asbestosi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 22 Aug 2025 20:00:54 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il filo rosso dell’amianto e di Stephen Schmidheiny tra Italia e America Latina https://www.carmillaonline.com/2015/09/25/amianto-eternit-e-stephen-schmidheiny-tra-italia-usa-e-america-latina/ Thu, 24 Sep 2015 22:00:17 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=25480 di Fabrizio Lorusso

Amianto dangerLo portavano sempre con sé i pompieri, dentro le loro uniformi. Isola tetti, pareti e tubature. E’ fibroso, incombustibile, mortale. Non è un indovinello, ma la descrizione dell’amianto o di una sua varietà, l’asbesto, un minerale di fibre bianche, flessibili e assassine.

“Un lavoro pericoloso, saldare a pochi centimetri da una cisterna di petrolio. Una sola scintilla è in grado di innescare una bomba che può portarsi via una raffineria. Per questo ti dicono di utilizzare quel telone grigio sporco, che è resistente alle alte [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Amianto dangerLo portavano sempre con sé i pompieri, dentro le loro uniformi. Isola tetti, pareti e tubature. E’ fibroso, incombustibile, mortale. Non è un indovinello, ma la descrizione dell’amianto o di una sua varietà, l’asbesto, un minerale di fibre bianche, flessibili e assassine.

“Un lavoro pericoloso, saldare a pochi centimetri da una cisterna di petrolio. Una sola scintilla è in grado di innescare una bomba che può portarsi via una raffineria. Per questo ti dicono di utilizzare quel telone grigio sporco, che è resistente alle alte temperature perché prodotto con una sostanza leggera e indistruttibile: l’amianto. Con quello le scintille rimangono prigioniere e tu rimani prigioniero con loro e sotto il telone d’amianto respiri le sostanze liberate dalla fusione di un elettrodo. Una sola fibra d’amianto e tra vent’anni sei morto”.

Così scrive Alberto Prunetti, autore del romanzo, basato sulla vita di suo padre e della sua famiglia, Amianto. Una storia operaia (Ed. Alegre, Roma).

amianto alegreEd è la storia di milioni di lavoratori che, spesso ignari del pericolo o manipolati dalle imprese che li contrattano, ancora oggi in decine di paesi nel mondo inalano e portano su di sé o dentro di sé le fibre tossiche che provocano mesotelioma, tumore del polmone e della laringe, o gravi patologie come la asbestosi. Parole forse complicate ma cause semplici: se in casa stai lavando dei vestiti con dei residui di amianto, potresti respirarne una fibra che mai più uscirà dal tuo corpo e potrebbe produrre malattia e morte. Da un fascetto di minerale spesso un millimetro si possono liberare cinquantamila microfibre respirabili.

L’amianto è un minerale silicato, varietà di serpentino o di anfibolo, di composizione varia, e in composizione con il cemento forma il fibrocemento, che è altresì un marchio registrato, brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek come “Eternit”, cioè eterno, data la sua resistenza. Ed eternamente sprigiona polveri fatali quando è maneggiato o quando si logora. Tutti noi, per esempio in Messico, dove vivo, e comunque ove non sono state proibite la sua estrazione ed il suo uso, o dove non sono state realizzate le bonifiche, siamo in pericolo. In terra azteca l’asbesto è onnipresente, sopra le nostre teste, nelle pareti, a ricoprire tubi o nei negozi in cui ancora si commercializza. E’ rischioso lavorare a contatto con il minerale, vivere nei pressi degli stabilimenti o avere lamine, tubature, pastiglie dei freni, giacche e guanti rivestiti di amianto. Paiono ammonimenti scontati e banali in Italia o in Europa, ma suonano come inquietanti novità in gran parte dell’America Latina.

Asbesto-America e Russia

In Europa la bonifica delle strutture infestate dall’amianto è durata anni, da quando a poco a poco negli anni novanta il materiale cominciò a essere messo al bando e poi, nel 2005, la misura fu estesa definitivamente a tutti gli stati membri della UE. Oltre 50 paesi (link lista e cronologia dei divieti), includendo, nelle Americhe, il Cile, l’Honduras, l’Uruguay e l’Argentina, hanno fatto la stessa cosa, vietandone l’uso all’interno del proprio territorio. Ma le economie più importanti del continente americano e ai primi posti nel mondo, come Stati Uniti, Canada e Brasile, pur avendone limitato gli usi e avendolo proibito totalmente in alcuni stati, non l’hanno del tutto proibito e continuano a promuoverne il commercio.

Infatti, il Canada è uno dei primi esportatori dell’amianto bianco o crisotilo, gli Stati Uniti sono molto attivi nell’import-export dell’amianto e il Brasile è il terzo produttore mondiale e lo utilizza ampiamente in casa propria. Gli affari della fibra-killer vanno a gonfie vele anche per Russia, Cina, Tailandia, India e Kazakistan, che sono tra i principali produttori (vedi mappe qui e progetto giornalistico di ricerca su vari paesi “Danger in the Dust” qui).

