturale che di classe, vedendo uniti nelle protesta la comunità afroamericana (che rappresenta circa il 12% della popolazione statunitense) insieme a quella ispanica, nativa americana, asiatica e almeno ad una parte di quella bianca. Un fatto sicuramente inedito per le proporzioni che ha raggiunto nella partecipazione alle proteste.

D’altra parte l’omicidio del quarantaseienne George Floyd, seguito a distanza di pochi giorni da quello del ventisettenne Rayshard Brooks da parte della polizia di Atlanta sono stati non soltanto gli ultimi casi di una catena di violenze e prevaricazioni di cui la comunità afroamericana e vittima da sempre, ma anche le classiche gocce che hanno fatto traboccare un vaso già colmo.

La crescita abnorme delle disuguaglianze sociali nel corso dell’ultimo decennio ha cancellato molte certezze su presente e futuro di singoli e famiglie. La precarizzazione delle vite dei lavoratori e l’impoverimento della middle class sono state ulteriormente aggravate dall’epidemia di Covid-19 che ha colpito in maniera sproporzionata la popolazione nera e, in genere tutte le fasce più deboli della popolazione. Creando le condizioni per una tempesta perfetta.

Al 21 giugno gli Stati Uniti risultano essere infatti il paese maggiormente colpito dall’epidemia con con 2.255.119 casi e 119.719 decessi. In un contesto in cui il settore dell’assistenza sanitaria costituisce:

il più grosso fallimento del sistema economico americano. Un disastro che, oltre a provocare un numero infinito di drammi individuali, lacera pericolosamente il tessuto sociale mettendo con le spalle al muro un ex ceto medio già molto impoverito e accentua ulteriormente le disuguaglianze estreme dell’America del Ventunesimo secolo. E quando le disuguaglianze si misurano non con gli squilibri di reddito ma con la differenza tra vivere e morire, le cose, evidentemente, cambiano.[…] I racconti commoventi o che suscitano rabbia sono infiniti: Pazienti in lotta con il cancro che si sono visti negare la chemioterapia per via di una polizza sanitaria che copriva solo il primo ciclo; malati terminali costretti, tra mille sofferenze, a combatter con i call center della propria assicurazione per negoziare qualche rimborso; migliaia di famiglie andate in bancarotta perché non in grado di pagare il prezzo esorbitante dei trattamenti medici erogati dal pronto soccorso. Il motivo è che in America, oltre alle aziende, possono dichiarare fallimeto anche i singoli individui: l’impossibilità di far fronte alle spese mediche è la prima causa di bancarotta2

Immaginiamo come tutto questo si sia incrociato con la pandemia e aggiungiamo il video di nove minuti girato da una ragazza di 17 anni che in poche ore ha fatto il giro del mondo con un effetto dirompente e, circa 48 ore dopo, il fuoco che ha distrutto il terzo distretto di polizia a Minneapolis, che ha invece prodotto l’immaginario della protesta contro le ingiustizie e il razzismo.

“Col passare dei giorni e delle settimane, la narrazione della vera natura della rivolta continuerà a essere discussa” scrive un cronista che ha seguito da vicino la prima settimana a Minneapolis. “[…] Non puoi fare un censimento durante una rivolta, ma il mio resoconto personale è che i giovani in prima linea sono stati sproporzionatamente neri e marroni, per lo più non affiliati a un’organizzazione ufficiale.“
Ma la vera importante novità sono le seconde linee: li’ trovi anche ispanici, latinos, bianchi, asiatici, nativi americani, donne e persone anche anziane3.

A tutto ciò va poi ancora aggiunto che:

Tra il 1998 e il 2015 gli stabilimenti manifatturieri negli Stati Uniti sono passati da 366.249 a 292.825; soprattutto, il numero delle fabbriche con più di 1000 dipendenti si è quasi dimezzato
(da 1504 a 863) e quello delle fabbriche con 500-999 dipendenti si è ridotto di un terzo (da 3322 a 2072). A sua volta il numero dei posti di lavoro nel settore manifatturiero è passato da 18.640.000 alla fine del 1980 a 17.449.000 nel dicembre 1998, a 12.809.000 nel dicembre 2018, mentre la popolazione passava da poco più di 227 milioni nel 1980 a quasi 276 milioni nel 1998 e a 327 milioni nel 20183.
La seconda rivoluzione industriale aveva creato le grandi città statunitensi, la terza le ha distrutte.
[…] Tra il 1975 e il 2017 il PIL reale degli Stati Uniti è passato da quasi 5500 miliardi a poco più di 17.000 miliardi e la produttività è cresciuta di circa il 60%, ma i salari orari reali di gran parte dei lavoratori sono rimasti invariati o si sono addirittura abbassati. In altre parole, «per quasi quattro decenni una minuscola élite si è accaparrata quasi tutti i guadagni derivanti dalla crescita economica». Il che testimonia, tra l’altro, che i partiti che si sono alternati al potere negli ultimi decenni – «la politica», con poche eccezioni individuali – hanno avuto la non volontà di legiferare a protezione degli strati mediobassi, cioè della maggioranza della popolazione, e hanno mostrato subalternità agli interessi della piccola minoranza dei potentati economici e finanziari.

L’impressionante aumento di ricchezza dei ricchi[…](ha) cancellato molte certezze su presente e futuro di singoli e famiglie. E l’insicurezza prolungata ha prodotto a sua volta estraniamento, isolamento e disperazione. I suicidi sono aumentati del 24% tra il 1999 e il 2014; nello stesso arco di tempo, il tasso di suicidi è cresciuto del 63% per le donne tra i 45 e i 64 anni e del 43% per gli uomini della stessa età. Il loro numero è passato da 29.199 del 1999, a 42.773 del 2014, a 47.173 nel 2017 (quando le morti per alcol e droghe sono state più di 100.000). Infine, il fatto che l’arricchimento dei ricchi sia continuato durante la cosiddetta Grande recessione iniziata nel 2008, ha generato nuove frustrazioni, suscitato risentimenti e minato i pilastri della stessa tradizionale fiducia degli statunitensi nella loro democrazia in quanto prassi sociale informale e condivisa, prima ancora che impalcatura istituzionale.4

A questo punto è facile comprendere come le proteste e i riot che sono seguiti al brutale omicidio di George Floyd in quasi tutti gli stati della federazione, vanno ben oltre la pur fondamentale lotta contro la discriminazione razziale e pongono, invece e in maniera lampante, una questione socio-politica che, forse per la prima volta nella storia americana, potrebbe unificare le differenti componenti etniche in unico, autentico melting pot di classe.

Naturalmente, si è cercato fin da subito di vedere nelle rivolte un complotto dei suprematisti bianchi (tornando all’inveterata tradizione degli opposti estremismi che serve sempre a dipingere come fascista o populista qualsiasi forma di lotta non immediatamente inquadrabile nelle maglie istituzionali)5, ma è indubbio che la pressione sociale negli USA è salita a livelli critici a causa della crisi economica da Covid-19, che ha prodotto nel giro di poche settimane un aumento vertiginoso di richieste di nuovi sussidi di disoccupazione, aumentate di circa 40 milioni.

