Battaglione Azov – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Aug 2025 20:00:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Ma come si fa… https://www.carmillaonline.com/2022/06/17/ma-come-si-fa/ Fri, 17 Jun 2022 21:55:56 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72562 di Nico Maccentelli

Davide Grasso ha combattuto in Kurdistan con la Resistenza curda. Conosce molto bene la storia di quel popolo e della sua lotta contro il fascismo turco. Conosce altrettanto bene l’esperienza municipalista della regione autonoma del Rojava, la democrazia popolare antistatale e antipatriarcale che regge quell’esperienza. Ma un bel giorno di fine maggio Davide Grasso appare a Bologna, al Labàs in Vicolo Bolognetti (1), per annunciare che esiste la “resistenza ucraina”. Un’entità costituita non si sa da chi: da dei presunti anarchici? o da tutti coloro che sono definibili combattenti, ossia [...]]]> di Nico Maccentelli

Davide Grasso ha combattuto in Kurdistan con la Resistenza curda. Conosce molto bene la storia di quel popolo e della sua lotta contro il fascismo turco. Conosce altrettanto bene l’esperienza municipalista della regione autonoma del Rojava, la democrazia popolare antistatale e antipatriarcale che regge quell’esperienza. Ma un bel giorno di fine maggio Davide Grasso appare a Bologna, al Labàs in Vicolo Bolognetti (1), per annunciare che esiste la “resistenza ucraina”. Un’entità costituita non si sa da chi: da dei presunti anarchici? o da tutti coloro che sono definibili combattenti, ossia le forze militari ucraine? Chissà… Comunque una “resistenza” che non ha caratteristiche autonome, ma che è tutta interna alle unità di difesa territoriale, quindi allo stato ucraino, uno stato dove non vige una democrazia popolare, ma un dominio borghese, con un’oligarchia che arma e ha come braccio armato interno e nel conflitto con la Russia delle forze di stampo nazista.

Non si sono mai visti degli anarchici sostenere qualsiasi forma di statalismo, figuriamoci se questo è erede diretto del banderismo che è stato complice antisemita e forza organica della Germania nazista e artefice di eccidi sulla popolazione ebraica e non.  In definitiva qualcosa che non solo non c’entra una mazza con l’esperienza del Rojava, con lo zapatismo… ma che non è neppure lontanamente accostabile, qualcosa che sta agli antipodi per scopi, valori, identità politica.

Ma allora, caro Grasso, se la nozione di “resistenza” per te era così larga ed elastica… perché non andavano bene quei comunisti e quei siriani in generale, che hanno preso le armi nell’esercito della Repubblica Araba di Siria per difendere il proprio paese dall’imperialismo USA, da Daesh e dall’invasione turca?

Un’incongruenza dietro l’altra accompagnano questa narrazione, che sarebbe derubricabile come bislacca se non creasse una confusione assoluta tra le fila dell’antagonismo di classe.

Infatti, nemmeno venti giorni prima, una strana anarchica ucraina, sempre al Labàs (2), facente parte di Operation Solidarity, parlava al pubblico “municipalista” della militanza di tali anarchici ucraini nelle unità di difesa territoriale, di “resistenza ucraina” e di necessità di una no fly zone, mentre la conduttrice labassina di detta iniziativa definiva “rivoluzione” il golpe nazista di piazza Maidan del 2014, preparato (e ci sono le prove) e orchestrato dal deep state statunitense. 

Queste sono le basi politiche su cui è stata costruito l’attacco a quella parte di movimento antimilitarista che si è posto sul terreno della lotta contro la guerra e contro la NATO. Un regalo fatto al governo e al PD, soprattutto sul piano locale.

Ora, sappiamo bene che i debiti si pagano, e gli spazi dati da una giunta PD esigono che la politica di guerra, della armi agli ucraini trovino una sponda coerente in una narrazione ad hoc che soddisfi i “palati antagonisti”. E cosa c’è di meglio allora che inventarsi una “resistenza” laddove ci sono battaglioni nazisti che dominano lo scenario bellico, armi che finiscono al mercato nero, andando a implementare l’epica costruita a tavolino dal mainstream del “povero popolo ucraino aggredito”? Cosa c’è di meglio per oscurare la realtà dei fatti che vede il popolo ucraino usato come carne da macello per una guerra costruita negli anni dall’espansionismo USA-NATO, dalla sua minaccia nucleare ai confini della Russia, dall’uso dei nazi locali nella loro pulizia etnica antirussa? Una resistenza inventata, che oscuri l’ennesima guerra per procura dell’Occidente imperialista è proprio quello che ci vuole. 

Solo che stavolta non ci sono la Siria, l’Irak, la Libia o la ex Yugoslavia. Oggi dall’altra parte c’è un’altra forza dotata di armi nucleari e la danza sul burrone di una guerra termonucleare (tattica in Europa se va bene) è una danza macabra, dove ballerini insensati non si rendono conto di scherzare col fuoco.

Cosa c’è nella testa di questi “antagonisti”, segatura? Perché il bello è che tutta questa narrazione, che di antifascista non ha neppure l’odore ed è indifferente rispetto agli ucro nazi, si riempie di parole come “internazionalismo” accostando l’ “Ucraina aggredita” al Kurdistan siriano.

Ma qui viene il bello. Se la narrazione dei nostri “antagonisti” è questa, chi si batte contro la politica di guerra della NATO e di conseguenza del governo Draghi, chi in tutti questi anni ha sostenuto e difeso la causa del Donbass e le due Repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, viene tacciato di “filoputinismo” e di essere “rossobruno”. Dimenticandosi con questo strano criterio contraddittorio che le YPG hanno avuto l’appoggio degli USA nello sconfiggere i tagliagole dell’ISIS. Un internazionalismo strano allora quello di questi “compagni”, con versioni pro domo loro a seconda della convenienza, sostenendo una cosa da una parte e l’opposto dall’altra. Una sorta di opportunismo da vulgata sinistrese che non tiene conto della complessità delle situazioni. Semplificare… come del resto fanno i principali media di regime con i loro salotti televisivi. E che dire allora della nostra Resistenza del ’43-45 contro il nazifascismo: gli Alleati USA e UK non erano forse (anche allora) imperialisti?

Quello che colpisce è la consonanza tra l’azione politica di regime nel criminalizzare ogni voce di dissenso sulla guerra in atto (vedi la lista di proscrizione del Corrierone e il rumor di sciabole dei servizi…), tacciandola di collaborazionismo con Putin e quella di detta compagneria: a ognuno le sue liste. Una consonanza che con gli “antagonisti” trova la sua massima espressione nel totale silenzio verso il fenomeno degli ucronazi, che il mese scorso a Bologna hanno attaccato una festa partigiana e cercato di stuprare una compagna qualche giorno dopo.

Nella storia dei movimenti sociali nel nostro paese e non solo nel nostro, alla voce “guerra imperialista” ci sono sempre stati storicamente due filoni contro la guerra: uno pacifista e non violento, proprio per esempio del cattolicesimo, come quello dei padri comboniani e che oggi vede alzarsi la voce del Papa (l’abbaiar della NATO). L’altro, marxista, o comunque antimilitarista anche nella sua variante libertaria, che si è mobilitato storicamente sulla parola d’ordine “guerra alla guerra”, ossia trasformare la guerra in rivoluzione sociale.