In Russia a Kazakistan le aziende leader sono rispettivamente la  Orenburg Minerals e la Kostanai Minerals, controllate dalla britannica United Minerals Group Limited dal 2003, secondo un report stilato dagli investitori di Kostanai Minerals. Nel 2004 la compagnia ha una quota del mercato mondiale dell’asbesto crisolito del 30% e cambia nome: diventa la Eurasia FM Consulting Ltd., ma non è chiaro se tuttora l’impresa controlli Orenburg e Kostanai. Cito da un reportage del 2010 del progetto “Dangers in the Dust”:

“Una compagnia con sede a Cipro, la UniCredit Securities International Ltd. — parte di UniCredit, uno dei gruppi bancari più grandi del mondo, con 10.000 filiali in 50 paesi — possiede partecipazioni sia in Orenburg Minerals che nella Kostanai Minerals “per conto di clienti occulti”, secondo quanto detto dal portavoce di UniCredit, Andrea Morawski, a ICIJ [International Consortium of Investigative Journalists] via mail. Morawski ha sottolineato, comunque: “Noi non esercitiamo nessun controllo su [Orenburg Minerals or Kostanai Minerals] né siamo beneficiari delle partecipazioni detenute. Fin dove siamo ragionevolmente a conoscenza, noi non siamo stati beneficiari di nessuna commissione/profitto derivante da attività legate all’asbesto”.

Asbesto MAPA 1 exporta5asbesto2

L’asbesto non è vietato negli USA che, al contrario, sono sempre stati un gran importatore d’asbesto e il maggior consumatore mondiale del minerale, mentre hanno fornito storicamente solo una piccola percentuale dell’output estratto globalmente. Riporto dal portale Asbestos.com (sezione “Storia”):

“Una regolamentazione presentata dalla Agenzia per la Protezione Ambientale, che bandiva la maggior parte dei prodotti contenenti asbesto, venne ribaltata dalla Corte d’Appello del Quinto Circuito a New Orleans nel 1991 per le pressioni dell’industria dell’asbesto. Anche se si tratta ancora di un bene legale ed è presente in molti edifici e prodotti d’uso comune nelle case, l’uso dell’asbesto è declinato considerabilmente negli Stati Uniti. L’ultima miniera è stata chiusa nel 2002, mettendo fine a quasi un secolo di produzione di asbesto nel Paese”.

Amianto fibraAd ogni modo negli USA, secondo il US Geological Survey relativo al 2012, sono entrate 1.060 tonnellate di asbesto dal Brasile. Fondamentalmente il commercio e gli affari non si sono mai fermati, l’amianto di tipo bianco-crisolito è ancora utilizzato nei materiali da costruzione, per l’isolamento, i freni delle automobili e in altri prodotti, malgrado esistano alternative valide per il settore manifatturiero. Di conseguenza una trentina di statunitensi muoiono ogni giorno per le patologie ad esso relazionate.

Da anni il Canada è additato come un “paese canaglia” per la sua reticenza nell’includere l’amianto nella lista internazionale dei materiali pericolosi. Le attività minerarie canadesi cominciarono intorno al 1850, quando furono scoperti i giacimenti di crisolito a Thetford, e un quarto di secolo dopo s’estraeva una cinquantina di tonnellate all’anno nel Quebec. Negli anni ’50 del secolo scorso la cifra arrivò a oltre 900.000 tonnellate.

Nel 2011, la miniera “Jeffrey Mine in Asbestos” del Quebec è finita al centro dell’attenzione dopo che il governo canadese aveva proposto un finanziamento da 58 milioni di dollari per riaprire la miniera. Siccome gli investitori privati fallirono nel tentativo di raccogliere 25 milioni di dollari per la data del primo luglio 2011, che era la deadline per acquisire la miniera, il finanziamento del governo del Quebec è stato rimandato a tempo indefinito. Questo spostamento è volto a dare più tempo agli investitori per raccogliere fondi. Di nuovo nel 2011 il Canada ha deciso di non supportare la decisione di aggiungere l’asbesto crisolito nella lista delle sostanze pericolose della Convenzione di Rotterdam, un trattato internazionale che promuove unità e responsabilità riguardo all’esportazione e importazione di sostanze e prodotti chimici pericolosi (su Canada e settore/compagnie minerarie segnalo il link Republic of Mines).

Asbesto entrega_de_laminas__2_Il Canada è l’unica nazione del G8 a non aver votato per includere l’asbesto nel trattato, un scelta che il governo ha sostenuto anche nel 2015. Internamente, però, l’uso del minerale è vietato, ma questo non accade, ipocritamente, per la sua produzione e commercializzazione all’estero. Ormai il paese non lo produce più, anche se lo commercia: il valore dei prodotti importati contenenti amianto è passato da 4,9 nel 2013 a 6 milioni di dollari nell’anno successivo, mentre le esportazioni di tali beni sono state di 1,8 milioni di USD.  Nel 2013 la Russia, lo Zimbabwe, il Kazakhstan, l’India, il Kyrgyzstan, il Vietnam e l’Ucraina si sono opposti in blocco all’inclusione, mentre il Canada per la prima volta ha potato per la neutralità.

Nonostante la sua posizione oltranzista, il Canada oggi di fatto usa molto meno amianto di prima, ma fino al 2011, anno di chiusura dell’ultima miniera, il Quebec da solo era il primo produttore mondiale ed esportava il 96% del minerale grezzo estratto nei paesi asiatici (vedi: Asbestos.Com) posizionandosi come superpotenza esportatrice del minerale. Le prossime elezioni federali canadesi, previste per il 19 ottobre, potrebbero segnare un punto di svolta in caso di vittoria del Liberal Party, da sempre ambiguo sull’amianto ma ora riconvertitosi a una linea “verde”, o del New Democratic Party, oggi all’opposizione e contrario a ogni tipo di asbesto, mentre una vittoria del Conservative Party di Stephen Harper sarebbe un toccasana per le lobby pro-amianto. Il Bloq Québéquois ha mostrato anch’esso non poche ambiguità e tentennamenti, ma pare orientarsi verso l’estensione delle restrizioni, così come il Green Party che da sempre combatte il blocco estrattivista.