Anche se la maggioranza dei nuovi disoccupati è probabilmente da ricercare nei settori lavorativi contraddistinti dal precariato e vedono coinvolti soprattutto lavoratori e lavoratrici appartenenti alle minoranze etniche e ai millennial bianchi (i quali ultimi hanno visto ridursi del 16% le loro possibilità occupazionali soltanto tra marzo e aprile6), è altrettanto indubbio che tale situazione ha aperto un ulteriore baratro di fronte agli occhi di quella classe media bianca, operaia e non, che già dal 2008 ha imparato cosa significhi perdere rapidamente non solo il posto di lavoro, ma anche la casa e qualsiasi altro tipo di garanzia sociale ed economica (risparmi e investimenti nei fondi pensionistici privati in primis).

Ecco allora che se nel Michigan lavoratori e miliziani bianchi armati avevano occupato il parlamento dello Stato armi alla mano, nei giorni successivi alcuni gruppi di boogaloo boys (militanti di formazioni armate di varia natura e non sempre apparteneti soltanto alla destra bianca) hanno manifestato solidarietà con la morte di George Floyd, in nome di una comune lotta (boogaloo è, né più né meno, che un sinonimo gergale per guerra civile) contro lo Stato federale, le sue leggi, i suoi apparati di sicurezza e la sua volontà di controllare la diffusione delle armi a discapito del secondo emendamento della Costituzione americana7.

Certo in tale manifestazione di “solidarietà” sono rintracciabili elementi di opportunismo e di provocazione, forse solo un autentico bluff, ma non dimentichiamo mai che, soprattutto tra le frange impoverite dei piccoli farmers tali posizioni estreme, di destra e armate, hanno preso piede da decenni8 proprio a partire dal venir meno di qualsiasi speranza in un ulteriore miglioramento delle proprie condizioni economiche a seguito di un sempre maggior indebitamento nei confronti delle banche, oggi accompagnato spesso dai danni causati in molti territori, ancora utilizzati per l’agricoltura e l’allevamento, dalla pratica del fracking, ovvero della fratturazione idraulica del sottosuolo per la ricerca e l’estrazione del petrolio e dello shale gas.

E’ una geografia politica, mentale e spaziale estremamente frantumata quella degli Stati Uniti attuali.
Un mosaico impressionista di emozioni, rivendicazioni, miseria e rabbia che spesso assume i contorni della dichiarazione di zone liberate. Dalla attuale Zona Autonoma di Capitol Hill a Seattle alla ciclica dichiarazione di indipendenza di zone rurali, caratterizzate dalla rivolta contro il prelievo fiscale e l’austerity di stampo governativo, che hanno contraddistinto la storia della federazione americana dalla Shay’s Rebellion del 3 febbraio 1787 fino ai giorni nostri9.

Stiamo attenti, molto attenti, la creazione di un fronte comune tra bianchi impoveriti, armati e arrabbiati e movimenti afro-americani, ispanici o altri ancora è altamente improbabile, ma come scriveva l’ultimo maestro dello haiku: Eppure, eppure10.
La situazione negli USA è altamente esplosiva e sicuramente i vertici politici, finanziari e militari del paese non possono escludere alcuna possibilità di sollevamento e rivolta sociale. Non a caso gli stessi vertici sembrano aver formalmente “abbandonato “ Trump per concedere ai movimenti ben più di quanto il presidente avrebbe voluto (ovvero nulla o quasi), mentre continua ad abbaiare il suo slogan di Law and Order e le sue minacce di dieci anni di galere per chi imbratta o abbatte le statue del passato colonialista e schiavista.

Lo stesso presidente, però, è ben conscio della situazione altamente instabile con cui ha a che fare e, dal chiuso del suo bunker assediato non solo metaforicamente, non smette di soffiare sull’unica risorsa che gli rimane, almeno apparentemente, per vincere le prossime elezioni: ovvero quello del razzismo e dell’odio viscerale che molti lavoratori, piccoli proprietari agricoli e membri impoveriti di una classe media un tempo fiorente, nutrono nei confronti delle banche, dello Stato federale e di una upper class di cui lo stesso Trump è, in fin dei conti, il più agguerrito rappresentante.

L’elastico delle contraddizioni sociali è ormai teso allo spasmo e qualsiasi errore tattico da parte della classe al potere e dei suoi apparati militari e repressivi potrebbe tracimare in uno scontro il cui finale sarebbe ancora tutto da scrivere. Non a caso Obama, sotto la cui presidenza gli omicidi di afro-americani non sono certo diminuiti, e tutto l’apparato del Partito Democratico spingono per cercare di racchiudere la protesta in un ambito puramente elettorale, in cui la questione dei diritti civili sia l’unica componente unificante.

Fin dalla seconda metà dell’Ottocento, a proposito dei lavoratori irlandesi sfruttati dai padroni e maltrattati dagli operai inglesi, Marx aveva ammonito i secondi, affermando che chi non è in grado di difendere i diritti altrui non è neppure in grado di difendere poi i propri. E tale monito deve continuare a splendere come una stella polare per chiunque abbia a cuore la trasformazione e il superamento del modo di produzione vigente, ma allo stesso tempo occorre che chi vuole lottare efficacemente contro lo stesso tenga presenti tutte le contraddizioni e i bisogni che lo stesso suscita tra segmenti diversi di classe e/o di classi sociali differenti.

Per fare uno scomodo esempio, riferibile all’attuale situazione italiana, sia durante l’epidemia da Covid, con l’obbligo di lavorare per i dipendenti di migliaia di imprese che non si sono mai fermate, che dopo, è qui utile ricordare quanto affermato Sergio Bologna in una recente intervista:

Bisogna inquadrare il problema nella crisi generale della middle class, il richiamo al binomio catena di montaggio/rifiuto del lavoro non serve. I giochi sono cambiati, la classe operaia industriale, si tratti di Rust Belt americana o di Bergamo e Brescia, è uno dei terreni di coltura del populismo trumpista o leghista. Qualcuno pensa di evangelizzarli predicando l’amore cristiano per i migranti, ma bisogna proprio avere la mentalità da Esercito della Salvezza per essere così imbecilli. Lì si tratta di riaprire il conflitto industriale, il tema della salute riproposto dal coronavirus può essere il perno su cui far leva.11

Ecco: il conflitto, industriale e/o sociale, può essere il terreno di coltura di una nuova e allargata strategia di classe che veda finalmente riuniti i differenti temi che agitano le rivolte di ogni tipo in nome di un superamento dell’esistente e non del suo mantenimento in vita in chiave green o pseudo-democratica e liberal. A costo di riprendere l’unico illuminista in grado di proiettarsi oltre l’Illuminismo, Jean Jacques Rousseau, occorre ancora ricordare che l’unica vera disuguaglianza tra gli uomini è quella economica, tra chi ha e chi non ha12. E che da questa, fondamentale a partire dall’invenzione della proprietà privata della terra e dei mezzi di produzione, derivano tutte le altre.

Superare la prima significherà travolgere le altre, anche se secoli di abitudini sedimentate e di incrostazioni ideologiche e religiose avranno bisogno di un certo tempo per essere cancellate del tutto. Cercare di farlo significa però, in maniera tutt’altro che utopistica, cercare di riunificare ciò che il capitale e lo Stato tendono continuamente a dividere per distogliere la rabbia dal conflitto reale e volgerla ad uno più utilmente sfruttabile ai fini del mantenimento dei rapporti di forza attuali tra le classi.