Ebbene, che cosa c’entri con questa storia di lotte pacifiste e antimilitariste questa strana vulgata su resistenza e ucro nazi, armi a Zelensky e no fly zone, è proprio un mistero. Ma il risultato per qualcuno, che evidentemente ha il suo tornaconto, è stato ottenuto: spaccare, dividere, creare confusione, perché da un’economia di guerra e dalla sua macelleria, dalla miseria e da un dominio che di pandemia in guerra cerca di ridisegnare un ordine totalitario unipolare, i servi devono stare zitti e seguire il pensiero unico. E c’è una campagna denigratoria per ogni focus target.

Per sgombrare il campo da queste scorie ideologiche, che sono poi quelle di chi ragionando per principio e non per analisi finisce per fare il gioco del re di prussia, ha parlato da posizioni di sincero e autentico antifascismo antimperialista e di classe il nostro direttore Valerio Evangelisti recentemente scomparso. E lo ha fatto con questo intervento del 2016, dove già coglieva i punti essenziali della questione ucraina:

e con altri due recenti interventi sulla guerra in Ucraina che potete vedere in questo sito

e qui a 11:25:

Quest’ultimo con tutta probabilità è proprio l’ultimo intervento fatto dal nostro.

 

 


Note:

1) Questo intervento di Davide Grasso lo trovate sul fb di Labàs

2) Vedere questo link (il video è stato tolto, ma il link resta

 

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Il nuovo disordine mondiale / 15: Follow the money! https://www.carmillaonline.com/2022/05/18/il-nuovo-disordine-mondiale-15-follow-the-money/ Wed, 18 May 2022 20:00:48 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72027 di Sandro Moiso

Il nemico non è, no non è oltre la tua frontiera; il nemico non è, no non è al di là della tua trincea (Il monumento – Enzo Jannacci, 1975)

Nonostante la versione patinata di stile hollywoodiano della guerra fornita dalla propaganda occidentale, che continua a parlare di vittoria di Kiev e della NATO, ballando una sguaiata rumba sia sulla pelle dell’orso russo (non ancora acquisita, però, come trofeo) che su quella delle vittime civili e militari di entrambi i fronti in guerra, i fatti degli ultimi giorni, [...]]]> di Sandro Moiso

Il nemico non è, no non è
oltre la tua frontiera;
il nemico non è, no non è
al di là della tua trincea

(Il monumento – Enzo Jannacci, 1975)

Nonostante la versione patinata di stile hollywoodiano della guerra fornita dalla propaganda occidentale, che continua a parlare di vittoria di Kiev e della NATO, ballando una sguaiata rumba sia sulla pelle dell’orso russo (non ancora acquisita, però, come trofeo) che su quella delle vittime civili e militari di entrambi i fronti in guerra, i fatti degli ultimi giorni, se non delle ultime ore, rivelano uno scenario ben diverso da quello così superficialmente descritto. Soprattutto per quanto riguarda le alleanze economiche, politiche e militari che gravitano intorno agli Stati Uniti e all’Europa e che vanno man mano disfacendosi lungo i confini orientali di quest’ultima,

Un’immagine che potrebbe riassumere per tutte lo stato delle cose sul campo è quella della parziale resa e ritirata dall’acciaieria Azovstal di Mariupol dei buona parte dei difensori.
Simbolo dell’”eroismo” e della “resistenza” ucraina1 nel corso dei primi 82 giorni di una guerra destinata a durare ed allargarsi negli anni a venire, paradossalmente, è stato anche il primo contingente militare ucraino ad entrare, seppur parzialmente, in conflitto con Zelensky e il suo governo, proprio per il tentativo di quest’ultimo, molto simile a quello di Hitler con le truppe tedesche assediate a Stalingerado nell’inverno tra il 1942 e il 1943, di elevare i militari ad eroi destinati al martirio senza tentare di far alcunché, nemmeno sul piano delle trattative per cercare di salvarne almeno un certo numero.

Per cui, nonostante le ultime dichiarazioni rilasciate dal comandante del battaglione Azov, Denis Prokopenko, riferentisi alla necessità di obbedire agli ordini del comando supremo, e le divisioni intercorse tra gli stessi soldati sulla resa o meno, appare evidente che in realtà la trattativa per la resa e l’evacuazione dei feriti sia iniziata sul campo e in seguito alle proteste dei famigliari dei soldati del battaglione e dei marines ucraini ancora lì asserragliati, represse e disperse a Kiev nelle settimane precedenti, prima che a livello governativo e diplomatico.

Ora Zelenky deve far buon viso a cattivo gioco, ma è evidente che la completa soppressione dei combattenti del battaglione avrebbe permesso al governo ucraino di ottenere due piccioni con una fava ovvero trasformare i militari in eroici “martiri della Patria” e allo stesso tempo liberarsi dell’ingombrante bagaglio rappresentato, agli occhi dell’Europa più restia all’intervento, da una formazione militare ispirantesi all’iconografia e all’ideologia nazista.

Anche se tale resa è stata accompagnata dalle fotografie di unità ucraine giunte in qualche punto non meglio precisato del confine con la Russia, è chiaro che la situazione militare sul campo più che di stallo è ancora di lento ma progressivo avanzamento delle forze russe.
L’uso massiccio dell’artiglieria2 e le lente e costose, in termini di vite umane, avanzate delle fanterie, contraddistinguono da sempre, o almeno dalle campagne anti-napoleoniche in poi, le tattiche dell’esercito russo, imperiale un tempo poi staliniano e oggi putiniano.

Tattiche che in un momento in cui, come rilevano molti osservatori militari occidentali, la guerra si sta nuovamente trasformando in una guerra di trincea3, come quella del primo conflitto mondiale e del secondo sul fronte orientale, tornano a far pesare una tradizione militare che più che sulla velocità di azione conta sul territorio conquistato e solidamente fortificato per essere mantenuto nel tempo.
Mentre, al contrario, la guerra condotta con i droni danneggia gravemente il nemico, come le perdite russe in uomini e mezzi dimostrano, ma non permette di occupare o rioccupare saldamente i territori .

E’, in fin dei conti, il solito vecchio problema dei boots on the ground (scarponi sul terreno), che assilla soprattutto le forze armate USA successivamente alla guerra in Vietnam, il cui numero di vittime americane (70.000 morti e diverse centinaia di migliaia di soldati feriti o profondamente scossi sul piano psicologico) non potrebbe più essere sopportato dall’opinione pubblica di un paese sempre più diviso e impoverito. Lo stesso che, solo per fare un esempio, spinse il presidente Bill Clinton ad abbandonare la missione Restore Hope in Somalia, nel 1993, dopo poco più di due decine di caduti nella battaglia di Mogadiscio4.

Come ha affermato l’ex-generale Fabio Mini, sulle pagine del «Fatto Quotidiano»:

Ci viene detto che le forze russe sono state respinte a Kharkiv e la città è “liberata”. Non era mai stata occupata dai russi, bombardata sì ma occupata no. Come a Kiev, i carri armati russi se ne sono andati a fare altro e le forze ucraine in città sono rimaste esattamente dov’erano […] Sempre che Kharkiv sia un obiettivo che i russi vogliano veramente acquisire. E’ certamente un centro nevralgico delle comunicazioni tra Russia e Ucraina ed è una regione di confine parzialmente occupata dai russi fino a Izyum, dove da settimane risiede uno dei bracci della morsa sull’area di Kramatorsk […] Cosa facciano le forze armate ucraine in quest’area non è chiaro. Da un lato dichiarano che si riprenderanno anche la Crimea già annessa alla federazione russa, dall’altro si dedicano a lanci sporadici di missili sugli obiettivi navali individuati daglli americani (del Pentagono o della Raytheon) e all’uso maniacale delle sirene d’allarme aereo, come in tutto il resto del territorio ucraino. Una misura che ormai sembra più rivolta al controllo interno della popolazione attraverso la paura che protettiva […] La situazione tattica è quindi rallentata, ma non è di stallo e chi auspica una interruzione dei combattimenti o la loro escalation “una volta per tutte” dovrà pazientare5.

