Bartolomeo Vanzetti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 25 Aug 2025 22:01:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Vita passionale di un’anarchica https://www.carmillaonline.com/2024/12/27/vita-passionale-di-unanarchica/ Fri, 27 Dec 2024 21:00:11 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=86235 di Paolo Lago

Francisco Soriano, Claudia Valsania, Virgilia D’Andrea. Una poetica sovversiva, introduzione di Giorgio Sacchetti, Nova Delphi, Roma, 2024, pp. 272, euro 15,00.

È scritta con passione questa monografia su Virgilia D’Andrea di Francisco Soriano e Claudia Valsania, e riesce meravigliosamente a trasferire sulla pagina la passione poetica e politica di una grande scrittrice e poetessa che meriterebbe un ben più ampio spazio nella storia letteraria italiana del Novecento. Non si tratta di una semplice biografia ma di un’attenta disamina critica dell’opera e della militanza di Virgilia D’Andrea, la quale è stata non solo una letterata ma anche un’importante attivista [...]]]> di Paolo Lago

Francisco Soriano, Claudia Valsania, Virgilia D’Andrea. Una poetica sovversiva, introduzione di Giorgio Sacchetti, Nova Delphi, Roma, 2024, pp. 272, euro 15,00.

È scritta con passione questa monografia su Virgilia D’Andrea di Francisco Soriano e Claudia Valsania, e riesce meravigliosamente a trasferire sulla pagina la passione poetica e politica di una grande scrittrice e poetessa che meriterebbe un ben più ampio spazio nella storia letteraria italiana del Novecento. Non si tratta di una semplice biografia ma di un’attenta disamina critica dell’opera e della militanza di Virgilia D’Andrea, la quale è stata non solo una letterata ma anche un’importante attivista anarchica che ha segnato la storia dell’anarchismo di inizio Novecento. In ogni parola di Soriano e Valsania vibra una forte tensione militante e la stessa scrittura del saggio sembra attingere alla forza poetica di D’Andrea: la sua è infatti una poesia che prende spunto direttamente dalle ingiustizie dei potenti nei confronti dei più deboli. Nata a Sulmona, in provincia dell’Aquila, nel 1888, orfana dei genitori, si trovava in un convento quando nel 1900 Gaetano Bresci uccise il re Umberto I, colpevole di aver decorato il generale Bava Beccaris che aveva ordinato di sparare sul popolo inerme e affamato che chiedeva il pane compiendo una strage. Bresci è stato solo un folle e un criminale oppure è stato spinto da una qualche superiore motivazione? – si chiese Virgilia. E da qui iniziò probabilmente la sua personale presa di coscienza delle numerose violenze inflitte ai poveri e ai diseredati da parte del potere. Nel suo romanzo Torce nella notte, D’Andrea, infatti, non manca di sottolineare l’assoluta insensibilità dei governanti nei confronti delle vittime del terremoto che nel 1915 colpì l’Abruzzo e rase al suolo Avezzano: poverissime frange di popolazione abbandonate a sé stesse nel momento del bisogno ma non certo dimenticate quando si trattava di richiamarle per la leva obbligatoria allo scoppio della prima guerra mondiale per difendere la “patria” (parola che per la scrittrice è la conseguenza di un egoismo collettivo e nasconde “ambizioni di dominio e di sfruttamento”). Virgilia D’Andrea, successivamente, entrò a far parte dell’Unione sindacale e si dedicò all’attività di sindacalista, insieme al suo compagno, Armando Borghi, uno dei leader del movimento anarchico, collaborando a “Umanità Nova”. Venne perseguitata e arrestata e, dopo l’avvento del fascismo, dovette riparare in Germania, in Olanda, a Parigi e, infine, negli Stati Uniti dove morì nel 1933.