Come ha recentemente affermato Angela Davis:

“Dal mio punto di vista la cosa più importante è cominciare a esprimere idee su come far evolvere il movimento”. Naturalmente si tratta di un aspetto difficile da analizzare nel fervore di una protesta che si sta diffondendo in tutto il mondo. Tuttavia, per Davis è importante capire che l’incendio di un commissariato a Minneapolis o la rimozione della statua di Edward Colston a Bristol non sono la risposta definitiva. “A prescindere da quello che pensano le persone, questi gesti non porteranno un cambiamento reale”, spiega riferendosi alla rimozione della statua. “Ciò che conta è l’organizzazione, il lavoro. Bisogna continuare a lavorare, a organizzarsi per combattere il razzismo, a trovare nuovi modi per trasformare le nostre società. Solo così si può fare la differenza”.[…] Di recente Nancy Pelosi, presidente della camera dei deputati, e alcuni suoi importanti colleghi di partito hanno indossato indumenti di kente, un tessuto tipico ghaneano che gli era stato regalato dai rappresentanti afroamericani del congresso. Il loro obiettivo era mandare un messaggio ai cittadini neri, una base elettorale decisiva su cui il candidato democratico alla presidenza Joe Biden non riesce a far presa. “Lo hanno fatto solo perché vogliono stare dalla parte giusta della storia, ma non è detto che vogliano anche fare la cosa giusta”, risponde Davis con un certo distacco13.

Sia Trump che i democratici stanno soffiando su un fuoco che, però, non è soltanto elettorale, visto che chiunque dei due vinca alle prossime elezioni, avrà grosse difficoltà nel mantenere le promesse fatte e in ogni caso dovrà fare i conti con una rabbia sempre meno celata e sempre meno rimovibile dalle coscienze.

Abbiamo, come già affermato, qui su Carmilla nella serie di articoli sull’Epidemia delle emergenze14, una grande possibilità da cogliere oggi, in America e non solo, a patto di non ridurre il tutto ad una serie di sardineschi inchini e saper invece affrontare la catastrofe che già è in corso, di qua e di là dell’Atlantico.
Perché l’impossiblità di vivere oggi, per la maggior parte della specie umana, è anche la vera ragione della nostra insopprimibile forza.

I don’t, live today
Maybe tomorrow, I just can say
But a, I don’t live today
It’s such a shame to waste
your time away like this
Existing


  1. Sull’eperienza del DRUM (Dodge Revolutionary Union Movement) si veda qui  

  2. M. Gaggi, Crack America. La verità sulla crisi degli Stati Uniti, RCS Media Group, Milano 2020, pp. 57-59  

  3. https://www.infoaut.org/conflitti-globali/dollari-e-no-gli-stati-uniti-dopo-la-fine-del-secolo-americano-intervista-a-bruno-cartosio  

  4. B. Cartosio, Dollari e no. Gli Stati Uniti dopo la fine del «secolo americano», DeriveApprodi, Roma 2020, pp. 6 – 23  

  5. Come ha affermato il governatore del Minnesota in un articolo di R.J. Armstrong, Minneapolis senza pace: dietro la rivolta, la mano dei suprematisti, la Repubblica, 30 maggio 2020  

  6. F. Rampini, “Generazione sfortunata”. E i Millenial bianchi si saldano alla rivolta, la Repubblica, 9 giugno 2020  

  7. Si veda R. Menichini, Camicie hawaiane e mitra: la destra dei “Boogaloo Bois” in piazza per Floyd (e per la seconda guerra civile), la Repubblica, 16 giugno 2020 oppure anche https://www.bellingcat.com/news/2020/05/27/the-boogaloo-movement-is-not-what-you-think/  

  8. Si pensi soltanto al bellissimo film Betrayed (Tradita), diretto da Costa-Gavras, autore tutt’altro che di destra, nel 1988. Si consultino, inoltre: J. Dyer, Raccolti di rabbia. La minaccia neonazista nell’America rurale, Fazi Editore, Roma 2002 e J. Bageant, La Bibbia e il fucile. Cronache dall’America profonda, Bruno Mondadori, Milano 2010. Infine, per un autentico ed importante case study sulla trasformazione dal punto di vista sociale e politico di un territorio un tempo caratterizzato da una grande tradizione di lotta di classe, si veda A. Portelli, America profonda. Due secoli raccontati da Harlan County, Kentucky, Donzelli Editore, Roma 2011  

  9. Di cui uno dei casi più drammatici è rappresentato dalla violenta repressione della comunità “indipendente” di Waco nel Texas avvenuta nel 1993, sotto la presidenza di Bill Clinton. In tale occasione 76 persone, tra cui molte donne e bambini, bruciarono vive nel rogo che seguì all’assalto delle forze federali alla comunità, dopo un assedio durato 51 giorni. Si veda in proposito C. Stagnaro, Waco, una strage di stato americana, Stampa Alternativa, 2001  

  10. «è di rugiada / è un mondo di rugiada / eppure, eppure» scriveva Kobayashi Issa (1763-1827), dopo aver perso il figlio  

  11. S. Bologna, «E’ giunta l’ora di invocare il diritto di resistenza», il Manifesto, 25 maggio 2020  

  12. J.J. Rousseau, Origine della disuguaglianza (1754), Feltrinelli, Milano 1997  

  13. https://www.infoaut.org/approfondimenti/angela-davis-it-s-about-revolution  

  14. Oggi raccolti in Jack Orlando e Sandro Moiso (a cura di), L’epidemia delle emergenze. Contagio, immaginario, conflitto. Testi e riflessioni di Maurice Chevalier, Fabio Ciabatti, Giovanni Iozzoli, Sandro Moiso, Jack Orlando e Gioacchino Toni, Il Galeone Editore, Roma 2020  

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Outsiders vs. Establishment? https://www.carmillaonline.com/2016/06/24/outsiders-vs-establishment/ Fri, 24 Jun 2016 20:00:08 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=31312 di Sandro Moiso

Trump_cover Andrew Spannaus, Perché vince Trump, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2016, 106 pagine, € 10,00

Andrew Spannaus, esperto di macroeconomia e geopolitica di origine americane, vive ormai da 18 anni in Italia e negli ultimi anni è spesso intervenuto nella discussione sulle cause e le conseguenze della crisi economico-finanziaria. Nell’istant book appena pubblicato da Mimesis, nella collana “Il caffé dei filosofi”, egli affronta in maniera agile e concisa il tema delle attuali elezioni presidenziali americane dedicando particolare attenzione ai motivi che hanno fatto sì, da un lato, che Donald Trump sia diventato il candidato repubblicano alla Casa [...]]]> di Sandro Moiso

Trump_cover Andrew Spannaus, Perché vince Trump, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2016, 106 pagine, € 10,00

Andrew Spannaus, esperto di macroeconomia e geopolitica di origine americane, vive ormai da 18 anni in Italia e negli ultimi anni è spesso intervenuto nella discussione sulle cause e le conseguenze della crisi economico-finanziaria.
Nell’istant book appena pubblicato da Mimesis, nella collana “Il caffé dei filosofi”, egli affronta in maniera agile e concisa il tema delle attuali elezioni presidenziali americane dedicando particolare attenzione ai motivi che hanno fatto sì, da un lato, che Donald Trump sia diventato il candidato repubblicano alla Casa Bianca e, dall’altro, il relativo successo di Bernie Sanders nei confronti dell’attuale candidata democratica, e tutt’altro che sicura del successo nella corsa elettorale, Hillary Clinton.