Se sul campo la situazione è quanto meno di stallo, non evolve certo in direzione favorevole all’Occidente, alla Nato e agli Usa neppure quella diplomatica e internazionale.
Basti pensare alla durissima presa di posizione di Erdogan e della Turchia rispetto all’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Finlandia e Svezia. Con tale mossa il sultano di Istanbul opera sui tre fonti che lo vedono impegnato al rilancio di un nuovo impero ottomano: non allontanarsi troppo da Putin, favorendone le mosse senza rafforzarlo troppo; colpire sempre più duramente i curdi del Rojava per ottenere il controllo definitivo di buona parte della Siria e far pesare il ruolo politico, diplomatico e militare di un paese che è la seconda potenza militare della Nato dopo gli USA6.

Per autoritaria e reazionaria che sia la figura del capo di Stato turco, è evidente che, come si dice da tempo su queste pagine, la crescita esponenziale del ruolo della Turchia nel quadrante mediorientale e nordafricano e, in un futuro neppur troppo lontano, centro-asiatico rivela uno degli aspetti importanti di quel nuovo disordine mondiale, causato dalle disordinate e ingovernabili politiche di globalizzazione volute e dirette da Washington, che sta alla base del conflitto in corso.

Uno dei tanti aspetti da sempre poco sottolineati dai media mainstream e dai funzionari del capitalismo liberal e falsamente democratico, che avrebbe fatto dire a Fabrizio De Andrè: anche se non ve ne siete accorti, siete lo stesso coinvolti. Con buona pace di tutte le anime belle che ancora si interrogano se davvero sia già in corso una guerra tra Nato, Russia e, andrebbe ancora detto, tutti gli altri.

Una guerra che se da un lato rivela il sogno neo-imperiale di Putin, dall’altra vede gli USA cercare di ottenere diversi risultati, non tutti solo a scapito della Russia o della Cina, ma anche degli “alleati europei”. Una imposizione di politiche economiche e militari devastanti per l’economia delle principali nazioni europee, cui evidentemente Francia e Germania cercano di opporsi, seppure ancora con guanti di velluto.

Una politica che cerca di sostituire petrolio e gas russi con quelli estratti negli o dagli Stati Uniti, molto più costosi, nel tentativo di creare un’ulteriore dipendenza economica e strategica dell’Europa Unita in chiave americana. Scelta che sta frantumando non solo il fronte europeo, ma anche quello delle sanzioni e che in data 16 maggio ha visto, al momento dell’insediamento del nuovo governo Orban in Ungheria, una autentica, anche se interessata alla possibilità di ottenere una maggiore assegnazione di fondi (dai 2 miliardi di euro ai 15 richiesti), dichiarazione di alterità rispetto alle politiche e alle sanzioni messe in atto della UE, soprattutto nel settore delle importazioni di petrolio dalla Russia.

Occorre notare poi ancora come queste scelte politiche ed economiche già dividono l’Europa dei 27 tra Est e Ovest forse in maniera ancora maggiore che ai tempi della Guerra Fredda e della Cortina di Ferro, poiché penetrano in profondità negli interessi dei singoli paesi, frantumandone la coesione sociale e politica non soltanto, o almeno non ancora, sul piano della lotta di classe, ma soprattutto su quello degli interessi delle varie branche e settori produttivi oppure politico-elettoralistici.

Come, nell’italietta da sempre giolittiana, dimostrano gli altalenanti e preoccupati giudizi di una parte dei rappresentanti dell’industria7 e i mal di pancia elettorali di Conte, Salvini, Giorgetti e Berlusconi. Che hanno portato il 16 maggio alla mancanza, per ben tre volte, del numero legale in aula per l’approvazione del Dl Ucraina bis8.

E’ un’Europa che si sfalda in maniera evidente sotto gli occhi di tutti, al di là delle vuote frasi di principio di Ursula von der Leyen, Sergio Matterella, Enrico Letta o di qualunque altro illusionista di un’unità che, se c’è mai stata, oggi è sempre meno viva ed efficace. Sfaldatura e sbriciolamento che non può fare a meno di riflettersi pesantemente sull’euro, ovvero la moneta che avrebbe dovuto garantire l’unità politico-economica europea stessa e la sua indipendenza rispetto al “re dollaro”.
Re, quest’ultimo, la cui autorità viene oggi severamente messa in discussione non tanto da un euro esangue e sconfitto su tutti i piani, ma dalle stesse sanzioni che avrebbero dovuto indebolire gli avversari e rafforzare il ruolo degli USA e della loro moneta.

Se, infatti, nell’analisi della guerra fosse più frequentemente adottata una concezione materialistica accompagnata da un saldo riferimento all’inevitabile scontro tra le classi da un lato e a quello tra le nazioni e gli imperi dall’altro, più che porre l’attenzione su inutili disquisizioni sui diritti liberali o il diritto alla resistenza degli Stati, si coglierebbe tra gli elementi che hanno contribuito a scatenare il conflitto, con il suo corollario di morte e distruzione, quello dello scontro di carattere monetario ovvero dettato dalle necessità non soltanto di ordine geopolitico ed egemonico dal punto di vista militare, ma anche da quella di dar vita ad un nuovo ordine multipolare monetario destinato a sopravanzare e sostituire quello sorto a Bretton Woods nel 1944.

Con gli accordi siglati nella località statunitense, per la prima volta nella storia, si erano stabilite delle regole internazionali per i commerci e i rapporti finanziari fra le principali potenze economiche mondiali. Gli USA, che meno di dodici mesi dopo sarebbero usciti come assoluti vincitori dal conflitto mondiale, imposero al resto del mondo la loro valuta, il dollaro.
Venne infatti stabilito che il dollaro diventasse la valuta di riferimento per i commerci mondiali. Grazie a quegli accordi gli Stati Uniti imposero il dollaro, che era dipendente dalle decisioni prese dalla Federal Reserve e dal dipartimento del Tesoro Usa, al resto del mondo.

E’ chiaro che tale situazione, che favoriva l’utilizzo del dollaro per tutte le principali transazioni finanziarie internazionali riguardanti sia il mercato azionario che quello dei beni e delle materie prime, avrebbe nel tempo suscitato rivalità e tentativi di scalzare una supremazia della moneta americana che, contemporaneamente, favoriva sia una facilitazione per le transazioni economiche che il predominio degli USA sul mercato mondiale. Principalmente finanziario, ma non solo.

Prima dell’avvento dell’euro che, nel corso dei venti anni dalla sua adozione, si era ritagliato una quota del 20%, la percentuale degli scambi in dollari era ancora più alta, con lo yen giapponese, la sterlina inglese e il marco tedesco a giocare il ruolo di debolissimi comprimari. La nascita dello stesso aveva eliminato un concorrente nazionale, il marco tedesco, e fortemente ridimensionato il ruolo delle altre due monete.