Il saggio si compone di diversi capitoli che costituiscono varie finestre sulle opere e sull’attività letteraria e militante di Virgilia: molti di essi sono dedicati a personaggi che hanno rivestito un’importanza fondamentale nel suo percorso politico, come Pietro Gori, Ottorino Manni, Sante Pollastro, Michele Schirru. Un capitolo del libro è dedicato a una interessante disamina della rivista “Veglia”, fondata da Virgilia D’Andrea nel 1926 e da lei diretta: si può notare che un periodico fondato e diretto da una donna è sicuramente qualcosa di non comune per l’epoca. Soriano e Valsania analizzano in modo filologico e preciso gli interessanti articoli presenti negli otto numeri di “Veglia”, firmati anche da importanti attivisti e letterati. Il primo numero della rivista è caratterizzato da un editoriale firmato dalla stessa Virgilia, dal titolo Braciere ardente, che poi andrà a costituire un capitolo del romanzo Torce nella notte: “Il testo racconta del momento in cui l’anarchica vede nascere intorno a lei, nei suoi compagni di esilio, l’idea di una rivista mensile che fosse «la eco di tutte le nostre voci» e insieme lo spazio strappato al buio per essere restituito all’«Ideale», segnando così il primo passo per la nascita di «Veglia»”. Sempre nel primo numero è presente anche un articolo del pittore e architetto futurista Vinicio Paladini, dal titolo L’influenza dell’anarchia nell’arte, firmato con lo pseudonimo Vasco dei Vasari. La grande arte, per l’autore dell’articolo, è data dall’indipendenza degli artisti da qualsiasi forma di potere, in aperta opposizione agli accademismi di ogni tipo sottoposti alle logiche di controllo che lo stesso potere esercita: ecco allora – tra gli altri – grandi artisti come Corot, Millet, Cézanne, Degas, Courbet, Manet, Van Gogh che non hanno piegato la testa di fronte alle imposizioni del potere. Il secondo numero di “Veglia” è invece dedicato “ai tragici eventi che riguardarono Sacco e Vanzetti” mentre risulta interessante, fra i molti analizzati da Soriano e Valsania, un altro testo scritto da Virgilia D’Andrea presente nel n. 6 di “Veglia”, intitolato Adolescenza luminosa e dedicato a Anteo Zamboni, il quindicenne che nel 1926, a Bologna, attentò alla vita di Mussolini e venne catturato da Carlo Alberto Pasolini, ufficiale dell’esercito padre di Pier Paolo Pasolini. Sempre nel n. 6 risulta interessante la presenza di una poesia firmata da “uno sconosciuto consigliere comunale di Ravenna” dal titolo Imprecazione poetica contro i ricchi nei giorni di loro maggiore esultanza: si tratta della prima stesura di un componimento di Lorenzo Stecchetti (alias Olindo Guerrini), poeta scapigliato e realista, che molto ricorda le taglienti rime del più famoso Canto dell’odio. A Sacco e Vanzetti è poi dedicato anche l’ultimo numero, il n. 8, che reca in copertina un’inquietante illustrazione (riprodotta insieme ad altre in appendice al volume) in cui vediamo la Statua della Libertà che, invece della fiaccola, tiene una sedia elettrica nel suo braccio levato al cielo (ancora più inquietante dell’immaginario kafkiano che, in Amerika, rappresentava il braccio alzato recante una spada).

Nel capitolo intitolato “Richiamo all’anarchia”, Soriano e Valsania si concentrano sull’importante attività di conferenziera di Virgilia D’Andrea: in Chi siamo e che cosa vogliamo, conferenza tenuta a New York il 20 marzo del 1932, “Virgilia ben argomenta la sua idea di anarchia laddove sfida chi afferma che senza un governo, una legislazione, una repressione non può esistere l’ordine”. Interessante è ricordare come la poetessa e attivista ritrovi nella storia della letteratura un pensiero anarchico ante litteram, addirittura a partire dall’Iliade, laddove il personaggio di Tersite, emarginato e deforme, si scaglia contro gli dei e contro qualsiasi forma di potere. Fino a Shakespeare, Cervantes, Victor Hugo, Zola, per giungere poi agli autori prediletti Carducci, Pascoli, Rapisardi, Ada Negri e Pietro Gori, incontriamo personaggi spinti da una sorta di spirito anarchico, ribelli e indomabili, personaggi che D’Andrea sente vicini e affini alla sua ispirazione. Un’altra conferenza, tenuta a New York il 6 gennaio 1929, è invece dedicata a Pietro Gori: “Con questo intervento-parafrasi sulla poesia di Pietro Gori, l’anarchica mostra tutta la sua magnificenza umana, etica, artistica e letteraria. Scorge nei versi di questo mirabile poeta risvolti di dolcezza ed eleganza difficili da riscontrare in altri scrittori”.

I due studiosi si concentrano poi sull’attività poetica di D’Andrea analizzando alcune significative poesie appartenenti alla raccolta Tormento la cui prima edizione uscì nel 1922 con una prefazione di Errico Malatesta: “I testi poetici di Tormento rappresentano un chiaro esempio di poesia civile, non riconducibile tuttavia a uno specifico canone, partorito in una cornice storica dominata da autoritarismi e sistemi di governo che non esitavano a utilizzare metodi violenti per reprimere le libertà di pensiero e di parola”. Successivamente, incontriamo l’analisi di alcuni saggi politici e letterari dell’autrice: in I “bravi” sulla fossa di Manzoni, D’Andrea afferma che Manzoni, con il personaggio di Renzo, ha dato vita alla voce del popolo perennemente oppresso; in Perché cercate il vivente tra i morti?, dedicato a Giacomo Matteotti, “Virgilia apre la sua narrazione immaginando di ripercorrere quanto accaduto a Matteotti nel momento dell’omicidio e il dialogo con i suoi assassini”.

Il capitolo finale è dedicato al sodalizio culturale, affettivo e umano fra Virgilia D’Andrea e Armando Borghi fino alla scomparsa di lei, avvenuta a New York nel 1933 a causa di una grave malattia: unendosi a lui, Virgilia si immedesimò nelle battaglie che egli portava avanti in seno al movimento sindacale e trovò un sincero compagno di ideali e di lotta. Nelle parole dello stesso Borghi, la scomparsa di Virgilia D’Andrea lasciò un vuoto incolmabile nel movimento anarchico e nella cultura letteraria e poetica. Virgilia D’Andrea non va dimenticata, anche e soprattutto oggi, in questi tempi di buio e d’incertezza. Il bel volume di Soriano e Valsania, con passione e vera militanza culturale, ci aiuta a tenerla viva: lei, la sua lotta e la sua opera.