Nell’analizzare le due “sorprese” della campagna elettorale svoltasi negli Stati Uniti nel corso degli ultimi mesi, Spannaus fa largo uso dell’aggettivo “outsiders” ovvero esclusi, almeno potenzialmente, e da qui fa derivare un’analisi, non sempre scontata, della società americana che li ha votati e che, allo stesso tempo, ha davvero escluso altri candidati dati per favoriti (all’interno del Partito Repubblicano) oppure limitato il successo di colei che vorrebbe ammantarsi del titolo di prima donna alla Presidenza degli U.S.A.

I due outsider settantenni di cui si parla non potrebbero essere, tra di loro, più dissimili: fascistoide, razzista, misogino il primo e dichiaratamente socialisteggiante il secondo. Ancora, mentre il primo è “un immobiliarista e star della televisione che predilige la provocazione e l’insulto per attirare attenzioni su di sé”, il secondo è “un vecchio attivista di sinistra che si batte da decenni per l’uguaglianza e contro le discriminazioni”. Eppure alla base del voto, sostanzialmente di protesta, che li avvicina ci sono elementi che affondano le radici nella stessa crisi economica e sociale che accomuna, di fatto da anni, le differenti componenti della società americana bianca dalla middle class in giù.

La prima comunanza tra i due outsider è data dal necessario rovesciamento del discorso politico operato da entrambi nei confronti dei discorsi ufficiali e ormai pluridecennali condotti dai loro rispettivi partiti. Tanto, infatti, il Partito Repubblicano e quello Democratico hanno difeso la liberalizzazione dei mercati e dei servizi, con tutta la relativa pletora di azioni destinate a dare alle banche (e alla finanza) sempre più libertà di iniziativa e di speculazione, tanto i due candidati indicano in Wall Street la fonte principale dei mali che attanagliano l’economia e la società americana.

Questo tema, e lo vedremo meglio in seguito, accompagna il dibattito economico e politico americano, anche a livello di classe dirigente, da molto tempo. “Da sempre esiste un conflitto interno agli Stati Uniti, tra la fazione più liberista, spesso alleata della vecchia potenza imperiale, la Gran Bretagna, e i nazionalisti che hanno utilizzato strumenti statali per avviare grandi periodi di progresso economico e sociale, da Alexander Hamilton ad Abramo Lincoln, da Franklin fino a Delano Roosevelt.1 Da circa quarant’anni, si può affermare senza paura di essere smentiti che la fazione liberista sta vincendo. Il modello del New Deal di Roosevelt è stato gradualmente smantellato, ed entrambi i grandi partiti hanno accettato la mentalità dei tagli al bilancio pubblico e del ruolo importante – spesso più importante dello stesso Governo – della finanza di Wall Street “ (pag. 59)

La conseguenza materiale, però, di tali scelte è stata che “in tutto questo la classe lavoratrice come esisteva nel periodo del dopoguerra ha infine pagato buona parte del conto. La divisione economica in atto vede consolidarsi una classe benestante che copre il 25-30% della popolazione; dall’altra parte c’è la maggioranza degli americani che non solo non fa progressi nelle sue condizioni, ma spesso va addirittura indietro.

È indubbio che oggi quasi tutti abbiano la possibilità di acquistare un numero considerevole di beni di consumo, soprattutto elettronici, dai televisori ai telefonini. Quando si parla di posizione economica però bisogna considerare quanto si lavora per ottenere quello che si ha; e le statistiche di lungo termine non sono confortanti. In media il potere d’acquisto reale della popolazione, quindi corretto per l’inflazione, è pressoché uguale a quello del 1979.
Cioè quello che si riesce a comprare con lo stipendio è rimasto uguale, in media, da 35 anni. In termini monetari, per eguagliare uno stipendio di 4,03 dollari all’ora del 1973, occorrono 22,41 dollari all’ora oggi. Le fasce più alte del Paese superano tranquillamente questa cifra; la classe media e bassa invece no. Infatti, il potere di acquisto reale della popolazione è rimasto uguale in media, il che significa che per alcuni settori della forza lavoro le cose vanno anche peggio.
Per dare un esempio, dal 2000 il 10% più ricco della popolazione ha visto un aumento del 9,7% della propria capacità di spesa; il 25% più povero invece ha visto una diminuzione del 3%. Per metterla in altri termini, si può calcolare il tempo che occorre lavorare per avere un certo tenore di vita. Ci sono studi che dimostrano che già tra gli anni Settanta e gli anni Novanta è aumentato enormemente il numero di stipendi necessari per acquistare certi beni primari: la casa, l’automobile, la lavatrice. Oggi si hanno più cose, ma bisogna lavorare di più per avere quello che si ha.
” (pp. 60 -61)

Accade così che, nell’affrontare il problema, entrambi i candidati finiscano con il puntare il dito sulla perdita di posti di lavoro nei settori forti, ovvero produttivi, dell’economia americana anche se poi le ricette sono talvolta contigue e altre volte molto distanti tra di loro. Per esempio, secondo Spannaus, all’interno del discorso di Trump il famigerato progetto di costruzione di un muro lungo la frontiera messicana (sicuramente costosissimo e quasi impossibile da realizzare) va visto più in funzione anti-NAFTA2 che in funzione di lotta all’immigrazione. Mentre in una parte del discorso di Sanders vi è più attenzione alla necessità di riabilitare quella divisione rigida tra banche commerciali e banche d’affari che il New Deal aveva imposto e la cui abolizione ha portato3 ai successivi disastri speculativi degli anni 2000.

coalSolo dal 2000 gli Stati Uniti hanno perso circa 6 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero. Fa parte di un processo lungo che risale anche a prima del passaggio del NAFTA. A partire dagli anni Settanta iniziò una graduale trasformazione dell’economia americana in senso post-industriale. […] Il cambiamento che veniva presentato come necessario per evitare squilibri monetari diede il via a una nuova epoca dell’economia mondiale: dalla stabilità e dalla pianificazione, al sorpasso del potere dei mercati rispetto alle decisioni dei governi sovrani. Negli anni a seguire furono gradualmente smantellate le regole economiche del dopoguerra nel mondo transatlantico. Con la deregulation delle industrie aumentava la competizione sui costi; con la deregulation finanziaria i grandi capitali acquisirono un peso enorme, promettendo grandi guadagni a chi si poteva permettere partecipazioni azionarie nei mercati finanziari, guadagni che spesso erano legati all’indebolimento dell’economia reale.” (pag. 58)

La perdita di posti di lavoro nell’industria americana, con la sostanziale deindustrializzazione che ne è conseguita, a favore di una più ampia disponibilità e manovrabilità internazionale dei capitali ha fatto sì che entrambi gli avversari, Trump e Sanders, nel loro discorso politico abbiano manifestato la volontà di difendere la necessità di rilanciare la manifattura americana anche a costo di misure protezionistiche delle aziende straniere (ad esempio cinesi) o americane che abbiano scelto la delocalizzazione delle loro produzioni con il favore del NAFTA.