Così, in realtà tale contrasto tra il dollaro e le altre valute scorre sotto gli occhi degli spettatori distratti da diversi anni a questa parte, almeno fin dall’entrata in vigore dell’euro. Valuta che fu creata, ancor prima che per unire monetariamente l’Europa, proprio per dare all’economia europea una moneta comune in grado di scalzare il potere del dollaro sul mercato mondiale. Motivo per cui, però, tardando ad affermarsi come moneta di scambio e di riserva, pari o di poco inferiore al ruolo svolto dalla moneta americana, ha per un certo periodo contribuito al mantenimento del ruolo centrale svolto da quest’ultima.

Non a caso, solo per fare un esempio, agli occhi americani si rivelò particolarmente perniciosa la proposta di Saddam Hussein di accettare il pagamento in euro del petrolio iracheno. Motivo che rese l’ex-alleato inviso agli Stati Uniti ben più delle sue presunte frequentazioni terroristiche e delle sue mai trovate armi di distruzione di massa.

La finanza, la weaponizing finance, è diventata così un’arma che al momento attuale sono principalmente gli Stati Uniti a voler utilizzare, contando sullo strapotere del dollaro nel sistema monetario internazionale. Applicata alla Russia, nel breve periodo e fino ad ora, non ha però ottenuto l’effetto devastante che ci si aspettava, anzi, come vedremo tra poco, ha danneggiato più i suoi utilizzatori, in termini di inflazione, aumento del valore delle materie prime e beni di prima necessità come il grano. Iniziando già a contribuire sia ad uno sviluppo delle contraddizioni tra le classi, come in Sri Lanka e Tunisia, sia tra gli interessi degli Stati presunti alleati, come l’impossibile accordo sul tetto al costo del petrolio e del gas e la posizione di diversi stati europei sulle sanzioni alla Russia cominciano a dimostrare ben al di là della semplice sfera economica.

Se per alcuni anni l’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro è stato sfruttato in maniera concorrenziale dall’industria europea per favorire le proprie esportazioni, oggi con il cambio euro-dollaro giunto a 1,04 rispetto a quello di 1,20 di un anno fa o a quello di 1,45 di circa dieci/dodici anni fa, inizia a preoccupare seriamente gli investitori che prevedono che nel giro di qualche mese il ribasso potrebbe giungere ad una quasi parità tra moneta unica e dollaro (1,02 circa).

In altre parole, poco importa se l’inflazione nell’Eurozona sia schizzata al 7,5% in aprile, record storico da quando esiste l’euro. L’istituto non riesce ad alzare i tassi, perché teme che ciò provochi un innalzamento del costo del debito insostenibile per paesi come l’Italia. D’altra parte, la guerra in Ucraina sta colpendo direttamente il Vecchio Continente e per il momento non l’America. Dunque, la Federal Reserve sta alzando i tassi d’interesse e continuerà a farlo a passo veloce nei prossimi mesi per battere l’inflazione. La BCE ritiene di non poterselo permettere.
Per questo il cambio euro-dollaro sarebbe destinato a restare debole e a contrarsi maggiormente nei prossimi mesi. L’Eurozona rischia di entrare in recessione, per cui la BCE tentennerà sul rialzo dei tassi. Nel frattempo, la FED sarà pressata per battere l’inflazione, anche perché questo è diventato il capitolo più spinoso per l’economia americana prima delle elezioni di metà mandato a novembre. L’amministrazione Biden non può permettersi i lusso di lasciar correre ulteriormente i prezzi al consumo, altrimenti rischia una batosta storica in occasione del rinnovo del Congresso9.

Però il processo inflattivo acceleratosi a partire dall’inizio del conflitto ucraino ha fatto sì che la debolezza dell’euro si accompagnasse alla crescita dei prezzi del petrolio. Un anno fa, il Brent sui mercati internazionali era quotato meno di 68 dollari al barile. Allora, poi, il cambio euro-dollaro era di circa 1,21. E così un barile costava 56 euro. Ora le quotazioni salite, in aprile, sopra i 104 dollari e con il cambio euro-dollaro sceso a 1,06, un barile costa sui 98 euro, il 75% in più su base annua. Con tutte le conseguenze che si possono facilmente immaginare sia a livello di consumi privati, deprezzamento delle retribuzioni dei lavoratori e aumento generale del costo della vita accompagnato, in un prossimo futuro, da pesanti perdite, chiusure e licenziamenti in diversi settori industriali.

Ma fin qui ci porremmo ancora e soltanto sul piano dei conti della serva o di un ragionier alla Mario Draghi, poiché la weaponizing finance ha ottenuto anche ben altri risultati sul piano monetario.

Alla fine di gennaio, la Russia deteneva riserve in valuta estera per un valore di 469 miliardi di dollari. Questo tesoro è nato dalla prudenza insegnata dal suo default del 1998 e, sperava Vladimir Putin, anche una garanzia della sua indipendenza finanziaria. Ma, quando è iniziata la sua “operazione militare speciale” in Ucraina, ha appreso che più della metà delle sue riserve erano congelate. Le valute dei suoi nemici hanno cessato di essere denaro utilizzabile. Questa azione non è significativa solo per la Russia. Una demonetizzazione mirata delle valute più globalizzate del mondo ha grandi implicazioni […] Un denaro globale – uno su cui le persone fanno affidamento nelle loro transazioni transfrontaliere e nelle decisioni di investimento – è un bene pubblico globale. Ma i fornitori di quel bene pubblico sono i governi nazionali. Anche sotto il vecchio gold exchange standard, era così. […] Nel terzo trimestre del 2021, il 59% delle riserve globali in valuta estera era denominato in dollari, un altro 20% in euro, il 6% in yen e il 5% in sterline. Il renminbi cinese costituiva ancora meno del 3% delle riserve globali. Oggi, i fondi globali sono emessi dagli Stati Uniti e dai loro alleati, compresi quelli piccoli. Questo non è il risultato di una trama. I fondi utili sono quelli delle economie aperte con mercati finanziari liquidi, stabilità monetaria e stato di diritto. Eppure l’armamento di quelle valute e dei sistemi finanziari che le gestiscono mina quelle proprietà per qualsiasi detentore che teme di essere preso di mira. Le sanzioni contro la banca centrale russa sono uno shock. Chi, si chiedono i governi, sarà il prossimo? Cosa significa per la nostra sovranità? Si può obiettare alle azioni dell’Occidente per motivi strettamente economici: l’armamento delle valute frammenterà l’economia mondiale e la renderà meno efficiente. Questo, si potrebbe rispondere, è vero, ma sempre più irrilevante in un mondo di gravi tensioni internazionali. Sì, è un’altra forza per la deglobalizzazione, ma molti si chiederanno “e allora?”. Un’obiezione più preoccupante per i politici occidentali è che l’uso di queste armi potrebbe danneggiarli. Il resto del mondo non si affretterà a trovare modi per effettuare transazioni e immagazzinare valore che aggira le valute e i mercati finanziari degli Stati Uniti e dei loro alleati? Non è questo che la Cina sta cercando di fare in questo momento? Lo è. In linea di principio, si potrebbero immaginare quattro sostituti delle odierne valute nazionali globalizzate: valute private (come bitcoin); moneta merce (come l’oro); una valuta globale (come i diritti speciali di prelievo del FMI); o un’altra valuta nazionale, più ovviamente quella cinese10.