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La degna paga del compagno «Ferrara» https://www.carmillaonline.com/2024/12/14/la-degna-paga-del-compagno-ferrara/ Fri, 13 Dec 2024 23:05:18 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=85745 di Luca Baiada

Rosanna Cavazzini, La vita degna. Severino Cavazzini, 1903-1983. Una lunga avventura, Amazon, 2023, pp. 123, euro 10,40

Gli piaceva la canzone Les feuilles mortes, quella che fa «vedi, non ho dimenticato…», cantata da Yves Montand, cioè da Ivo Livi, un toscano cresciuto in Francia perché figlio di esuli. Lui, però, in Francia c’era andato già grande. Anche per lui un esilio, ma con una precoce militanza politica. L’origine di Severino Cavazzini è ferrarese, e «Ferrara» sarà il suo soprannome a Parigi, poi il suo nome di battaglia nella cospirazione e nella Resistenza. Ferrara, quella del quartiere popolare: Borgo [...]]]> di Luca Baiada

Rosanna Cavazzini, La vita degna. Severino Cavazzini, 1903-1983. Una lunga avventura, Amazon, 2023, pp. 123, euro 10,40

Gli piaceva la canzone Les feuilles mortes, quella che fa «vedi, non ho dimenticato…», cantata da Yves Montand, cioè da Ivo Livi, un toscano cresciuto in Francia perché figlio di esuli. Lui, però, in Francia c’era andato già grande. Anche per lui un esilio, ma con una precoce militanza politica. L’origine di Severino Cavazzini è ferrarese, e «Ferrara» sarà il suo soprannome a Parigi, poi il suo nome di battaglia nella cospirazione e nella Resistenza. Ferrara, quella del quartiere popolare: Borgo San Luca, dove suo padre, lasciata la famiglia benestante e gli studi imposti da chi lo voleva prete, è andato a convivere – che scandalo! – con la lavandaia di casa. Storie simili, che lasciano un segno, fatte di studio severo che poi trabocca felice nella libertà, si potrebbero scoprire in molte famiglie italiane. Anche nella mia. Sono storie che pongono domande: lo studio frena la libertà oppure è il suo duro sostegno? La disciplina limita la persona o accompagna alle scelte?

Quel che piace all’autrice di questo volume palpitante, invece, è lo slancio verso una vita degna[1]. Cavazzini giovanissimo spiega agli altri ragazzi:

«Ma lo capite che, se resta così la nostra vita, saremo sempre quelli del Borgo, senza avanzare mai? Gli altri hanno un futuro, casa, lavoro, progetti. Noi non contiamo niente. Bisogna che le cose cambino. Dobbiamo farle cambiare, fare giustizia. Chiedere i nostri diritti, quel che ci spetta. A cominciare da paghe degne».

Già, le paghe; bisogna battersi. Formazione, impegno e repressione si intrecciano presto, per un ragazzino che cresce avendo come scuola il conflitto sociale e come biblioteche luoghi appartati:

Fermato, tradotto in carcere, interrogato dalla polizia, riconosciuto innocente e rilasciato. Ma tutto questo agli occhi della polizia, soprattutto della reazione fascista, lo segna. Ha solo 17 anni ed è già un uomo, un operaio specializzato, consapevole, un dirigente sindacale, uno che fa scelte e si prende responsabilità. La rivoluzione russa lo affascina, diventa il suo faro di riferimento politico, accende, come per tanti altri giovani, le sue speranze. Legge di nascosto, nel fienile della rimessa dove alloggiano il cavallo e il carretto dei trasporti paterni. Legge Marx e soprattutto Lenin. E fa propaganda. Sa parlare, sa convincere, specie i suoi coetanei. Nei primi mesi del 1921, dopo la scissione di Livorno, lascia il Psi ed entra nel movimento comunista.

È lavoro di gruppo: «L’organizzazione, non tanto come strumento indispensabile dell’agire, ma come metodo morale, per essere parte di un movimento grande, generale».

C’è il servizio militare, assurdo. Né armi né esercitazioni, perché di tipi come lui ci si fida poco. Invece prepotenze, ruberie dei superiori e isolamento. Il buono è che ha tempo per leggere: letteratura e storia. Quasi simile al carcere, questa naia, che come quello può diventare occasione di arricchimento culturale. Chi ha avuto per studio un fienile trova un’accademia anche in una caserma. Per molti antifascisti persino la galera fu un’università.

Il periodo decisivo per l’espatrio è quando ha dovuto lasciare Ferrara per cambiare aria e ci viene rispedito, dalla polizia, perché protesta in favore di Sacco e Vanzetti. A quel punto è condannato al confino ma sfugge alla cattura: via, in Francia. Nel 1927 arriva a Parigi, dove farà il muratore. Il fascino della città si sente, specie se la vedi per la prima volta d’estate:

I marciapiedi che luccicano per la calura e gli abiti leggeri e colorati delle donne, i grandi negozi, le auto e il traffico. Il rumore, incessante, come battito cardiaco di un essere vivente. Un misto di voci e di suoni metallici. I caffè, piccoli e grandi, ovunque. La gente che attraversa e va, indaffarata.

Nel 1930 la Francia lo espelle verso l’Italia. Sembra facile, scacciarlo. Invece lui è un osso duro, ma di quelli con la polpa, viva e sensibile:

Rientra a Parigi, dove, ormai, si muove come a casa. Ha solidi contatti, nuovi documenti. Ma l’attenzione alle spie lo accompagna sempre, ancora più di prima. Quell’attenzione che ha provato fin da Ferrara, dal primo attentato subìto davanti a un fosso, che ritorna nei suoi sogni agitati. Ha una precisa idea sullo spione che lo ha venduto ai fascisti.