Italia, Brasile, Messico

Pure l’Italia, in cui il divieto risale al 1992, continua a importarlo aggirando la normativa. “Negli ultimi anni ne abbiamo importato 34 tonnellate e i numeri sono indicati per difetto. I rumors si rincorrevano da mesi (…), la procura di Torino ha aperto un fascicolo d’indagine, ma la conferma ufficiale è arrivata solo qualche giorno fa alla Camera dei Deputati”, spiega Stefania Divertito su BioEcoGeo.

amianto mexico2Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, del Movimento 5 Stelle, in un’interpellanza sull’argomento ha ottenuto una risposta chiara ma incompleta dal sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione: “No, noi non importiamo amianto ma manufatti contenenti amianto”. Cioè facciamo come Stati Uniti e Canada, per esempio, e tra il 2011 e il 2014 ne sono entrate 34 tonnellate in prodotti che non conosciamo, dato che il sottosegretario non ha fornito dettagli al riguardo. Di Maio ha precisato che “secondo un documento dell’ente minerario del Governo indiano, l’Italia nel 2011 e nel 2012 sarebbe risultato il maggiore importatore al mondo di amianto con rispettivamente oltre 1.040 tonnellate e 2.000 tonnellate”. Il minerale sarebbe ancora usato nell’edilizia e anche da una partecipata di Finmeccanica, la Agusta Westland che fornisce elicotteri alle forze armate ed è guidata da Daniele Romiti. Insomma lo sporco e mortifero business dell’amianto non molla la presa. E l’Italia è in buona compagnia dato che, per esempio, anche altri paesi, come Australia, Gran Bretagna, Svezia e Giappone, continuano comunque a commerciarlo malgrado il divieto di utilizzarlo internamente.

In Brasile si stima che l’amianto abbia ucciso 150.000 persone in 10 anni, cioè 15.000 in media all’anno, cifra che equivale a circa il 15% del totale mondiale. Nel gigante sudamericano operano 16 grandi aziende che “nelle elezioni finanziano trasversalmente tutti i partiti politici”, denuncia Fernanda Giannasi, ex supervisore del Ministério do Trabalho e attivista anti-amianto. I militanti come lei hanno sia i mass media che l’industria contro, visto che cercano d’informare la popolazione sui rischi e le complicità politico-imprenditoriali del settore in un intorno ostile e poco sensibile alla tematica. Se ne parla ancora poco e il pericolo non viene eliminato, però la sua percezione sì.

In Messico il mesotelioma è aumentato dai 23 casi del 1979 ai 220 del 2010, ma c’è una sottostima probabile del 70% che porterebbe la media annua a 500 casi e, secondo altre stime, anche fino a 1.500. La “cifra sommersa” si relaziona ai casi in cui non si diagnostica la malattia o non risulta dai documenti relativi al decesso, anche perché è conveniente non riconoscere le patologie come “lavorative”. L’asbesto è presente in innumerevoli strutture nel cuore delle città. La CTM (Confederazione dei Lavoratori Messicani, sindacato pro-governativo) ha addirittura difeso l’uso del materiale, dato che il settore impiegherebbe 8-10.000 persone e non ci sarebbero prove di decessi per mesotelioma, il che è falso e nasconde il problema. Insomma, è come tornare indietro di due o tre decenni almeno. L’estrazione mondiale di amianto è stata nel 2013 di 2,1 milioni di tonnellate e dal 1995 s’è mantenuta abbastanza stabile, tra le 2 e le 3 tonnellate, con un totale di oltre 1800 aziende che lo utilizzano (sul caso messicano: link 1: Datato, 1986 – Link 2: 2010-Mesotelioma Messico – Link 3 Globalizzazione e trasferimento di industrie pericolose).

amianto mexicoAnche se in Messico non esiste una vera e propria associazione di vittime dell’amianto o un movimento significativo contro l’uso del minerale, per cui lo Stato è sostanzialmente indifferente all’argomento, l’organizzazione messicana Ayuda Mesotelioma denuncia e lotta da 5 anni, vale a dire da quando le due fondatrici, Sharon Rapoport e sua sorella Liora, hanno visto come loro padre s’ammalava gravemente. In cinque decenni il Messico ha importato oltre 500.000 tonnellate d’asbesto e solo nella capitale lo utilizzano 42 imprese. Qui si può fare, maneggiarlo è legale, anche se eticamente deplorabile: i proventi per le quantità importate e processate internamente sono raddoppiate tra il 2011 e il 2012 passando da 9 a 18 milioni di dollari.