Ma un opuscolo recente di Graham Allison, dell’Università di Harvard, su The Great Economic Rivalry conclude che la Cina è già un formidabile concorrente degli Stati Uniti. La storia suggerisce che la valuta di un’economia delle sue dimensioni, sofisticazione e integrazione diventerebbe un denaro globale. Finora, tuttavia, questo non è accaduto. Questo perché il sistema finanziario cinese è relativamente poco sviluppato, la sua valuta non è completamente convertibile e il paese manca di un vero stato di diritto. La Cina è molto lontana dal fornire ciò che la sterlina e il dollaro hanno fornito nel loro periodo di massimo splendore. Mentre i detentori del dollaro e di altre importanti valute occidentali potrebbero temere sanzioni, devono sicuramente essere consapevoli di ciò che il governo cinese potrebbe fare loro, se lo scontentassero. Altrettanto importante, lo stato cinese sa che una valuta internazionalizzata richiede mercati finanziari aperti, ma ciò indebolirebbe radicalmente il suo controllo sull’economia e sulla società cinese. Questa mancanza di un’alternativa veramente credibile suggerisce che il dollaro rimarrà la valuta dominante del mondo. Eppure c’è un argomento contro questa visione compiacente, esposta in Digital Currencies, un opuscolo stimolante della Hoover Institution. In sostanza, questo è che il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero cinese (Cips – un’alternativa al sistema Swift) e la valuta digitale (l’e-CNY) potrebbero diventare un sistema di pagamento dominante e una valuta veicolo, rispettivamente, per il commercio tra la Cina e i suoi numerosi partner commerciali. A lungo termine, l’e-CNY potrebbe anche diventare una valuta di riserva significativa. Inoltre, sostiene l’opuscolo, ciò darebbe allo stato cinese una conoscenza dettagliata delle transazioni di ogni entità all’interno del suo sistema. Sarebbe un’ulteriore fonte di potere. Oggi, il dominio schiacciante degli Stati Uniti e dei loro alleati nella finanza globale […] conferisce alle loro valute una posizione dominante. Oggi non esiste un’alternativa credibile per la maggior parte delle funzioni monetarie globali. Oggi, è probabile che l’alta inflazione sia una minaccia maggiore per la fiducia nel dollaro rispetto alla sua militarizzazione contro gli stati canaglia. A lungo termine, tuttavia, la Cina potrebbe essere in grado di creare un giardino recintato per l’uso della sua valuta da parte di coloro che le sono più vicini. Anche così, coloro che desiderano effettuare transazioni con i paesi occidentali avranno ancora bisogno di valute occidentali. Ciò che potrebbe emergere sono due sistemi monetari – uno occidentale e uno cinese – che operano in modi diversi e si sovrappongono a disagio. Come per altri aspetti, il futuro promette non tanto un nuovo ordine globale costruito intorno alla Cina quanto più disordine. Gli storici futuri potrebbero vedere le sanzioni di oggi come un altro passo in quella direzione11.

Non soltanto le sanzioni nei confronti della Russia possono dunque contribuire allo sviluppo di un autentico avversario valutario con la crescita della Cina e del suo peso finanziario, oggi non ancora pari a quello produttivo, ma hanno già contribuito ad un rafforzamento dello stesso rublo che, dall’inizio della guerra, non soltanto ha raggiunto, nei confronti del dollaro, un valore di scambio precedentemente mai conseguito12, ma si è di fatto anche imposto come moneta per le transazioni riguardanti l’acquisto di petrolio e gas da parte dei paesi occidentali13.

Nonostante i balletti e le recite a soggetto messe in atto formalmente da Bruxelles, è chiaro e sotto gli occhi di tutti che, al momento attuale, i paesi europei, Germania e Italia in testa ma anche Austria, Ungheria e altri, non possono fare a meno del petrolio e del gas russo (che solo per l’Italia costituisce il 38% delle importazioni energetiche) e che per tali motivi sono disposti a pagare in rubli, pur facendo finta di niente. Oppure ricorrendo all’escamotage proposto loro dal governo russo e dal colosso Gazprom di poter indifferentemente accedere a due conti del gigante russo del gas, uno in rubli e uno in euro/dollari poi riconvertibili in rubli dalla stessa Gazprom.

Insomma dopo giorni e settimane e mesi di discussioni su sanzioni e pagamenti, alla fine ad uscirne rafforzata è stata la Russia che per la prima volta può ottenere il pagamento delle sue materie prime in rubli, prima ancora che in dollari. Se questa la si vuol chiamare sconfitta lo si faccia pure, magari in omaggio all’Eurovision Song Contest e alla società dello spettacolo che in tal modo vuole farci intendere il mondo, ma perché allora in un recente editoriale il direttore della «Stampa» si è dimostrato così preoccupato da scrivere quanto segue:

L’euro ha forgiato un nucleo duro di paesi. L’Unione monetaria ci ha illuso di poter far da traino a tutto il resto, dalla difesa al Welfare. E di poter diventare , addirittura, valuta di riserva su scala globale. Oggi naufraga anche quella illusione sotto i colpi dei missili Kalibr e delle bombe al fosforo di Mosca. C’è un altro conflitto che non stiamo vedendo […] è la guerra per l’egemonia valutaria, che potrebbe spazzar via il poco che resta del pur già instabile “ordine finanziario” nato dagli accordi di Bretton Woods del luglio del ’44, quando il mondo incoronò Re Dollaro come moneta di riferimento dei commerci internazionali […] Oggi quel Regno, già periclitante, è insidiato dagli stravolgimenti geo-politici innestati dalla guerra santa di Putin. E l’America, che attraverso il dollaro controlla il 90% degli scambi globali e il 59% delle riserve delle banche centrali del mondo, combatte a distanza al fianco di Zelensky anche per difendere il suo trono valutario.
[…] Per togliere ossigeno allo Zar e al suo esercito, Washington e Bruxelles hanno varato sanzioni che hanno colpito finora 5.500 obiettivi russi […] Putin ha risposto imponendo l’obbligo del pagamento in rubli su tutte le forniture di gas e petrolio. USA e UE, dopo un secco rifiuto iniziale, stanno gradualmente cedendo al ricatto […] Questa escalation sancisce già l’inizio della fine di un sistema monetario “aperto”. L’uso massiccio ed esteso delle sanzioni è un formidabile dissuasore non solo politico, ma anche finanziario e commerciale […] Ma ora il fenomeno si sta allargando ed elevando a sistema. Ma proprio perché elevate a sistema, le sanzioni contribuiscono a minare la fiducia nel dollaro e spingono a cercare soluzioni valutarie alternative o parallele. Sta già succedendo. La Cina ha avviato trattative con l’Arabia Saudita, per convincere Riad ad accettare renmimbi al posto dei dollari nel pagamento delle forniture petrolifere. Pechino ha anche avviato lo sviluppo dello “e-yuan”, la sua moneta digitale, e del “China Interbank Payment System”, piattaforma autonoma per i pagamenti internazionali, con l’obiettivo di staccarsi il prima possibile dal circuito occidentale Swift. A Erevan, a metà marzo, si è svolto il meeting “Nuova fase della cooperazione monetaria e finanziaria tra l’Unione Economica Euroasiatica e la Repubblica Popolare Cinese” […] L’idea di Eurasia è esattamente questa: costruire un sistema monetario e finanziario internazionale “post-americano” […] Secondo Mosca e il cartello euro-asiatico il congelamento delle riserve valutarie russe nei conti di deposito delle banche centrali occidentali , da parte degli Stati Uniti, dell’UE e del Regno Unito, ha incrinato lo status del dollaro, dell’euro e della sterlina come valute di riserva globale. Ed è questo che impone un’accelerazione verso lo smantellamento dell’ordine economico mondiale imperniato sul biglietto verde.
Ecco dunque l’altra posta in gioco della guerra ucraina, che fa convergere Putin e XiJinping. L’attacco all’egemonia americana attraverso il dollaro […] Ovviamente non è detto che riesca. Ma il tentativo è avviato. E come minimo produrrà una riaggregazione tra società “chiuse” e una de-globalizzazione per zone di interesse […] In questa terra incognita, va da sé, chi rischia di cadere e farsi male è ancora una volta l’Europa con la sua moneta zoppa. Nell’ultimo anno l’euro si è già deprezzato del 15%. Nelle ultima settimane è scivolato a quota 1,04 contro il dollaro […] Un disastro, visto che il grosso della nostra inflazione è importata e deriva soprattutto dai costi proibitivi delle risorse energetiche14.