Arriva la guerra di Spagna, Cavazzini non sta a guardare. Fra le insidie c’è la spia che chiama «Carlino» e bisogna risolvere il problema. Il racconto incalza secco, col retrogusto di un umorismo in chiaroscuro:

Escono nella luce serale e invernale. Vanno avanti a fatica per alcuni isolati. A un tratto una macchina davanti a una casa li fa fermare: «Dovrebbe essere là». Escono in due. Li vedono. È questione di attimi. Uno dei due estrae un’arma e spara. Gli viene risposto. Mentre cade sul selciato l’altro scappa. Severino corre perché l’ha riconosciuto. Ma a una svolta, un vicolo chiuso, un muro. Poi nulla. Carlino sembra sfumato, come evaporato. «Ci sarà un passaggio che conoscevano loro» – commenta Pedro che l’ha raggiunto. Severino è infuriato. «L’ha fatta franca ancora – sbotta – Ma almeno adesso ho la prova, con la sparatoria e la fuga, che non mi inganno e che lui sa bene quello che fa». Sarà ancora più infuriato, Severino, quando, rifacendo a ritroso la strada, non troveranno nemmeno quello caduto nella sparatoria. «Ma non avevi controllato?» chiede a Pedro.

La Spagna è perduta, la dittatura fascista durerà sino agli anni Settanta. Ma la battaglia continua, lui si è anche ammalato, bisogna attrezzarsi ed è bene farlo lontano. Siamo nel 1939:

Dal porto di Le Havre, imbarcato nei mercantili, nascosto nelle stive o chiuso negli alloggi dei marinai con l’ordine di non muoversi, passerà di nave in nave, quasi sempre carrette mercantili, dalla Francia fino all’Inghilterra. Poi in Olanda, in Danimarca, fino in Svezia. E infine raggiungerà, passando dalla Finlandia, la Russia.

Lo curano, impara la lingua, conosce i protagonisti della Rivoluzione d’Ottobre, frequenta la scuola di partito. Riceve anche un’istruzione militare. Servirà presto nel partigianato urbano, a Parigi, con la formazione intitolata a Gabriel Péri, fucilato dai nazisti:

Bisogna muoversi tra la gente, nelle ore di punta, possibilmente a piedi, vestirsi in modo curato, limitare l’uso del metrò che comporta rischi di controlli e improvvise retate. Borse e sporte sono dotate di doppio fondo dove vanno inseriti documenti, armi, propaganda stampata. Gli ordini circolano tramite le staffette. Niente appunti o altro di scritto. Si devono imparare a memoria appuntamenti, luoghi, iniziative di cui si è incaricati.

Non è diverso dai racconti sul gappismo urbano in Italia o sulla Resistenza in altri paesi: l’Europa che combatte. Ma il contesto è francese, coi colpi di mano come in L’armée des ombres, e «Ferrara» ricorderà sempre gli eroi caduti:

I loro nomi sono oggi nelle strade e in alcune piazze dei luoghi dove vissero e operarono. Tutti sono ricordati nel monumento ai combattenti italiani della Liberazione di Parigi, nel cimitero di Pére Lachaise non lontano dal muro dove si commemorano gli ultimi comunardi fucilati nel 1871.

Avrà sempre chiaro che il combattimento era non solo patriottico, ma diretto anche a qualcosa di degno:

«I nostri volantini, la nostra stampa clandestina, non parlavano solo di libertà dal nemico. Parlavano delle condizioni disumane in cui si lavorava nelle fabbriche, dei salari da fame, delle razioni alimentari inadeguate, delle privazioni. Incitavano a resistere non per una generica libertà, ma per cambiare e avere dopo la guerra una vita degna».

È la resistenza, una parola che oggi subisce abusi e torsioni.

Non solo pane, anche rose. E poi, via, è la douce France. Una ragazza, Gina, si accosta alla formazione e le presentano Cavazzini:

Ferrara, quando se la vede davanti, figurina elegante e semplice assieme, la guarda, studiandola per bene. «Tu sei quella dei volantini lanciati in aria davanti al cinema, vero? Che capolavoro inutile. Erano in italiano. E i francesi, lo leggono l’italiano secondo te? Hai rischiato la tua vita e quella dei tuoi compagni per una bravata inutile». Questo è il benvenuto di Ferrara. Lei però ha il coraggio della replica: «I volantini li ho distribuiti, mica scritti. E poi gli ordini si eseguono. Prenditela con gli organizzatori». «Non preoccuparti, già fatto». Però lo sguardo è diventato ironico. Severino con gli occhi divertiti aggiunge: «Ma ti vesti sempre così? Bello il cappellino!» E lei: «Se i tedeschi e la polizia guardano il cappellino notano meno il resto, e io forse riesco a passare».

Comincia così, con le schermaglie. Sarà amore, tutta la vita.

Dopo la guerra torna in Italia con lei. Di lavoro ce n’è ancora tanto: partito, sindacato, amministrazioni locali e le prime tre legislature della Camera, dal 1948 al 1963. Sono gli anni del potere tutto possidente e democristiano, dell’adesione alla Nato, della persecuzione dei partigiani e della legge truffa, sino alle prime aperture al centrosinistra, con le lotte dei lavoratori e un primo sblocco della politica.