Anche se a livello di welfare e di altre politiche le scelte dei due candidati risultano essere estremamente differenti, è interessante qui sottolineare la vicinanza delle proposte dei due nel campo dell’economia industriale. Questo spiega anche perché entrambi i candidati non abbiano riscontrato soverchie simpatie tra le cosiddette minoranze che spesso hanno votato in blocco, là dove lo hanno fatto, per Hillary Clinton che dei discorsi spesso vaghi e inconsistenti su minoranze e genere ha basato parte del suo successo elettorale. Il polo di riferimento di entrambi gli outsider era infatti, anche se le frange nere più radicali hanno accolto e appoggiato Sanders là dove erano presenti, la working class bianca impoverita e privata di quei benefici economici di cui aveva goduto per anni.

Uno dei fattori principali dietro a questa difficoltà della classe media è proprio la perdita dei posti di lavoro ben pagati nel settore manifatturiero. Oggi molte più persone lavorano nei servizi, che di media pagano ben meno. Se negli anni Sessanta il 24% dei lavoratori era impiegato nelle manifatture, oggi, nel 2016, quella cifra è solo dell’8%. Questo settore contribuisce solo per il 12 per cento del Pil americano – percentuale decisamente più bassa di Paesi come l’Italia, la Germania e il Giappone. Negli ultimi anni il comparto ha visto una ripresa modesta, rispetto ai servizi e al retail, ma nonostante gli iniziali trionfalismi sul ritorno della manifattura americana in realtà il settore rimane ancora molto debole. Buona parte dei posti di lavoro che vengono creati sono invece in settori con salari bassi, come il commercio al dettaglio, i ristoranti, gli alberghi. Dunque a livello complessivo si assiste a un aumento della precarietà e un abbassamento dei redditi.” (pag. 61)

rust belt Ma questo spiega anche perché Sanders abbia potuto tranquillamente affermare che il voto dei minatori del West Virginia che lo ha premiato alle primarie (e forse avrebbe potuto aggiungere di tutta quella fascia di stati un tempo roccaforte dell’industria americana e da anni ormai trasformatasi nella Rust Belt – la cintura della ruggine), potrebbe passare in blocco a Trump nell’ormai certo scontro elettorale tra l’immobiliarista newyorkese e la Clinton, vista comunque come vera rappresentante egli interessi di Wall Street oltre che moglie di quel presidente che proprio gli accordi del NAFTA ha firmato nel 1994.4

Occorre poi sottolineare come Donald Trump non sia il rappresentante preferito dal Tea Party o dai movimenti conservatori evangelici, il cui vero rappresentante era l’ultra-conservatore e reazionario Ted Cruz. Guarda caso più attento a dialogare, talvolta rovesciandole, con le proposte contenute nel programma della Clinton. Mentre, allo stesso tempo, una parte dell’elettorato di quest’ultima è spesso caratterizzato dall’essere da sempre, o almeno negli ultimi decenni, abituato a condizioni di lavoro precarie e mal pagate, privo di quelle garanzie economiche ancora ricordate dalla white-male working class.

Vale la pena di soffermarsi così a lungo su questi aspetti della campagna elettorale americana e dei programmi dei due candidati proprio a causa delle similitudini che intercorrono tra il tipo di proposte portate avanti dai candidati outsider, o almeno apparentemente tali, nei confronti del capitalismo finanziario oggi dominante in Occidente al di là e al di qua dell’Oceano Atlantico. E contemporaneamente anche al complesso di relazioni e di conflitti, in seno alle stesse classi dirigenti europee e americane, che si manifestano anche attraverso la crescita dei cosiddetti populismi e della stessa uscita dall’Unione Europea, probabilmente non solo della Gran Bretagna. Uno scontro ormai ben visibile sia a livello nazionale, qui in Italia, che internazionale.5

Per anni gli effetti negativi del processo di deindustrializzazione dell’economia americana sono stati camuffati dalla grande crescita della finanza. Il trickle-down funzionava: giravano tanti soldi su Wall Street, i ricchi diventavano più ricchi e l’effetto indotto si sentiva a tutti i livelli. Nel 2007-2008 tutto questo crollò in modo violento. C’erano già stati crolli più piccoli in precedenza. Nel 1987 la Borsa di New York visse la sua giornata peggiore di sempre in termini percentuali, con un crollo del 22,6%, ovvero di 508 punti. Negli anni successivi iniziò la fase dei soldi facili, con immissioni enormi di liquidità nel mercato sotto la tutela di Alan Greenspan, l’allora capo della banca centrale americana, la Federal Reserve. L’esplosione di nuovi strumenti speculativi “derivati” avvenne negli anni Novanta, insieme alle teorie sull’importanza di diversificare il rischio. Ora le società potevano coprirsi contro i cambiamenti repentini nei mercati per i beni reali con contratti che rappresentavano una sorta di assicurazione. Solo che entro pochi anni la parte assicurativa – i derivati – diventò più grande della parte dell’economia reale che doveva essere assicurata. Infatti, dagli anni Novanta in poi il valore nominale dei titoli finanziari supera di circa 10 volte il valore del Pil mondiale Nel 2001 scoppiò la bolla della New Economy, provocando perdite in tutto il mondo, ma ben presto gli operatori di mercato trovarono un nuovo giocattolo, quello dei mutui.[…]. La bolla dei mutui subprime non va vista come un evento in sé, ma appunto come parte di questo processo più lungo di finanziarizzazione. La gravità del crollo non fu semplicemente il risultato degli errori e delle frodi sui mercati immobiliari, ma soprattutto del massiccio effetto-leva insito nel sistema finanziario grazie al meccanismo dei derivati: a un operatore bastava fornire una garanzia di appena il 4% o il 5% del valore nominale che andava a movimentare. Dunque con un dollaro di capitale si disponeva di uno strumento che ne valeva venti volte tanto. Permetteva di fare grandi guadagni su piccole variazioni nel mercato, ma anche grandissime perdite quando la direzione del mercato si invertiva. La risposta delle istituzioni pubbliche al crack del 2008 fu di correre a salvare il sistema. Si temeva la fine del mondo, una situazione in cui i mercati si sarebbero fermati, le banche sarebbero fallite, e l’economia sarebbe entrata in uno stato di caos totale. Con questa giustificazione furono fornite quantità enormi di denaro (elettronico) al settore finanziario. Da una parte con il programma pubblico denominato TARP, creato con uno stanziamento di 700 miliardi di dollari da parte del Congresso Usa; dall’altra la Federal Reserve si mosse per fornire cifre ben superiori, fino a oltre 10 trilioni di dollari tra prestiti a tasso essenzialmente zero e garanzie per chi rischiava il default.
Gli effetti del crack sull’economia reale sono stati devastanti. Quando Barack Obama arrivò alla Casa Bianca nel gennaio 2009 in America si stavano perdendo tra 700 e 800 mila posti di lavoro ogni mese. La Grande Recessione era iniziata, e nei media affioravano i resoconti di come banche e finanziarie avessero impostato un modello per defraudare la gente.
” (pp. 62 – 63)

Ma se tali effetti, come si è già sottolineato, sono stati devastanti per i lavoratori, un tempo, garantiti, altrettanto lo sono stati per le piccole e medie imprese che spesso costituiscono, non solo in Italia, il cuore pulsante delle attività economiche produttive. Anche a livello di distribuzione delle merci. E diventa così possibile spiegare perché, ad esempio, in Italia le Coop, soprattutto “rosse”, si siano trasformate da strumento di distribuzione e commercializzazione delle merci a strumento di raccolta di fondi (i capitali grandi, piccoli e anche piccolissimi dei soci) per le attività finanziarie, mentre l’economia tedesca, ancora, almeno apparentemente, impostata sulla produzione industriale sul continente europeo, spesso entri in conflitto con le politiche della Banca Centrale Europea più propensa alla difesa delle attività speculative e finanziarie. Tant’è che l’attuale uscita della Gran Bretagna dall’Europa, così vituperata a parole, potrebbe rivelarsi per la Germania un’occasione di rafforzamento della propria autorità economica e politica sul continente.