Bene, dopo questa autentica “confessione” di un rappresentante dell’informazione mainstream, è giunto il momento di tirare alcune prime conclusioni.

La prima è che non vi possono essere più dubbi sulla gravità del conflitto militare in atto e sull’inevitabilità del suo allargamento su scala mondiale, visto che è destinato ridefinire ruoli e posizioni di comando all’interno del controllo dei mercati, delle ricchezze e delle risorse mondiali.

La seconda è costituita dal fatto che tutte le attuali alleanze, soprattutto in Occidente, sono destinate a sfaldarsi e a diventare motivo di conflitto più che di mantenimento di un ordine qualsiasi o della pace.

La terza è che l’Europa ancora una volta sarà al centro del conflitto, con tutte le conseguenze che da ciò deriveranno.

La quarta, e per ora ultima, è che i giovani, le donne, i lavoratori, i ceti medi impoveriti, le classi che non hanno mai neppure potuto intravedere una possibilità di miglioramento delle proprie condizioni economiche e sociali e gli stessi soldati non hanno e non avranno alcun interesse a schierarsi e a combattere per l’euro, il dollaro, la sterlina, il rublo o lo yuan.

Non avranno alcun interesse a schierarsi con sistemi che attraverso lo sfruttamento della forza lavoro e dei corpi, l’estrattivismo, la proprietà privata, il Dio denaro e l’accaparramento nelle mani di pochi delle ricchezze socialmente prodotte hanno creato le condizioni del conflitto militare e di quello di classe in ogni angolo del globo.
E proprio su quest’ultimo punto si giocherà la sopravvivenza dell’intera specie e il suo divenire.

il nemico è qui tra noi,
mangia come noi, parla come noi,
dorme come noi, pensa come noi
ma è diverso da noi.
Il nemico è chi sfrutta il lavoro
e la vita del suo fratello;
il nemico è chi ruba il pane
il pane e la fatica del suo compagno;
il nemico è colui che vuole il monumento
per le vittime da lui volute
e ruba il pane per fare altri cannoni
e non fa le scuole e non fa gli ospedali
e non fa le scuole per pagare i generali, quei generali
quei generali per un’altra guerra…

N. B.
La canzone “Il monumento” è firmata per il testo e la musica da Jannacci, ma una nota all’interno del disco in cui era pubblicata nel 1975, “Quelli che…” , dall’etichetta Ultima Spiaggia di Nanni Ricordi, segnalava che il testo antimilitarista, era tratto da un volantino trovato durante l’inaugurazione di un monumento ai caduti; nella realtà era invece tratta da una poesia di Bertolt Brecht (pubblicata tradotta in italiano nel settembre del 1965 nel numero 6 della rivista Nuovo Canzoniere Italiano a pagina 32).

(Fine prima parte )


  1. Sull’argomento si potrebbe rivelare utile la lettura di Domenico Quirico, Azov, gli eroi impossibili serviti per la propaganda di russi e ucraini, «La Stampa», 18 maggio 2022  

  2. “Kiev deve fronteggiare le operazioni a sud e a est, settori in cui l’artiglieria ha un ruolo predominante, per le caratteristiche del territorio e perché i russi l’hanno sempre considerata una specialità: la stanno usando infatti in modo massiccio per «arare» le posizioni della resistenza. Vogliono distruggere le trincee ben costruite, ma anche piegare il morale. L’artiglieria permette infatti di colpire da lontano, rallentando o distruggendo le forze nemiche e consentendo al tempo stesso a fanteria e blindati di avanzare. I russi sono dunque incessanti nei tiri, come loro stessi raccontano nei bollettini ufficiali: soltanto martedì sono stati colpiti 400 siti, sostiene la Difesa russa.
    Dalla sua, Mosca ha l’esperienza, i numeri, la potenza: l’artiglieria è il cuore dell’esercito russo già dai tempi dell’Impero, nota l’Economist. Durante il precedente conflitto nel Donbass i suoi soldati erano in grado di agire nell’arco di 4 minuti dal momento in cui veniva identificato il target. Quell’operazione ha infatti avuto successo, anche grazie ad un arsenale vasto. Un suo lanciatore multiplo Smerch di progettazione sovietica può arrivare a 70 chilometri di stanza, un pezzo D-30 a 22, quindi i mortai pesanti trainati da mezzi (il Tyulpan) tra 9 e 20 chilometri, i veri semoventi corazzati capaci di arrivare fino a 30 chilometri. Le batterie inquadrano un’area, gli uomini sono assistiti dai droni e dalla ricognizione, quindi iniziano a martellare. Possono continuare per giorni, a patto di avere scorte a sufficienza, ma anche una rete logistica di livello: una singola «bomba» da 155 mm può pesare 50 chilogrammi”, da Andrea Marinelli e Guido Olimpio, La potenza russa contro gli aiuti esterni ucraini: il ruolo dell’artiglieria nella seconda fase della guerra, «Corriere della sera», 5 maggio 2022

     

  3. Si veda qui  

  4. Si veda in proposito il sempre utile e dettagliato film di Ridley Scott, Black Hawk Down, del 2001  

  5. Fabio Mini, Kharkiv né occupata né liberata. A Mariupol niente più resistenza, «il Fatto Quotidiano», 16 maggio 2022  

  6. Si veda, a titolo di esempio, Steven A. Cook, Ukraine’s War Is Erdogan’s Opportunity. «Foreign Policy», 29 marzo 2022  

  7. Si veda l’intervista a Paolo Agnelli, industriale leader nel settore dell’alluminio e presidente di Confimi Industria – associazione che raccoglie 45milaimprese e 650mila dipendenti – sulle pagine di «Verità & Affari» del 15 maggio 2022: Maurizio Cattaneo, «Draghi non faccia il ragioniere. Materie prime ed energia? Si rivede il baratto»  

  8. qui  

  9. Giuseppe Timpone, Cambio euro-dollaro sulla parità entro fine anno, ecco perché, «Investire oggi», 12 maggio 2022  

  10. Martin Wolf, Un nuovo mondo di disordine valutario incombe, «Financial Times», 29 marzo 2022  

  11. Martin Wolf, cit.  

  12. Si veda qui  

  13. Vanessa Ricciardi, Putin sta vincendo almeno la guerra del gas. Anche l’Italia si piega, «Domani», 12 maggio 2022  

  14. Massimo Giannini, L’Occidente prigioniero e il trono di Re Dollaro, «La Stampa», 15 maggio 2022  

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La peste nera in Europa https://www.carmillaonline.com/2022/05/01/la-peste-nera-in-europa/ Sun, 01 May 2022 21:55:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=71599 di Nico Maccentelli

In occasione dell’anniversario della strage di Odessa, avvenuta il 2 maggio del 2014, e che è possibile approfondire  sulla stessa Carmillaonline qui e su L’Interferenza qui, intendo mettere in rilievo un fenomeno preoccupante che si stagliando in Italia e in Europa in generale e che sostanzialmente si basa sullo sdoganamento, e direi la “santificazione”, da parte dei media mainstream del nazismo ucraino.