Amianto-Mondo

“A eccezione della polvere da sparo l’amianto è la sostanza più immorale con la quale si sia fatta lavorare la gente; le forze sinistre che ottengono profitti dall’amianto sacrificano gustosamente la salute dei lavoratori in cambio dei benefici delle imprese”, ha dichiarato l’ex eurodeputato olandese Remi Poppe. I sintomi del mesotelioma compaiono tra 15 e 50 anni dopo l’inalazione delle microfibre e non esiste realmente nessun livello “sicuro” di esposizione.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ogni anno muoiono 107.000 persone in seguito a malattie contratte per il contatto con l’amianto. Per lo stesso motivo nel secolo XX le morti premature furono 10 milioni e s’ammalarono 100 milioni di persone. Oggi 125 milioni di lavoratori rimangono esposti direttamente al minerale. La Commissione Federale per la Protezione dei Rischi Sanitari del Ministero della Salute messicano ha riconosciuto la sua tossicità, ma s’è limitata a suggerire che “le aziende ne controllino l’uso”.

amianto brasil abreaLa Legge della Salute di Città del Messico parla di “precauzioni” da prendere sull’amianto, ma non lo vieta. Secondo i dati dell’istituto di statistica nazionale il 21% delle case messicane ha un tetto di lamine metalliche, cartone o asbesto e l’1% ha pareti di cartone, amianto, fusti di piante, bambù o palma. Nel 2014 sono state concesse delle quote del Fondo di Apporto per la Struttura Sociale per strutture ad uso abitativo nel quartiere periferico di Iztapalapa e le regole stabilivano che per essere beneficiari del programma “i pavimenti, i muri e/o i soffitti devono essere di stanze da letto o cucine all’interno della casa in lamina di cartone, metallica, di amianto o di materiale di scarto”. In sostituzione, secondo la Gazzetta Ufficiale della capitale, si prevedeva di costruire pavimenti, tetti e muri di fibrocemento, quindi di Eternit!

La OMS, al contrario, ha chiesto: di eliminare l’uso di ogni tipologia di asbesto, compreso quello bianco o crisolito che le lobby del settore pretendono di presentare come “pulito”; apportare informazioni su soluzioni per sostituirlo con prodotti sicuri; sviluppare meccanismi economici e tecnologici al riguardo; evitare l’esposizione durante il suo uso e il suo smaltimento; migliorare la diagnosi precoce, il trattamento e la riabilitazione medica e sociale dei malati dell’asbesto; registrare le persone esposte attualmente o nel passato (link a mappe e grafici aggiornati sull’amianto nel mondo di International Ban Asbestos Secretariat-IBAS).

Il “guru” Stephen Schmidheiny, il Costa Rica, l’America Latina

asbesto1203-1000 COLOMBIALa filiera tossica dell’amianto passa anche per il Costa Rica, la cosiddetta “Svizzera del Centroamerica”. La Garita è un piccolo paradiso, un angolo tropicale nel centro del paesem vicino alla città di Alajuela. Le strutture della INCAE Business School, la miglior scuola di business latinoamericana, spiccano tra le palme, le fattorie, una placida strada a due corsie e una distesa di prati verdissimi. INCAE è famosa per il suo approccio basato sullo sviluppo sostenibile e l’etica d’impresa. Possiede un campus in Nicaragua e uno in Costa Rica. E’ un progetto per l’insegnamento e la ricerca in gestione d’impresa che nasce nel 1964 sotto l’egida della Allianza per il Progresso, lanciata in funziona anti-cubana dal presidente statunitense J. F. Kennedy, dalla HBS (Harvard Business School), dell’agenzia UsAid e dei capi di stato e gli imprenditori di sei paesi centroamericani (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica e Panama).

Negli anni ’90 la sua storia s’incrocia con quella di un impresario che, soprattutto nelle Americhe, s’è costruito una fama di irriducibile guru dello sviluppo sostenibile, mentre in Europa è ben noto come il “Re dell’Eternit”: Stephen Schmidheiny. Uomo d’affari per vocazione ed eredità familiare (cementera Holcim, Wild-Leitz di strumenti ottici, l’elettrotecnica BBC Brown Boveri e la multinazionale Eternit), è nato a Heerbrugg, Svizzera, nel 1947, e ha ammassato una fortuna con il business dell’amianto. Il suo record personale è macchiato da processi giudiziari controversi e accuse pesantissime.

AVINA, Ashoka e lo spirito del filantrocapitalismo

INCAE STEPHEN SCHMIDHEINYLa fondazione AVINA, creata dall’impresario nel 1994 e attiva in 21 paesi latinoamericani, collabora da tempo con la scuola e nel 1996 Schmidheiny, che è stato amministratore di Eternit e oggi siede nel consiglio direttivo di INCAE, ha partecipato alla creazione del Centro Latinoamericano per la Competitività e lo Sviluppo sostenibile dell’università, il CLACDS. Ci sono altre organizzazioni senza fini di lucro fondate dal magnate svizzero: per esempio Fundes (1984) e il fidecommesso Viva Trust (2003) su cui si sostiene AVINA. In questo è confluito il valore della vendita della partecipazione dello svizzero in GrupoNueva, consorzio specializzato nel business forestale e dei derivati del legno che ha spostato la sua sede principale a San José, Costa Rica, nel 1999. L’imprenditore ha venduto anche le sue azioni del gruppo Eternit alla fine degli anni ’80.

Avina Logo-FundesLe fondazioni, a partire dai trasferimenti di capitale dello svizzero, si sono costituite come enti autonomi dai suoi precedenti asset e patrimoni d’impresa e promuovono attività istituzionali, come la rete SEKN (Social Enterprise Knowledge Network), di cui fa parte INCAE, filantropiche e anche alleanze su temi socio-ambientali: acqua, città sostenibili, energia, industrie estrattive, innovazione politica, riciclaggio e cambiamento climatico.