Risulta altresì evidente che la critica rivolta a Trump dalla cosiddetta “sinistra” benpensante, europea e americana,6 non ne tocca gli assunti fascisti reali (sostanzialmente il governo dei produttori di cui la Carta del Lavoro mussoliniana del 1927 fu il manifesto politico), ma sostanzialmente gli aspetti più platealmente provocatori e offensivi (proprio come nel caso dei populismi europei) per non dover rispondere sul piano economico delle proprie scelte, tutte fatte a vantaggio della finanza globale e di quella miserrima percentuale di speculatori internazionali che si accaparra ormai una quota rilevantissima di ricchezza mondiale.7

uto pia Il testo di Spannaus affronta ancora tantissimi altri elementi della campagna elettorale americana e sottolinea molte altre diversità, per esempio sulla guerra, dei due outsider nei confronti dei due partiti di riferimento, ma ciò che occorre qui infine cogliere è che, pur nella simpatia che Bernie Sanders può ispirarci e che ha ispirato tanti elettori e giovani americani che il Partito della Clinton non esita a definire “conservatori”, in assenza di un’autonoma azione di classe il mondo del lavoro, femminile o maschile, bianco o nero o immigrato che sia, è destinato, nonostante tutto, ancora a sottostare a scelte che prima di tutto, anche quando sembrano staccarsi drasticamente dai modelli politici ed economici dominanti, appartengono soprattutto a fazioni divergenti e in lotta della stessa classe dirigente. Come questo utile testo contribuisce, anche involontariamente, a dimostrare. Piaccia o meno.

brexit4 D’altra parte l’analisi del voto britannico, che ha determinato l’uscita del Regno Unito dall’Europa comunitaria, rivela che le aree ex-industriali ed ex-minerarie dell’Inghilterra e del Galles, ancora una volta piaccia o meno, sono risultate determinanti ai fini del risultato. Confermando così il contenuto di protesta di tale scelta, al di là del nazionalismo e del razzismo presentati come unica motivazione per i cittadini che hanno scelto l’uscita da parte dell’establishment economico, finanziario, politico e mediatico di Bruxelles. Il quale ultimo ha inutilmente cercato sul corpo e l’omicidio della parlamentare laburista Jo Cox la giustificazione, cinica e inconsistente, a favore del remain (e della susseguente speculazione bancaria).
Eppure c’è uno slogan, partito dalla Valle di Susa, che dovrebbe far riflettere le classi dirigenti europee e i loro media asserviti, condotti (soprattutto dopo i dibattiti televisivi di giovedì sera) da comici da avanspettacolo, sul loro inequivocabile destino: “Non potete fermare il vento, gli fate solo perder tempo!


  1. Occorre qui sottolineare che già Marx, nei suoi scritti sulla Guerra Civile americana, interpretava il conflitto tra Sud e Nord in termini di scontro tra la classe dirigente del Nord che intendeva emanciparsi definitivamente sul piano industriale dalla dipendenza dalla Gran Bretagna e quella del Sud che continuava a dipendere dal Regno di Albione in termini di esportazione di materie prime agro-alimentari verso l’ex-madrepatria. Naturalmente la causa della liberazione dei neri risultava assolutamente secondaria, al di là delle leggende solo successivamente accreditate, visto che il proclama di Lincoln per la liberazione degli schiavi fu emanato soltanto nel 1863, un anno di pesanti difficoltà per gli eserciti del Nord  

  2. Il North American Free Trade Agreement (Accordo nordamericano per il libero scambio), è un trattato di libero scambio commerciale stipulato tra USA, Canada e Messico e modellato sul già esistente accordo di libero commercio tra Canada e Stati Uniti (FTA), a sua volta ispirato al modello dell’Unione Europea. L’Accordo venne firmato dai Capi di Stato dei tre paesi (il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, il Presidente Messicano Carlos Salinas de Gortari e il Primo ministro del Canada Brian Mulroney) il 17 dicembre 1992 ed entrò in vigore il 1º gennaio 1994. (https://it.wikipedia.org/wiki/North_American_Free_Trade_Agreement)  

  3. La divisione tra le attività bancarie di “retail” e “trading” risale all’epoca del New Deal, con la legge Glass – Stagall Act del 1933 adottata come risposta alla grande depressione del ’29 e rimasta in vigore per circa settanta anni. La separazione netta tra banche commerciali e banche d’affari è stata, poi, soppressa nel 1999 con il Gramm – Leach – Bliley Act, durante la presidenza di Clinton (http://www.avantionline.it/2014/01/banca-commerciale-o-di-investimento-un-divorzio-utile-anzi-urgente/#.V2ZHLdSLRkg)  

  4. Si veda, a proposito degli interessi che appoggiano la Clinton, sia nel Partito Democratico che in quello Repubblicano, https://www.carmillaonline.com/2016/05/02/donne-sui-tre-lati-della-barricata/  

  5. Ad esempio in un articolo, pubblicato su Il Giornale, del marzo 2015, le riflessioni di Spannaus sull’attuale Premier e le vere cause della crisi vengono così riassunte: ”Il Premier punta molto sull’appoggio dei settori che hanno interessi internazionali così da poter fare da una parte il “rottamatore” all’interno dell’Italia e “farsi bello”, e dall’altra rimanere attaccato alle stanze che muovono grandi interessi. Facendo un passo indietro poi Spannaus conferma che il disastro creato da Mario Monti e dal suo governo di tecnici ” non é stato casuale, bensì voluto”. Anche Monti e Amato lo hanno confermato. In soldoni ci hanno detto che l’Italia si sarebbe fatta finanziare il deficit dall’estero perché da sola non era in grado, e che quindi si riducevano i consumi dei cittadini. Quali sono le vere intenzioni? ” Ecco, l’intenzione è quella di sfruttare la crisi economica per rafforzare le strutture sovranazionali. Con Mario Monti si sono trasferite le sovranità dalle nazioni all’Unione Europea. Solo in periodo di crisi, approfittando del momento, questo é stato possibile” – afferma Spannaus. Il dramma é che la popolazione e il governo non hanno più alcun potere e le decisioni vengono prese a livelli più alti”.
    http://www.ilgiornale.it/news/cronache/mossa-voluta-crisi-mettere-ginocchio-italiani-1102028.html  

  6. Varrebbe ancora la pena di ascoltare oggi le ironiche parole della canzone “Love Me, I’m A Liberal” di Phil Ochs, il cantautore americano socialista che la compose alla metà degli anni Sessanta  

  7. Basti ricordare che i 62 individui più ricchi del mondo si accaparrano la ricchezza equivalente a quella di metà della popolazione del globo: 3 miliardi e mezzo di persone  

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Ufo: una nuova breccia nel cover up? https://www.carmillaonline.com/2016/04/29/ufo-nuova-breccia-nel-cover/ Thu, 28 Apr 2016 22:01:20 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30042 di Maverick