Partirei dall’episodio avvenuto a Bologna, alla festa partigiana Oltre il ponte, organizzata da Potere al Popolo: ore 19,00, un ucraino inizia a [...]]]> di Nico Maccentelli

In occasione dell’anniversario della strage di Odessa, avvenuta il 2 maggio del 2014, e che è possibile approfondire  sulla stessa Carmillaonline qui e su L’Interferenza qui, intendo mettere in rilievo un fenomeno preoccupante che si stagliando in Italia e in Europa in generale e che sostanzialmente si basa sullo sdoganamento, e direi la “santificazione”, da parte dei media mainstream del nazismo ucraino.

Partirei dall’episodio avvenuto a Bologna, alla festa partigiana Oltre il ponte, organizzata da Potere al Popolo: ore 19,00, un ucraino inizia a inveire contro i compagni del banchetto del Comitato Ucraina Antifascista, si cerca di contenerlo con le buone, questi chiama i suoi compari al telefono, nel giro di mezzora arriva una trentina di facinorosi i quali iniziano a fotografare e filmare gli astanti e cercano di attaccare il banchetto del comitato, qualcuno di questi si è qualificato come aderente a Pravy Sektor (Settore Destro), qualcuno parlava bene l’italiano, i compagni presenti alla festa erano in numero preponderante e sono riusciti a respingere l’attacco oltre le transenne che limitano lo spazio della festa.

Questi sono i fatti accaduti il 23 aprile a Bologna, ma gli episodi analoghi come l’ostruzione aggressiva alla presentazione del libro di Sara Reginella a Senigallia “Donbass una guerra fantasma”, ormai non si contano più. A questo si aggiungono aggressioni e cartelli intimidatori contro cittadini russi: chiare forme di razzismo che non fanno fare una piega a quella “sinistra” soprattutto dem che parla tanto a vanvera di razzismo. È un fatto estremamente grave che i “paladini” dirittoumanitaristi, vieppiù in una società che vanta di essere civile, non potrebbero tollerare. E invece tollerano.

Al di là di momenti di tensione non si sa quanto spontanei, se analizziamo l’assalto di Bologna, non si possono non trarre delle opportune osservazioni.

La capacità di intervento rapido sul territorio, basta una chiamata, il sapere già cosa fare, come foto e video: quando si fotografa, si scheda per individuare e colpire

Tutto ciò mi porta a pensare che questi siano gruppi di ucraini organizzati che sfruttano le simpatie dei propri connazionali verso le forze naziste che hanno fatto il golpe NATO del 2014, la compiacenza dei media nostrani e di partiti di regime come il PD per agire secondo una logica politica criminale esportata da un contesto in cui gli oppositori vengono fatti sparire, uccisi dopo essere stati brutalizzati e torturati.

Molti erano già qua, conoscono la lingua italiana, forse cellule sinora “in sonno”? Altri sono arrivati da poco: chi li ha fatti passare insieme ai profughi, visto che il governo Zelensky ha disposto un provvedimento di blocco alle frontiere per gli uomini over 18 anni? E perché?

Chi fotografa e fa riprese, non lo fa per turismo: mappa la zona, dove c’è chi fa attività ed ha una presenza, scheda gli avversari. Che funzione ha questa attività, che è di fatto un automatismo dovuto alle stesse pratiche messe in opera in Ucraina?

Ma veniamo all’aspetto più inquietante. Se sono vere tutte queste considerazioni e le domande fatte sinora portano alla conclusione che c’è una presenza organizzata di stampo nazista banderiano sul nostro territorio nazionale, ciò significa che abbiamo sul terreno degli elementi criminali che non hanno le modalità di scontro tra fazioni che ci sono qui in Italia, in altre parole non sono quelle mezzeseghe dei nostri neofascisti nostrani, ma soggetti addestrati e abituati a regole d’ingaggio che prevedono l’eliminazione fisica e le atrocità che ben conosciamo ma che i media di regime occultano, che sono pratica usuale in Ucraina.

L’attivista di sinistra Spartak Golovachev, scomparso a Kharkiv. “La porta è stata sfondata da uomini armati in uniforme ucraina. Addio“, è riuscito a scrivere sui social. Di lui non si sa più nulla.

C’è chi sostiene che trasferire sul nostro territorio quel tipo di logica di conflitto, significherebbe cancellare i nostri principi di convivenza civile. (1) Lo squadrismo già visto all’opera in tutti questi anni in Ucraina da Euromaidan a Odessa, alla caccia agli oppositori e avversari politici potrebbe divenire anche nel nostro paese un fenomeno che condizionerebbe fortemente l’attività politica di chi si oppone alle logiche di guerra e su un terreno di antifascismo.

Ma questo ci porta a un’altra considerazione di ordine più generale. In Ucraina c’è una guerra per procura che vede contrapposte la NATO (gli USA) e la Russia. È una guerra iniziata nel 2014 con il golpe di Euromaidan, uno scontro che ha anche aspetti razzisti di pulizia etnica, infatti gli ucronazi hanno oppresso e discriminato per ben otto anni la popolazione russofona, soppresso partiti d’opposizione come il partito comunista ucraino e di recente ben 16 partiti, dato la caccia ed eliminato una miriade di oppositori e attivisti di sinistra, dei diritti umani, blogger, o semplicemente persone non d’accordo con il regime nazista di Kiev. Qui alcuni esempi. 

Non certo un bolscevico incallito, ma Toni Capuozzo sostiene (e non a torto): «Il battaglione Azov negli anni ha fatto una pratica di pulizia etnica in Donbass, sono dei nazisti pragmatici. L’esercito ucraino lo ha reclutato e ampiamente usato.»

Il referendum in Crimea e la dichiarazione di indipendenza delle due repubbliche del Donbass sono state dunque la giusta reazione a questo processo repressivo indiscriminato. In questi otto anni di guerra nel Donbass si sono raccolte forze di estrema destra, nazisti, fascisti da ogni parte d’Europa e del mondo: polacchi, baltici, dall’Europa occidentale, come tedeschi, britannici, anche italiani, creando non solo delle forze fresche per battaglioni nazi come l’Azov, ma un bacino di nazisti combattenti da impiegare in altri teatri del continente europeo.