Esistono forti movimenti d’opposizione che applicano l’etichetta “filantrocapitalismo” quando si parla di AVINA e della sua alleata Ashoka, fondazione filantropica statunitense presente in 70 paesi. “Il capitale cerca di appropriarsi dei movimenti ecologisti ragionevoli per riconvertirli in capitalismi verdi addomesticati o forme di business con l’esaurimento del pianeta”, ha commentato al riguardo l’ingegnere attivista spagnolo Pedro Prieto di ASPO (Asociación para el Estudio del Auge del Petróleo y del Gas).

Revoke-Convicted-Asbestos-Criminal-Stephan-Schmidheiny-honorary-Yale-doctorate_edited-2Perché? “Gli imprenditori sociali lavorano con quelle popolazioni e la loro attività consiste nell’avvicinarle alle multinazionali mentre salvaguardano gli interessi di queste”, ha detto María Zapata, direttrice di Ashoka in Spagna. In un’intervista col portale spagnolo Rebelión, il ricercatore Paco Puche racconta che le fondazioni si infiltrano nei movimenti attraverso la “cooptazione di leader” e che “AVINA è vincolata al magnate svizzero Schmidheiny, che deve la sua fortuna al criminale business dell’amianto. Diciamo che tutti quelli che hanno ricevuto denaro e altri benefici da questa fondazione (e dopo averla conosciuta, non le hanno rifiutate) si portano dietro la maledizione della polvere dell’amianto nelle viscere”.

Processo Eternit

Nel febbraio 2013 il tribunale di Torino ha condannato Schmidheiny e il suo ex socio nella multinazionale Eternit Group, il barone belga Louis De Cartier, di 92 anni d’età in quel momento, a 16 anni di prigione per disastro doloso e rimozione di misure contro gli infortuni: la sentenza era attesa dai familiari di 3000 vittime. Il 3 giugno 2013 in appello la condanna è stata aumentata a 18 anni di reclusione, ma il nobile belga era morto pochi giorni prima. Lo svizzero “Re dell’Eternit” è stato condannato per le sue responsabilità come amministratore dell’azienda nel decennio 1976-1986 e assolto da altri capi d’accusa per il periodo 1966-1975. Le cause dell’asbestosi e del mesotelioma erano già state scoperte negli anni ’60 e, dopo quel decennio, i due magnati si sono avvicendati nella gestione dell’azienda.

Amianto eternit_sentenzaNonostante tutto, il business di Eternit continuò, per cui la condanna parla di “dolo”: gli imputati avrebbero nascosto consapevolmente gli effetti cancerogeni dell’amianto. Il 20 novembre 2014 la Corte di Cassazione, nell’ultimo livello di giudizio, ha annullato la sentenza precedente argomentando che i reati sono stati commessi ma che è sopraggiunta la prescrizione. E’ stato preso come inizio dei termini per la prescrizione l’anno 1986, quando Eternit ha dichiarato il fallimento, e la decisione è polemica, visto che il disastro ambientale ancora continua a succedere, non s’interrompe con il fallimento dell’azienda. E’ uno schiaffo a vittime, familiari e alla società intera. La giustizia s’allontana insieme alla possibilità di congrui risarcimenti.

Nel maggio 2015 s’è aperto il processo “Eternit Bis”: Schmidheiny non è più accusato di “disastro” ma di omicidio doloso aggravato di 258 persone, ex impiegati di Eternit o abitanti di Casale Monferrato, uno dei comuni in cui operava l’impresa che sono deceduti tra il 1989 e il 2014 per mesotelioma pleurico. Dal canto suo, il magnate sulla sua pagina web si presenta come “pioniere nell’eliminazione dell’asbesto nell’industria manifatturiera”. I magistrati di Torino considerano come aggravante il fatto che l’imprenditore avrebbe commesso il reato esclusivamente per “fini di lucro” e “in modo insidioso”, cioè avrebbe occultato ai lavoratori e ai cittadini l’informazione sui rischi che correvano, promuovendo una “sistematica e prolungata opera di disinformazione”.

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A fine luglio gli atti del processo sono stati inviati alla Consulta e il procedimento è stato sospeso in attesa della decisione della Corte circa le eccezioni di costituzionalità sollevate dai legali di Stephen Schmideheiny in base al principio del “Ne bis in ibidem”, secondo cui nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. Nel frattempo i PM stanno integrando altri 94 casi di morti legate all’amianto da contestare al manager svizzero, nel caso in cui la Corte Costituzionale accolga le richieste degli avvocati difensori.

Purtroppo l’ecatombe dell’amianto durerà ancora per decenni e la tendenza, già in atto almeno da una ventina d’anni, è quella di un graduale spostamento dei rischi e dell’uso del minerale verso i paesi in via di sviluppo. Dunque la lotta per la sua messa al bando e la riparazione del danno provocato a milioni di vittime, pur con difficoltà e differenti percorsi più o meno avviati oppure solo incipienti, tende anch’essa a globalizzarsi, passando dall’Europa all’America Latina e agli altri continenti.

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“Hai mai conosciuto un essere umano più triste di un operaio ?” https://www.carmillaonline.com/2015/07/11/hai-mai-conosciuto-un-essere-umano-piu-triste-di-un-operaio/ Fri, 10 Jul 2015 22:01:47 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23693 di Sandro Moiso

valenti 1Stefano Valenti, La fabbrica del panico, Feltrinelli 2013 – 2014, pp. 122, € 11, 00

Recensisco soltanto ora, con colpevole anche se inconsapevole ritardo, uno dei testi narrativi più significativi pubblicati in Italia negli ultimi anni. Stefano Valenti, al suo primo romanzo, non solo ha vinto la cinquantaduesima edizione  del Premio Campiello per la migliore opera prima, ma ha scritto un testo cupo ed agghiacciante. Coinvolgente dalla prima all’ultima pagina, senza mai un calo della tensione che lo ha ispirato.