[Ha] sempre due riferimenti guida: la giustizia sociale e la strada segnata dalla Costituzione, che sta diventando il suo nuovo riferimento. Negli anni ’70, parlando a dei giovani appena entrati nel Pci, Severino ricorderà che in quelle battaglie, anche senza rendersene pienamente conto, la Costituzione era divenuta come un nuovo paradigma rivoluzionario.

Troppo facile, adesso, e troppo vile, sottovalutare la conquista della Carta costituzionale, che i fascisti, i reazionari e la parte più bieca del padronato vedono come un ostacolo da quasi ottant’anni.

È la Carta firmata da Umberto Terracini, antifascista, comunista, processato dal Tribunale speciale, confinato, perseguitato, poi presidente dell’Assemblea costituente. Chi non tiene conto del percorso non capisce le tappe, e chi non considera che anche l’oggi è una tappa, potrebbe capire troppo tardi quella successiva: il domani. E magari, dopo, rimpiangere questo anno che si spegne chiamandolo ieri con sterile nostalgia. Un combattente che ha studiato nel fienile e nella caserma, uno che ha riflettuto in galera e in fondo a una nave, conosce queste implicazioni. Per questo sa dare a ogni tempo il suo senso.

Per esempio. Nel dopoguerra Cavazzini ricorda bene quando a Ferrara l’avevano messo al muro; si era salvato per le grida di una testimone imprevista. Adesso non vuole vendette ma neanche assoluzioni e confusioni:

Appena rientrato dalla Francia nella Ferrara liberata, si troverà davanti, fazzoletto al collo delle brigate garibaldine, uno di quei giovani fascisti che avevano cercato di fucilarlo. Costui, ormai uomo, gli tenderà la mano chiedendogli scusa per quella fucilazione simulata, come la definirà. Dovranno mettersi davanti a Cavazzini in cinque compagni, cercando di calmarlo e di trattenerlo. La mano, no, non gliela darà mai.

Incontra di nuovo anche «Carlino», la spia. Succede a Roma negli anni Sessanta, e come vanno le cose lo lasciamo scoprire a chi legge questo libro.

C’è qualche amarezza. Il 2 giugno 1946 vuole scegliere la Repubblica contro la monarchia ma non può; con la condanna fascista ha perso il diritto di voto e le liste non sono aggiornate. E poi ci sono intorno i pregiudizi: lui e Gina, comunisti e non credenti, vivono more uxorio, come scrivono nei rapporti i poliziotti che non li perdono di vista.

Riceve una medaglia, sì, ma in Jugoslavia nel 1956, per il ventennale della guerra di Spagna. E i compagni italiani? Siamo nel 1981: a sessant’anni dalla fondazione del Pcd’I, la direzione emette medaglie nominative per chi ha contribuito a creare il partito; bisogna distribuirle. Cavazzini, che ogni mattina apre la federazione, chiede sempre dov’è la sua. A fine anno c’è una riunione, interviene su questioni politiche e, già che c’è, la chiede ancora. Però:

Non lo sanno, si deve essere persa evidentemente. Qualcuno fa dell’ironia nella sala: «Cavazzini i tempi sono cambiati, non è più il tempo dello stalinismo». «Me ne sono accorto – replica lui – a quei tempi nessuno si sarebbe perso una medaglia con inciso il nome di un compagno senza conseguenze». Si alza a riunione finita ed esce nel primo freddo invernale.

Non servirebbe dire che nel 1921 lo stalinismo non c’era ancora. È più importante notare la frana degli anni Ottanta: morale e umana, oltre che politica. In quel periodo le paghe non sono più da fame come sotto il fascismo; ma già qualcos’altro di indegno serpeggia nel popolo italiano. Poi la frana peggiora, e ora tocca ad altri tirar su il bavero nel freddo.

Adesso torniamo indietro, alla prima aggressione fascista contro questo ragazzo, in Italia, negli anni Venti. Come tanti altri: un agguato, Cavazzini è rapito, bastonato e abbandonato in campagna. Lo credono morto, lo spingono a calci nell’acqua di un fosso. Sembra il linciaggio del comunista in Ottobre di Ejzenstejn, manca solo la pagina della «Pravda» che affonda. Ma Cavazzini è vivo e leggiamo:

«Dove sono? Ah sì, questo è un fosso». Ecco l’odore pungente delle erbe marcite. E più in là l’odore di terra, fortissimo. «Forse ce l’ho anche dentro in bocca, con il sangue. Sono dentro al fosso. Ma sono solo, non sto con gli amici. E come ci sono capitato? Porca puttana, non riesco a ricordare, a tenere fermi i pensieri». Il dolore scava dentro quel corpo abbandonato nel freddo. «Adesso ricordo, i fascisti. Sono stati loro; in cinque erano, quei porci. Mi han preso quasi in vista di casa».

I passanti hanno paura di aiutare e tirano via. Lui, per farsi dare una mano, finge di esser stato aggredito dai ladri; solo allora un carretto si ferma.

Chi è, adesso, a raccontarci l’odore pungente, il sangue in bocca, il freddo e i pensieri di Cavazzini? Sua figlia, l’autrice, scesa nel ricordo del padre, giù nel fosso anche lei, ma in piedi a chiedere attenzione per una storia degna. Storia di uomini, di donne, di tante persone. Sta a noi tirare dritto o fermarci.