Ne l’Arte della guerra su Il Manifesto del 18 marzo 2014, e pensate sin da allora, Manlio Dinucci scriveva:

«Sotto regia Usa/Nato, attraverso la Cia e altri servizi segreti sono stati per anni reclutati, finanziati, addestrati e armati i militanti neonazisti che a Kiev hanno dato l’assalto ai palazzi governativi, e che sono stati poi istituzionalizzati come «guardia nazionale». Una documentazione fotografica, che circola in questi giorni, mostra giovani militanti neonazisti ucraini di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato, che insegnano loro tecniche di combattimento urbano ed uso di esplosivi per sabotaggi e attentati. Lo stesso fece la Nato durante la guerra fredda per formare la struttura paramilitare segreta di tipo «stay-behind», col nome in codice «Gladio». Attiva anche in Italia dove, a Camp Darby e in altre basi, vennero addestrati gruppi neofascisti preparandoli ad attentati e a un eventuale colpo di stato.» (2)

Le metodiche USA-NATO sono sempre le stesse.

Kiev, 28 aprile 2021, manifestazione che commemora la divisione SS Galizia, responsabile di diversi crimini di guerra tra i quali il massacro di Huta Pieniacka e la partecipazione alla soppressione della rivolta di Varsavia nel 1944

L’Ucraina è la lebbra che s’aggira per l’Europa, costruita e iniettata in modo scientifico e programmato. È diventata l’epicentro continentale di una false flag nazifascista, strumento NATO come è l’ISIS. Solo che mentre l’ISIS fondava la sua azione terroristica in Europa sulle stragi indiscriminate sulla popolazione al fine di creare terrore e rafforzare gli esecutivi di determinati paesi del blocco NATO, il terrorismo nazista creato sempre dalle stesse forze atlantiste in Ucraina attacca strutture e e persone attive nelle politiche di opposizione oggi in Ucraina, domani… siamo solo agli inizi. Oggi gli attacchi di bassa intensità, magari solo di reazione a iniziative politiche non gradite, riguardano coloro che direttamente sono collegati alla questione ucraina poiché sostengono l’indipendenza del Donbass. Ma domani questa manovalanza organizzata potrà essere il braccio armato degli esecutivi NATO con il disinteresse compiacente di certa “sinistra” euroimperialista e con il sostegno propagandistico dato dai media e dal mainstream occidentale filo-NATO al regime di Kiev, con la falsificazione della reale natura dei nazisti fatti passare per patrioti. La correlazione tra preparazione dell’opinione pubbica alla guerra e l’attacco manu militari a chiunque si organizzi per opporsi al macello imperialista non è un’ipotesi belluina. E la nascita di queste prime provocazioni squadristiche a opera di sedicenti “profughi” ucraini è un’avvisaglia preoccupante.

Ma la propaganda di guerra sta andando ben al di là di ogni immaginazione. Siamo arrivati al punto che un esponente del Partito Democratico come Marco Minniti (3) a La7, nel salotto televisivo di Myrta Merlino, dichiari candidamente che la terza guerra mondiale non è da escludere. (4) Da sempre il pacifismo si è caratterizzato per l’esclusione assoluta del ricorso alla guerra. Figuriamoci quella nucleare! Ma il PD ha stravolto la nozione stessa di pacifismo attraverso la retorica di una narrazione tossica che unisce armi a pace, pacifismo (meglio dire: pacifinto…) all’alleanza bellica con uno dei due contendenti, alla fedeltà alla NATO, ossia a un dispositivo bellico imperialista, e peggio: all’eventualità di una guerra devastante come opzione sul tavolo. Il tutto condito con stronzate sulla libertà violata, pura propaganda di guerra molto simile a quella degli interventisti della Grande Guerra, se non per contenuti, per il tono pervasivo e retorico, che non ammette repliche e in un clima di caccia alle streghe “putiniane”.

Episodi come quello di Bologna e la politica bellicista del governo e delle forze che lo sostengono, insieme alla propaganda dei media di regime, pare dunque che non siano elementi casuali e scollegati tra loro: anche se non sono dimostrabili correlazioni dirette, sono di fatto tutti espressione di un unico disegno politico guerrafondaio, dove ognuno ha il suo ruolo e il burattinaio muove i fili. 

A livello internazionale le centrali di intelligence e le cancellerie dettano la narrazione ai centri di informazione: tutto deve filare senza intoppi, i nazi ucraini di Pravy Sektor, Svoboda e i battaglioni nazisti come l’Azov devono essere sdoganati ed esaltati. La denazificazione, intesa come pulizia d’immagine dei nazi ucraini, la stanno facendo i media di regime in tutto il mondo occidentale. Sicché persino Wikipedia (5) diviene strumento di ricostruzione della storia in funzione bellica e quella che prima era definita la summenzionata “strage di Odessa”, oggi è divenuta “il rogo di Odessa”, con una versione dei fatti decisamente ritoccata. Del resto lo stesso governo ucraino di allora non aveva forse parlato di scontri tra avverse tifoserie?

Tutto fa parte di un’unica strategia da parte dell’atlantismo a guida USA, che è quella di mantenere con la forza l’unipolarismo USA e l’egemonia del dollaro, di fronte ad altri attori emergenti come Cina, Russia e India verso una realtà mondiale multipolare. Una strategia che punta a ridurre la realtà fattuale del multipolarismo a una divisione per blocchi, a un bipolarismo come nell’era della deterrenza USA-URSS. 

La guerra è un’opzione ormai sul tavolo. In particolare è l’opzione che si pone l’anglosfera, ossia quell’insieme di forze del capitale monopolistico e finanziario anglosassoni a dominanza USA, che hanno tutto l’interesse di dividere la Russia dal resto dell’Europa per evitare che, insieme alla de-dollarizzazione, si formi un vasto polo continentale euro-asiatico che possederebbe tecnologie, risorse e mercati, in stretto collegamento (via della Seta) con il mondo asiatico.

La balcanizzazione dell’Europa, portando fascismo in nuove modalità e guerra, è la nota prioritaria nell’agenda della Casa Bianca. Mai come oggi il collegamento operativo tra centrali di intelligence, cancellerie e mezzi di comunicazione di massa è stato così diretto e immediato.

Avere e diffondere una posizione contro la guerra non sarà facile: il braccio armato della NATO e dei suoi esecutivi vassalli degli USA, ossia la peste nazista che si va diffondendo in Europa è il nuovo fascismo interventista che grava sui movimenti che si oppongono alla guerra imperialista.

Pertanto, o le forze anticapitaliste e di classe comprendono quale sia la posta in gioco e iniziano a lavorare, anche se in ritardo, per organizzare una vasta alleanza sociale contro la guerra, saltando lo steccato dei vecchi antifascismi ormai inutili per la lettura della nuova realtà geopolitica, costruendo un’antifascismo basato l’anti-atlantismo, anti-neocoloniale e antimperialista, oppure sono forze destinate alla marginalità politica e all’inconcludenza.

 

NOTE:

  1. Riccardo Paccosi di Emilia Romagna Costituzionale in un suo intervento
  2. (https://ilmanifesto.it/la-nuova-gladio-in-ucraina)
  3. Marco Minniti, PD, ex COPASIR, oggi alla guida di Med-Or della Fondazione Leonardo, azienda italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, molto interessata alle… questioni militari
  4. Qui un’altra chicca del Minniti nel salotto della Merlino
  5. https://www.lindipendente.online/2022/04/02/la-strage-di-odessa-diventa-un-rogo-senza-colpevoli-su-wikipedia-si-riscrive-la-storia/
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