L’ennesimo noir? Un altro horror ben congeniato? No.                   [...]]]> di Sandro Moiso

valenti 1Stefano Valenti, La fabbrica del panico, Feltrinelli 2013 – 2014, pp. 122, € 11, 00

Recensisco soltanto ora, con colpevole anche se inconsapevole ritardo, uno dei testi narrativi più significativi pubblicati in Italia negli ultimi anni. Stefano Valenti, al suo primo romanzo, non solo ha vinto la cinquantaduesima edizione  del Premio Campiello per la migliore opera prima, ma ha scritto un testo cupo ed agghiacciante. Coinvolgente dalla prima all’ultima pagina, senza mai un calo della tensione che lo ha ispirato.

L’ennesimo noir? Un altro horror ben congeniato? No.                                   Soltanto un libro sulla fabbrica. Sulla condizione operaia. Sulla morte operaia.       Un testo che cancella ogni forma di epica, un’opera assolutamente anti-eroica e anti-retorica. Sincera fino allo strazio. Un testo politico, profondamente politico ed umano. Come ben pochi altri.

Sarebbe troppo semplice annoverare il libro tra quelli dedicati, in anni recenti, alle problematiche del lavoro e dell’inquinamento ambientale e, più in particolare, alle malattie che ne derivano.
Certo il dramma è scatenato dall’asbestosi e dalla morte per mesotelioma del padre dello stesso autore, ma la narrazione scava più in profondità, non solo nell’animo di Stefano e nelle sue paure.  Scava fino all’osso e all’essenza  della coscienza e dell’odio di classe.

Scava l’autore basandosi innanzitutto, oltre che sulla sua drammatica esperienza, sulle vicende che hanno accompagnato la formazione e la lotta di una delle realtà più importanti di auto-organizzazione operaia degli ultimi decenni, quel Coordinamento Operaio di Sesto San Giovanni  da cui si sarebbe poi sviluppato il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio ancora oggi così vigile, attivo e combattivo per tutte le realtà di lotta createsi intorno alle questioni delle nocività sui posti di lavoro, dell’inquinamento ambientale e della devastazione territoriale.

Scava e non lascia spazio all’idealismo nella lotta di classe. Perché la coscienza di una classe non nasce dall’idea. La presa di coscienza scaturisce dalla paura, dal dolore, dalla solitudine, dalla vergogna, dall’odio, dalla morte dei compagni e dalla consapevolezza di non poter sfuggire altrimenti ad un destino già scritto nei contratti di lavoro. Nasce dalle regole di ingaggio degli operai della grandi e piccole fabbriche. Regole di ingaggio di una guerra sempre presente e mai dichiarata tra capitale e lavoro. Tra capitale e vita della specie.

La fabbrica non era la soluzione, era il problema, un problema più grave della disoccupazione […] In fabbrica faceva cose che non avrebbe mai fatto in vita sua. Obbediva a ordini  a cui non avrebbe mai obbedito […] Ogni giorno si chiedeva come fosse possibile accettare tutto questo, come fosse possibile accontentarsi, si chiedeva qual era il limite oltre il quale non era concesso, non era lecito andare e ogni giorno varcava questo limite” (pp. 47-48)

Hai mai conosciuto un essere umano più triste di un operaio? mi ha chiesto un giorno tuo padre, dice Cesare. Ha mai regnato sulla terra una tristezza pervasiva come quella che incartoccia l’operaio davanti alla macchina? mi ha chiesto, dice Cesare. E nella tua infelicità, isolato nel rumore, nella polvere, nella paura, ha continuato tuo padre, ti sei mai chiesto se esiste un essere umano che soffre di solitudine come un operaio?, dice Cesare. La coscienza di classe è consapevolezza di vivere una condizione uguale a quella di altri, ha concluso tuo padre. Non è dunque l’indigenza più della vergogna a unirci in un comune destino. Una vergogna determinata da un’urgenza che in fabbrica diventa necessità impellente, occorrenza estrema. Erano pensieri come quelli, pensavo, dice Cesare, parole come quelle a fare male. La consapevolezza che la vita era un’ingiuria, un’offesa continua” (pp. 60-61)

Ho saputo di operai che per liberarsi della fabbrica si procuravano mutilazioni volontarie, Ritenevano di esercitare il controllo. Una contusione, un’abrasione. Capitava loro di tornare a casa senza un dito, senza una falange. Comunque a casa, e in malattia […] Cento operai su cento soffrono di disturbi alle prime vie respiratorie, sia in fonderia, sia in forgia, sia alle macchine. Sessantasette operai su cento soffrono di bronchite cronica in fonderia, trentacinque alle macchine, quindici in forgia. Settantuno operai su cento soffrono di artrosi e reumatismi in fonderia e in forgia, trentacinque alle macchine. Sessanta operai su cento soffrono d’ansia alle macchine, Ventidue operai su cento soffrono di silicosi in fonderia” (pp.64-74)

Ne sono morti una ventina in reparto, diciannove operai su ventisei. E la direzione non ha detto niente perché a loro e al sindacato interessava il lavoro e di tanto in tanto concedevano qualche adeguamento di stipendio, nient’altro” (pag. 32) Gli operai muoino, di mesotelioma, ma la macchina deve andare avanti. The show must go on! Lo spettacolo della produzione e della produttività deve continuare ad essere rappresentato, con la complicità del sindacato e del riformismo.