 

 

[1] Il volume riproduce documenti e indica come fonte di altre informazioni Vittorio Tomasin, Apparati dello Stato e comunisti. Severino Cavazzini nel casellario politico della Questura di Rovigo (1947-1965), in «Terra d’Este. Rivista di storia e cultura», XII, n. 24, pp. 109-127.

 

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Il Re in Giallo: un libro di presagi https://www.carmillaonline.com/2024/07/04/il-re-in-giallo-un-libro-di-presagi/ Thu, 04 Jul 2024 18:00:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=83121 di Sandro Moiso

Robert W. Chambers, Il Re in Giallo, con una prefazione di Christophe. Thill e una postfazione di Sunand Tryambak Joshi. Illustrazioni di Samuel Araya, L’Ippocampo, Milano 2024, pp. 320, 25,00 euro.

«Non posso dimenticare Carcosa dal cielo cosparso di stelle nere, dove nel pomeriggio si stende l’ombra dei pensieri degli uomini, dove i soli gemelli affondano nel lago di Hali, e il mio spirito sarà sempre ossessionato dal ricordo della Maschera Pallida.»

Non sono certamente mancate le edizioni italiane del classico di Robert Chambers, ma quella edita dalla casa editrice milanese L’Ippocampo, ripresa da [...]]]> di Sandro Moiso

Robert W. Chambers, Il Re in Giallo, con una prefazione di Christophe. Thill e una postfazione di Sunand Tryambak Joshi. Illustrazioni di Samuel Araya, L’Ippocampo, Milano 2024, pp. 320, 25,00 euro.

«Non posso dimenticare Carcosa dal cielo cosparso di stelle nere, dove nel pomeriggio si stende l’ombra dei pensieri degli uomini, dove i soli gemelli affondano nel lago di Hali, e il mio spirito sarà sempre ossessionato dal ricordo della Maschera Pallida.»

Non sono certamente mancate le edizioni italiane del classico di Robert Chambers, ma quella edita dalla casa editrice milanese L’Ippocampo, ripresa da quella uscita nel 2022 per le edizioni Callidor di Parigi, sembra essere la prima a rispettare, con il dovuto apparato di testi a cura di Christphe Till e S. T. Joshi, la ventina di illustrazioni di S. Araya e un racconto di Ambrose Bierce, l’importanza di un testo che, pur parzialmente estemporaneo nella produzione dell’autore, ha davvero segnato il cammino della letteratura fantastica e dell’orrore moderna.

Robert William Chambers (1865 -1933) nacque a Brooklyn, figlio dell’avvocato William P. Chambers e di Caroline Chambers, diretta discendente del fondatore di Providence, capitale del Rhode Island che avrebbe in seguito dato i natali al più celebre autore americano di romanzi e racconti weird: Howard Phlillip Lovecraft. Robert, di condizione economiche e sociali agiate, dopo essere entrato a vent’anni a far parte della Art Students’ League si recò a Parigi dove ebbe modo di studiare alla École des Beaux-Arts e all’Académie Julian tra il 1886 e il 1893. Periodo durante il quale, più che allo studio e al lavoro d’artista, si dedicò alla frequentazione della bohème del Quartiere Latino.

Al suo ritorno negli Stati Uniti, ebbe modo di lavorare come illustratore per importanti riviste. Solo successivamente, rivolse la propria attività in direzione della scrittura, con il suo primo romanzo, In the Quarter, pubblicato nel 1894. La sua opera letteraria più famosa, The King in Yellow, fu pubblicata l’anno successivo e riscosse immediatamente una straordinaria accoglienza, sia di pubblico che di critica. Facendo sì che la raccolta di dieci racconti, uniti tra di loro dalla presenza malefica di un libro terribile e di un’opera (teatrale) maledetta, venisse ristampata più volte, con grande sorpresa dell’autore stesso.

Dieci racconti in cui, con risultati alterni e non sempre pienamente riusciti, il decadentismo si intreccia con il weird nel binomio romantico di amore e morte, nella descrizione allucinata degli orrori della tomba e delle cripte, attraverso i volti biancastri e mollicci di individui dalla consistenza corporea simile a quella dei vermi che masticano i cadaveri, il desiderio di potere oppure, ancora, esperimenti scientifici prossimi ai sogni degli alchimisti più che ai risultati della scienza moderna. Invenzioni letterarie e artifici narrativi adeguati a mantenere lo sguardo e l’attenzione del lettore incollato alle pagine da cui questi “strani” avvenimenti scaturiscono.

Raggiunta, in questo modo, la popolarità, negli anni successivi Chambers continuò a produrre romanzi e raccolte di racconti che, toccando soprattutto i temi dell’amore romantico, spesso inserito in romanzi di carattere storico ambientati durante la guerra franco-prussiana, quella di secessione americana oppure all’epoca dei pirati e della guerra di indipendenza nei confronti dell’impero britannico, raramente tornarono ad occuparsi del mistero o di temi ricongiungibili al genere weird e quasi mai tornarono a sfiorare l’eleganza delle descrizioni e la tensione raggiunte nel Re in Giallo.