Alien CongressTutte le agenzie internazionali e diversi quotidiani anche in Italia hanno dato nei giorni scorsi rilievo alle dichiarazioni della candidata presidenziale in materia di Ufo. La Clinton ha detto in Tv che se eletta si impegnerà a desecretare i files riguardanti gli Ufo e la presenza aliena. L’aveva già detto a Gennaio al “Conway Daily Sun” del New Hampshire e ora l’ha ribadito. Non è la prima a dire di volerlo fare e bisognerà verificarne la vera volontà: Hillary è una consumata politicante e la circostanza può essere letta come una astuta mossa elettorale, una strizzata d’occhio [...]]]> di Maverick

Alien CongressTutte le agenzie internazionali e diversi quotidiani anche in Italia hanno dato nei giorni scorsi rilievo alle dichiarazioni della candidata presidenziale in materia di Ufo. La Clinton ha detto in Tv che se eletta si impegnerà a desecretare i files riguardanti gli Ufo e la presenza aliena. L’aveva già detto a Gennaio al “Conway Daily Sun” del New Hampshire e ora l’ha ribadito. Non è la prima a dire di volerlo fare e bisognerà verificarne la vera volontà: Hillary è una consumata politicante e la circostanza può essere letta come una astuta mossa elettorale, una strizzata d’occhio a quel 57% di americani che è convinto che gli vengano nascoste molte informazioni sull’argomento. Anche ammesso che sia cosi è una mossa impegnativa e rischiosa, in molti sensi. I media hanno attribuito all’influenza dell’amico e finanziatore Laurance Rockefeller, fondatore della Rockefeller Initiative1 e convinto sostenitore dell’ipotesi extraterresre, l’interesse della lady per l’argomento, e alle pressioni simultanee di John Podesta, il suo Direttore della campagna elettorale (e di Bill, precedentemente), da tempo sulla breccia con una sua organizzazione, il Center for American Progress, per perorare la fine del cover up per ragioni di democrazia e trasparenza.2 Ad una tv di Las Vegas Podesta aveva fatto seguito alle prime dichiarazioni della Clinton dicendo di averla voluta convincere ad “andare a fondo della questione“.

Precedenti e Presidenti
Prima di lei fu J.F. Kennedy a procurarsi la diffidenza dei militari e del mondo della ricerca aerospaziale, Nasa compresa, con l’espressa volontà di voler condividere con i sovietici le risultanze della ricerca spaziale. C’è chi afferma che quell’intenzione contribuì a decidere la sua sorte poiché sembrò evidente la sua intenzione di scambiare informazioni anche sul fenomeno Ufo con i sovietici mettendo cosi a repentaglio l’esclusività o la prevalenza degli elementi di conoscenza in mano americana.

Poi ci fu Nixon che con la materia Ufo giocò sporco, come suo solito, per mania di grandezza. Al culmine del primo mandato, nel 1973, “Tricky Dick” pensò forse di voler passare alla storia non solo per i successi in politica internazionale (la fine della guerra in Vietnam, l’apertura alla Cina, il trattato per la limitazione delle armi nucleari con l’Urss) ma anche per aver rivelato la verità sugli Ufo. Lo volle fare in modo trasversale, ambiguo, sostenendo indirettamente il progetto del cineasta Robert Emenegger e del produttore Allan Sandler per la realizzazione di un documentario in cui fossero inserite immagini clamorose top secret fornite dall’Air Force. Due alti ufficiali si misero in contatto con i due, li accompagnarono presso le videoteche di alcune basi aeree, concordarono i filmati, sensazionali a detta di Sandler, da inserire; si fecero avanti finanziatori inaspettati come la John MacArthur Foundation che aveva stretti rapporti (come molte Fondazioni dei nostri giorni) con ambienti di intelligence; ci furono anticipazioni di un possibile rilascio di informazioni da parte di alcuni media e personaggi dell’establishment culturale che sembravano voler preparare il terreno per le rivelazioni. Poi venne il Watergate e tutto si fermò. Il documentario si fece (Ufos, past, present and future) e andò in onda su Nbc ma senza le clips promesse (tranne una di 12 secondi – sostennero gli autori) ed ebbe un certo successo ma non suscitò le reazioni previste in mancanza di footage inedito e sensazionale. Il ricercatore Grant Cameron fa due ipotesi: che l’iniziativa fosse voluta da Nixon o che fosse un tentativo fallito di “disclosure” da parte di ambienti governativi non identificabili ma certamente abbastanza potenti da smuovere militari, finanziamenti, media.3

Jimmy Carter anche si era sbilanciato in campagna elettorale dicendo di voler far luce sul fenomeno, prima di imbarcare nella sua amministrazione buona parte della neonata Trilateral (ben 26 nomine), non proprio gente interessata alla trasparenza sull’argomento. Carter confessò di avere avuto personalmente tre avvistamenti e affidò al suo Capo Ufficio Stampa Jody Powell l’incarico di occuparsene. Il quale volle farsi protagonista di una fuga in avanti dichiarando a US News and Worls Report che prima della fine dell’anno (1977) il Presidente avrebbe fatto “sconvolgenti dichiarazioni sul tema Ufo” e che su informazioni della Cia ci sarebbe stata “un’ inversione di marcia della politica ufficiale che fino ad allora aveva sottostimato gli eventi“. La ricerca di informazioni avviata da Carter si scontrò apertamente con l’apparato militare che gli oppose un rifiuto ad informarlo perchè non aveva il “need to know” (estremo livello di top secret). Dopo breve tempo Jody Powell fu smentito dalla Casa Bianca con l’affermazione che “era stato frainteso”.4

A fine Dicembre 1978 ci fu un’interrogazione al Congresso del Democratico Samuel S. Stratton, Presidente di Sottocommissione sulle Investigazioni Militari, riguardo intrusioni di Ufo nel sistema di difesa di tre anni prima. Stratton esprimeva preoccupazione “sulla presunta capacità di velivoli sconosciuti di penetrare lo spazio aereo e di rimanere fermi sopra basi militari, depositi di armi, siti missilistici e di controllo di lancio senza che l’Air Force riuscisse a intercettarli e a identificarli“. La risposta dell’Air Force fu che “i rapporti sugli Ufo erano di interesse transitorio e che non si disponeva di files permanenti in merito“.5 Oggi, grazie ai documenti declassificati sappiamo che non era vero.