Lo imparano a loro spese gli operai. Proprio in fabbrica si scopre l’inutilità e la nocività delle dottrine del lavorismo. Lì nasce il rifiuto del lavoro coatto. Non di quello creativo che, per quanto negato all’operaio per default, può, come per la pittura nel caso del padre di Stefano, rappresentare l’unica fuga, l’unica momentanea salvezza individuale. Se non del corpo, ormai condannato, almeno della mente.Chiedere pane e lavoro per non morire di fame per poi morire di lavoro. Questa la drammatica, inutile e crudele contraddizione per la classe operaia del ‘900.

La sofferenza della morte industriale. Lontana anni luce dall’immagine stratta della morte. Non conosciamo altro modo di vivere, dice Cesare. Enormi fabbriche che rastrellano la terra facendo strage di tutta la vita che trovano. Meccanismi che distruggono le menti, l’habitat necessario alla specie, e rompono l’equilibrio biologico. Uno solo di questi mattatoi fumanti e rumorosi può uccidere decine e decine di uomini […] Negli anni sono stati introdotti divieti, ma queste misure non sono state sufficienti a porre un freno al disastro. Nuove devastanti modalità di produzione sostituiscono le vecchie. Il capitale sfida le convenzioni internazionali e l’opinione pubblica con una violenta e insensata caccia al profitto […] La nefasta pratica della produzione intensiva applicata a livello mondiale separa, trita, ingurgita” (pag.78)

Non vi è spazio per l’orgoglio operaio nelle pagine di Valenti. Non c’è spazio per l’orgoglio di categoria per gli operai di fabbrica. L’operaio-massa lavora e muore oppure si ribella, come gli antichi schiavi. Spartaco muore per liberare le potenzialità prometeiche della sua classe, ma può farlo soltanto combattendo.

Gli uomini che trascorrono la vita in fabbrica si chiamano operai. Esistono gli operai ed esistono gli altri uomini, dice Cesare […] Cesare ricorda il primo giorno in fabbrica, in fonderia, e dice Era come essere in guerra […] La vita dentro la fabbrica la conoscono gli operai, e gli altri uomini non la conoscono, dice Cesare. Nessuno conosce la fabbrica perché è organizzata come un carcere di massima sicurezza in cui a nessuno è consentito entrare, tranne ai carcerati, ai loro familiari e alle guardie, gli unici a cui è concesso vivere in quel luogo, dice Cesare” (pp. 78-79)

Ci si stupisce oggi del Job Act, dai provvedimenti e dalle pretese di Marchionne. Drogati da decenni di riformismo e di vuoti statuti ci siamo forse dimenticati che: “La legge del capitale in fabbrica è il profitto di impresa, l’incondizionata accettazione da parte dell’operaio della regola dello sfruttamento intensivo del lavoro […] La riduzione dei costi. Ma dal momento che il lavoro in fabbrica è in gran parte illogico e detestabile, al fine di ottenere un’adesione degli operai al progetto d’impresa è necessario esercitare una pressione sul lavoratore, che finisce di frequente per cedere, In fabbrica accadono episodi inenarrabili. La sopraffazione è la norma, le umiliazioni una prassi, il ricatto un’abitudine” (pag. 79)

Non esiste un capitale democratico e non esiste via parlamentare verso la liberazione dal lavoro salariato. Anzi, tutte le riforme e tutti gli illusori diritti, raggiunti sempre e comunque a costo di lotte estenuanti, sembrano alla fine soltanto prolungarne la triste e feroce esistenza. Apparentemente indistruttibile, come l’amianto. “Incorruttibile, inestinguibile, non infiammabile, resistente all’attacco degli acidi e alla trazione. L’amianto è indistruttibile, facilmente friabile e altamente cancerogeno […] Gli operai non lo sanno e giocano a tirarsi palle di fibre di amianto” (pp. 81-82)

Fino a quando la classe operaia potrà ancora rinviare la negazione delle basi del proprio sfruttamento e delle condizioni materiali della propria sottomissione? Ma, soprattutto, fino a quando vorremo ancora partecipare a questo gioco mortale, le cui regole sono dettate dal capitale? Fino a quando vorremo lasciarci ancora illudere dagli esorcismi elettorali, parlamentari e referendari? Fino a quando attenderemo ancora, prima di lasciare esplodere la nostra frustrazione, la nostra rabbia, la nostra insoddisfazione e il nostro odio? Fino a quando? Grazie Stefano, per non esserti più tenuto dentro tutto ciò che tuo padre, la sua esperienza di fabbrica e la sua morte ti hanno trasmesso.