Nella lunga esperienza di scrittore successiva al Re, come afferma Christophe Thill nella sua prefazione al testo, Chambers diede prova di un perbenismo che avrebbe sempre caratterizzato le sue opere, raggiungendo vertici impensabili di insipidità, moralismo puritano, viscerale timore per ogni forma di cambiamento dell’ordine tradizionale dato e, in particolare, di autentica avversione nei confronti di qualsiasi movimento rivoluzionario. Sia che si trattasse della Comune di Parigi, che affrontò nel romanzo The Red Republic già nel 1895, o dei sindacalisti, socialisti, comunisti e anarchici americani o bolscevichi come fece in The Crimson Tide, pubblicato nel 1919 sulla rivista «Cosmopolitan», oppure ancora nel romanzo The Slayer of Souls, del 1920, in cui i rivoluzionari non sono altro che gli ultimi e odiosi discendenti di una setta satanica di origine orientale che affondava la proprie radici in tempi immemori. Probabilmente pre-umani.

Tema quest’ultimo di cui è possibile ritrovare anche traccia nell’opera di Lovecraft, in particolare nel racconto The Horror at Red Hook, e comunque riconducibile a quella Red Scare che attanagliò gli Stati Uniti a partire dalla rivoluzione bolscevica e dalla fine della prima guerra mondiale fino alla metà degli anni Venti. Grande paura dei “rossi”, di cui furono vittime esemplari gli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, durante la quale le classi medio-alte americane unirono l’odio per la lotta di classe al timore per l’invasione aliena degli immigrati (soprattutto italiani). Eppure, eppure…

Nel testo ora ripubblicato da L’Ippocampo, l’autore sembra travalicare, a tratti, le proprie convinzioni, e anche se non è possibile separare il successo dell’opera da un’epoca, quella della fine del XIX secolo, in cui la moda per la cultura francese e la letteratura decadente alimentò sia il rifiuto del materialismo che della scienza che lo aveva prodotto, sia il rifiuto del viver borghese che assunse a tratti caratteristiche assolutamente antagonistiche, anche se spesso inconsapevoli, come nelle opere di Oscar Wilde oppure di Bram Stoker e Charles Baudelaire. Appare allora evidente, agli occhi di chi si trova a rileggerlo oggi, che tra le sue righe sono nascoste immagini destinate a rimanere a lungo nella mente di chi le scorre, drammaticamente anticipatrici di tematiche che avrebbero accompagnato a lungo l’immaginario americano, non soltanto letterario e gotico.

Perché non è soltanto l’allucinata poesia posta in apertura a fornire la cifra della dimensione onirica della narrazione, poi ripresa e ampliata da scrittori successivi quali Howard P. Lovecraft, August Derleth, Abraham Merritt, Clark Ashton Smith e infiniti altri fino a Michael Moorcock negli anni Settanta del XX secolo.

Le nuvole si infrangono come onde lungo la costa,
I Soli gemelli affondano nel lago
Mentre le ombre si allungano
A Carcosa.

Strana è la notte dove si levano stelle nere,
E lune mai viste solcano i cieli
Ma ancora più misteriosa
è la perduta Carcosa.

Le Iadi canteranno canzoni,
Dove si agitano al vento i cenci del Re
Ma qui moriranno inascoltate
Mentre Carcosa si spegne.

Canto dell’anima mia, la mia voce è morta;
Muori anche tu, silenzioso, come lacrime mai piante
Destinate a seccarsi e perire
Nella perduta Carcosa.

Da La canzone di Cassilda in Il Re in Giallo, Atto I, Scena 2.

Non è soltanto il richiamo ad Ambrose Bierce, che già nel dicembre del 1886 aveva pubblicato sul «San Francisco Newsletter» un allucinato racconto dal titolo Un cittadino di Carcosa, ripubblicato nell’attuale edizione del Re in Giallo. Carcosa, il cui nome Thill fa risalire ad una sorta di storpiatura nella pronuncia americana del nome della città francese di Carcassonne, dalle imponenti mura medievali conservatesi fino ad oggi, e che può inserirsi bene nella moda decadente e francesizzante della fine del XIX secolo, di cui nei dieci racconti che compongono l’opera restano abbondanti resoconti mediati dalle memorie parigine dello stesso Chambers.

E non è soltanto l’invenzione di un’opera maledetta (Il Re in Giallo, appunto) destinata a rovinare la vita e la mente di chiunque ne entri in possesso o le legga, che rinvia immediatamente al Necronomicon dell‘arabo pazzo Abdul Alhazred ideato successivamente da Lovecraft oppure al De Vermis Mysteriis iinventato da Robert Bloch e, ancora una volta ripreso, dallo scrittore originario di Providence che, comunque, nel corso della sua opera avrebbe citato più volte il romanzo di Chambers. Non soltanto nel suo saggio sulla letteratura del soprannaturale, ma anche nel corso stesso dei suoi romanzi e racconti.

No, non è soltanto tutto questo, perché vi è nelle pagine di alcuni racconti contenuti nel libro l’avvento di quel misto di fantastico e fantascientifico, di cui Lovecraft nel giudizio di Sunand Tryambak Joshi, massimo esperto della vita e delle opere del solitario di Providence, sarebbe stato poi maestro e decisivo fondatore, che avrebbe caratterizzato la migliore letteratura weird del secolo appena trascorso.

Ma si ritrova anche, in tanti dei dieci racconti, quella presenza incancellabile della Morte come destino, sia dei singoli che degli imperi e delle società, che a partire da una concezione puritana e colpevolizzante della Vita e della Storia ha segnato pesantemente la letteratura americana da Poe, Melville e Hawthorne fino a Lovecraft, Hemimgway, Twain e McCarthy.