Curiosamente, proprio durante la presidenza Carter si verificarono dei fatti internazionali che i complottisti hanno evidenziato: su pressioni di Eric Gairy, premier di Grenada, il 27 Novembre 1978 l’Onu aveva deciso di stabilire uno Special Political Committee che raccogliesse e analizzasse i dati in un programma di respiro internazionale con l’obiettivo di cercare e dare risposte sulla materia Ufo. Ci furono diverse riunioni concluse con la decisione di aprire un’agenzia Onu apposita (Determina 33/426 dell’8 Dicembre) con l’appoggio dell’amministrazione Carter. Dopo tre mesi, il 13 Marzo 1979 un golpe militare a Grenada esautorò Gairy e lo sostitui con Maurice Bishop. Tutto si arenò e non ci fu più seguito.6

E’ noto quanto Reagan fosse interessato al fenomeno (lui stesso disse di avere avuto due avvistamenti) e ne desse un’interpretazione minacciosa. Di lui si ricordano le frasi che più volte usò per manifestare di avere elementi di conoscenza. Come la sua risposta alla domanda su quale fosse la maggiore necessità nel campo delle relazioni internazionali: “Mi sono sempre chiesto se il mondo scoprisse di essere minacciato da una potenza dallo spazio, da un altro pianeta. Non scopriremmo subito che non ci sono differenze tra noi esseri umani, cittadini del mondo e non ci uniremmo per combattere quella particolare minaccia?“.7

George Bush sr., da ex Direttore Cia e candidato presidenziale, dichiarò che “ne sapeva parecchio“.8
Lo stesso Clinton interpellato in merito in un’intervista del 2005 a Hong Kong, disse che non aveva trovato niente ma alluse a verosimili difficoltà “interne“: “Ho cercato di scoprire se ci fossero documenti segreti e, nel caso, se mi fossero nascosti. Non sarei il primo Presidente a cui i sottoposti abbiano mentito o a cui dei burocrati abbiano trattenuto informazioni. Ma ci possono essere individui in carriera che nascondono questi oscuri segreti anche ai Presidenti. Se è cosi, be’ sono riusciti ad evitare di coinvolgermi e se è cosi mi sento quasi imbarazzato a dire che ho provato a sapere9 . Una risposta contorta che suggerisce che Clinton avesse capito che le difficoltà provenivano dall’interno dell’amministrazione, dall’apparato. Da cui anche il rafforzamento delle tesi più recenti secondo cui i Presidenti, come tutti i politici o i dirigenti di nomina politica, non sono al corrente della complessità del cover up che affonda nei programmi segreti (Special Access Programs) finanziati con fondi neri e sprofondati nel magma del complesso industrial-militare10 . La loro possibilità di penetrare i livelli di sicurezza del “need to know” è molto limitata, e quasi impossibile nel settore privato.
E’ tuttavia importante che un Presidente, o un candidato Presidente come la Clinton, voglia “forzare” in qualche modo la questione. Realisticamente, potrebbe rischiare la pelle, come Kennedy o più facilmente non andare da nessuna parte, come i suoi predecessori.

Le perplessità
Per tornare quindi alle recenti dichiarazioni, ci sono diverse contraddizioni nelle parole della candidata che rendono la questione poco chiara anche perchè certe cose già le dovrebbe sapere:

1: L’Area 51 può essere stata interessata in passato a esperimenti di retroingegneria sugli Ufo, ma non dovrebbe più essere il posto giusto. I ricercatori indicano con buone argomentazioni la base aerea Wright-Patterson in Ohio come la sede vera dove si custodiscono i veri segreti.11 Del resto, è proprio li che le testimonianze multiple indicano che i reperti (e i corpi?) di Roswell furono immediatamente trasportati in quel Luglio 1947. Sembra quindi un’ingenuità quella di pensare a una “task force” per investigare dove probabilmente non c’è più niente da tempo se non velivoli sperimentali e progetti aerospaziali che probabilmente impiegano propulsione e tecnologia derivate da un pregresso lavoro di retroingegneria.

2: I Rockefeller. Non è chiaro cosa spinga Laurance Rockfeller a occuparsi cosi appassionatamente di una materia che la sua famiglia dovrebbe conoscere meglio di tanti. O è una pecora nera, emarginata, o chi lo sa…

Clinton&Rockefeller 3: E’ interessante il fatto che la Clinton usi l’espressione UAP (Unidentified Aerial Phenomena), invece che UFO. Questo indica che è informata della distinzione prudentemente generica che si fa in ambienti “moderati” militari e scientifici, e che quindi si tiene “aggiornata”. Ma quanto veramente sa?

4: E’ improbabile che la sortita sia solo una mossa elettorale. Come suggeriscono i toni delle cronache giornalistiche, la Lady rischia di imbrigliarsi nel consueto ridicolo mediatico che quindi potrebbe nuocerle. E’ invece probabile che sia stata realmente persuasa da chi le è vicino e che la spinta alla “disclosure” si stia facendo sentire. Quanto sia personalmente convinta e sincera, visto il soggetto, è dubbio ma prima o poi lo sapremo.

5: E’ rilevante che un personaggio di cosi alto livello accenni apertamente a una “presenza” aliena tra di noi (“La Terra può essere stata visitata” – Daily News). E’ un ulteriore elemento di forzatura perchè si presta ad essere interpretato come allusione al fenomeno dei rapimenti. E’ in grado di procedere su quella ancora più difficile strada?

6: Le allusioni del 2005 di Bill Clinton (sottoposti…burocrati…individui in carriera…) dimostrano che l’ex Presidente aveva capito dove è l’infezione e dovrebbero averle dato la nozione che il cover up è gestito da una catena trasversale di operativi di medio livello gerarchico nell’amministrazione pubblica, negli ambienti militari e di intelligence, dai project managers dei programmi segreti nel settore privato. La cosa più efficace che potrebbe fare un Presidente sarebbe un provvedimento per sciogliere dai giuramenti di segretezza imposti per contratto a chi ha responsabilità importanti nella catena di gestione dentro gli enti governativi, e ai tanti testimoni vincolati da impegni analoghi o terrorizzati negli anni dalle pressioni a tacere. Da ciò che ha detto, o da come lo dice, Hillary non sembra consapevole della complessità del cammino da percorrere. Certo, potrebbe come minimo seguire le tracce del marito che con l’Ordine Esecutivo n. 12958 desecretò oltre ottocento milioni di pagine classificate, Ordine che fu poi stemperato dalla successiva presidenza con l’effetto di ridurre il numero.

L’iniziativa mediatica della candidata è comunque da considerare come un piccolo passo in avanti sulla strada della Verità, utile se non altro per far sapere che il fenomeno Ufo è trattato a livelli top, il che già di per sé dovrebbe pesare come segnale sia nei confronti dell’opinione pubblica sia per gli oscuri ambienti “che sanno”.


  1. La maggior parte dei fondi della Rockefeller Initiative provengono dall’ex immobiliarista di Las Vegas Robert Bigelow, oggi titolare della Bigelow Aerospace e gestore della Bigelow Aerospace Advanced Space Studies a cui la Federal Aviation Authority indirizza le persone che vogliono segnalare avvistamenti Ufo. Bigelow finanzia alcune organizzazioni di ricerca ufologica e riceve a sua volta finanziamenti governativi per progetti in collaborazione con la Nasa. Una specie di partita di giro, una delle tante che rende il terreno dell’investigazione ufologica estremamente intricata da decifrare  

  2. Fabrizio Salmoni, Ufo, sicurezza nazionale e progresso negato, https://mavericknews.wordpress.com/2016/03/09/ufo-sicurezza-nazionale-e-progresso-negato/#more-1128  

  3. Grant Cameron, www.presidentialufo.com. Larry Holcombe, Ufo Leaks  

  4. ibidem  

  5. Fawcett, Greenwood, Clear Intent  

  6. Grant Cameron, ibidem. Don Berliner, Ufo briefing Documents  

  7. Grant Cameron, ibidem  

  8. Richard Dolan, Ufos & the National Security State, vol.2  

  9. Huffington Post, 28.3.2016  

  10. Fabrizio Salmoni, ibidem  

  11. Thomas Carey, Donald Schmitt. Inside the real Area 51. The secret history of Wright-Patterson  

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