Senso della morte che si trova fin dalle prime pagine del primo dei racconti, Il Riparatore di Reputazioni (uno dei migliori a giudizio di chi scrive), ambientato in un’America del 1920 in cui è appena terminato un conflitto di carattere imperialistico con la Germania e in cui, come forma di società utopistica, è stata appena inaugurata una sorta di Casa della Morte, in cui i cittadini infelici possono chiedere di ricevere la stessa come ultimo premio e definitiva consolazione.

Un immaginario in cui i temi della follia, della perversione, della morte e dell’arte “maledetta”, tipici della migliore tradizione decadente, si intrecciano con i temi di un imperialismo già in nuce e proiettato su scala mondiale, anche se la vera prima guerra “mondiale” degli Stati Uniti e delle loro forze armate, in questo racconto presenti come in pochi altri della raccolta, quella con la Spagna per il controllo di Cuba e del Pacifico attraverso le Filippine sarebbe venuta soltanto tre anni dopo la sua pubblicazione, nel 1898.

Un libro di presagi, dunque, che vanno ben al di là di quanto, ancora una volta, l’autore avrebbe mai potuto immaginare, dimostrando così che la letteratura e l’immaginario fantastico, spesso, possono rivelarsi superiori, nel definire la realtà che ci attende, al “realismo” più trito e scontato. Ma la modernità del Re in Giallo sta anche nell’intrecciarsi dei racconti, in cui gli eventi e i personaggi non si richiamano soltanto attraverso la citazione dell’opera maledetta, ma per mezzo di un rimescolio di nomi, luoghi e rimandi che sarà il lettore a dover riconoscere e individuare.

Con quest’opera, insieme a Il grande dio Pan di Arthur Machen, sempre accompagnato dalle splendide illustrazioni di Samuel Araya, ispirate soprattutto all’opera del tedesco Arnold Böchlin (1827-1901), l’editore milanese ha iniziato la ripubblicazione di alcuni classici del decadentismo fantastico nella collana Collector; operazione encomiabile sia per il valore letterario delle scelte operate che per l’eleganza della veste grafica, cui non resta che augurare il successo di pubblico e critica.

Non prendiamoci gioco dei folli;
La loro pazzia dura più della nostra…
La differenza è tutta qui.

(Francais Adolphe d’Houdetot)

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Sacco e Vanzetti: giornata di studi a 90 anni dalla morte https://www.carmillaonline.com/2017/09/23/sacco-vanzetti-giornata-studi-90-anni-dalla-morte/ Fri, 22 Sep 2017 22:01:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40794 In occasione del novantesimo anniversario dell’esecuzione dei due anarchici italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, la casa editrice Nova Delphi promuove il convegno dal titolo “Sacco e Vanzetti. Storia di due anarchici. Giornata di studi a 90 anni dall’esecuzione”. Al fine di delineare un bilancio critico della vicenda, sono previste le relazioni di studiosi e studiose di diverse discipline. Interverrà anche Giovanni Vanzetti, nipote di Bartolomeo. Durante la giornata saranno allestite mostre, proiettati filmati e messi in vendita libri dedicati ai due anarchici e ai movimenti sociali di quel periodo. Seguirà [...]]]> In occasione del novantesimo anniversario dell’esecuzione dei due anarchici italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, la casa editrice Nova Delphi promuove il convegno dal titolo “Sacco e Vanzetti. Storia di due anarchici. Giornata di studi a 90 anni dall’esecuzione”. Al fine di delineare un bilancio critico della vicenda, sono previste le relazioni di studiosi e studiose di diverse discipline. Interverrà anche Giovanni Vanzetti, nipote di Bartolomeo. Durante la giornata saranno allestite mostre, proiettati filmati e messi in vendita libri dedicati ai due anarchici e ai movimenti sociali di quel periodo. Seguirà una cena conviviale e, dalle 22.00, musica dal vivo con i Fleurs Du Mal.
Ecco il programma.1

Quando: 30 settembre 2017, dalle ore 14.00 fino a tarda sera
Dove: ‘Communia’ – Spazio Sociale di Mutuo Soccorso, viale dello Scalo di San Lorenzo, 33 – Roma
Organizza: Nova Delphi Libri

Relazioni:
– Sacco & Vanzetti. Scritti, azioni, pensiero
(Andrea Comincini, filosofo)
– Un caso giudiziario controverso
(Tatiana Montella, giurista)
– ‘Cronaca Sovversiva’ e l’anarchismo italiano negli Stati Uniti
(Antonio Senta, storico)
– Azione diretta e lotta di classe negli Stati Uniti all’inizio del Novecento
(Filippo Manganaro, storico)
– Le reti informali. Uno sguardo transnazionale sull’anarchismo italiano
(Roberto Carocci, storico)
– Sacco e Vanzetti e lo ‘slot’ della storia del Novecento
(Lorenzo Tibaldo, storico)
– La memoria negata. Immagini e immaginario dopo l’esecuzione
(Luigi Botta, storico)

Interverrà Giovanni Vanzetti, nipote di Bartolomeo

Dalle 22.00 Fleur du Mal, live


  1. Riguardo alla storia dei due anarchici italiani, su Carmilla è stato recensito il libro di Luigi Botta, La marcia del dolore. I funerali di Sacco e Vanzetti. Una storia del Novecento. 

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