N.B.
E grazie anche all’instancabile lavoro di Michele Michelino (identificabile, nel romanzo, nella figura di Cesare), animatore, insieme a tutti gli altri operai, del Centro di iniziativa proletaria G. Tagarelli e del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro  e del territorio, cui si rinvia per altri due importantissimi testi: Michele Michelino, 1970-1983 La lotta di classe nelle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni, Milano 2003 e Michele Michelino e Daniela Trollio, Operai, carne da macello. La lotta contro l’amianto a Sesto San Giovanni, Milano 2005 entrambi reperibili presso il Centro di Iniziativa Proletaria “Gianbattista Tagarelli” di Sesto San Giovanni (MI) – cap 20099 – via Magenta n. 88  tel. 0226224099 oppure al cell. 3394435957 o all’e-mail: michele.mi@inwind.it

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Il giro del mondo ( e dello spazio) in ottanta guerre https://www.carmillaonline.com/2014/07/03/giro-mondo-spazio-in-ottanta-guerre/ Wed, 02 Jul 2014 22:10:40 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15629 di Sandro Moiso

wars_on demandVicenza libera dalle servitù militari (a cura di), Wars On Demand. Guerre nel terzo millennio e lotte per la libertà, Agenzia X, Milano 2014, pp. 184, € 13,00

Gentlemen, non sono venuto in questo paese per perdere la Terza Guerra Mondiale, ho già perso la Seconda” (Walter Dornberger, capo del programma di sviluppo spaziale segreto di Hitler, davanti al Congresso americano) Non sono esattamente ottanta le situazioni di guerra potenziale esaminate dal libro in questione ma, sicuramente, ciò che consegue ad una sua lettura è, di fatto, l’inevitabilità strutturale della guerra, anche su scala allargata e mondiale, [...]]]> di Sandro Moiso

wars_on demandVicenza libera dalle servitù militari (a cura di), Wars On Demand. Guerre nel terzo millennio e lotte per la libertà, Agenzia X, Milano 2014, pp. 184, € 13,00

Gentlemen, non sono venuto in questo paese per perdere la Terza Guerra Mondiale, ho già perso la Seconda” (Walter Dornberger, capo del programma di sviluppo spaziale segreto di Hitler, davanti al Congresso americano)
Non sono esattamente ottanta le situazioni di guerra potenziale esaminate dal libro in questione ma, sicuramente, ciò che consegue ad una sua lettura è, di fatto, l’inevitabilità strutturale della guerra, anche su scala allargata e mondiale, insita nella logica stessa del capitalismo e della sua tendenza a sottomettere ai suoi principi di riproduzione ed accumulazione ogni aspetto della vita economica e sociale oltre che l’ambiente e lo spazio nel loro insieme.

Spazio che non va inteso soltanto come geografico, territoriale, terrestre, ma anche come spazio circostante la Terra e che può spingersi all’intero sistema solare, se non oltre, nel sempre meno inconfessato desiderio di dominare le comunicazioni mondiali e le risorse minerarie disponibili al di fuori della nostra atmosfera. Fantascienza di serie B? Fantasie di uno sceneggiatore transfuga di Avatar? No, semplice progetto di espansione dell’imperialismo, non solo americano, a dar retta ad uno dei saggi contenuti nel testo1

Controllo di uno spazio che comprende, anche, sempre più spesso il cyberspazio, sia per il controllo dei dati di milioni o miliardi di cittadini, sia per una guerra elettronica sempre più feroce sul piano finanziario e dello spionaggio tecnologico e militare. In cui l’arruolamento di hacker ingegnosi, tecnici, ingegneri, abili smanettoni e nerd console-dipendenti è diventato ormai per le strutture di difesa e attacco importante quanto l’arruolamento di soldati e killer ben addestrati.

Ma il testo, frutto di una collaborazione, nata in occasione della Global Conference tenutasi nel settembre 2013 durante il “Festival No Dal Molin” a Vicenza, tra giornalisti, ambientalisti e militanti anti-militaristi e a difesa dei diritti delle popolazioni locali di quasi ogni parte del mondo, si spinge fino a darci un panorama globale del rischio di una guerra reale sottesa all’attuale modo di produzione dominante e alla sua attuale crisi storica, economica e politica e, allo stesso tempo, delle forme di resistenza che le si oppongono

Tracciando una linea ideale che dalla pianura padana e dalle nostre valli alpine, corra attraverso i Balcani, l’Ucraina e l’Asia Centrale, quasi parallelamente ad un’altra che vada dalle coste meridionali del Mediterraneo verso il Medio Oriente ed Estremo Oriente, ci si può accorgere, leggendo gli interventi contenuti nel testo, di come le due linee finiscano con il convergere in un punto ideale situato nell’Oceano Pacifico, là dove la potenza declinante americana sta cercando di costruire un limite, insieme a Giappone e Corea, all’espansione economica, diplomatica e militare della Cina.

Una linea di faglia enorme, lunghissima e i cui effetti sismici possono ormai essere avvertiti in ogni parte del mondo, anche qui in Europa. Linea di faglia che, però, non ha solo rilevanza geopolitica e militare ma, soprattutto, sociale e ambientale, poiché, lungo il suo fin troppo prevedibile e catastrofico percorso, è destinata a sconvolgere sempre più l’ambiente e la vita della maggioranza dei cittadini del globo e delle società in cui vivono.

Qui sta l’interesse principale degli interventi. Spesso basati su esperienze di resistenza costruite dal basso: sia che si tratti di bloccare la costruzione e l’espansione della base aerea americana di Vicenza, sia che si tratti di bloccare l’ampliamento o la realizzazione di nuove gigantesche basi nelle isole di Guam e Jeju o nella baia di Subic, nelle Filippine, oppure di cacciare quelle già esistenti e devastanti di Okinawa, delle Hawaii o di Diego Garcia.

Salta subito agli occhi di chi legge che non soltanto i problemi sono gli stessi, ma anche che le pratiche e le esigenze socio-politiche ed ambientali che ne derivano tendono ad assomigliarsi in ogni angolo del globo2 e a far sì che gli attori delle proteste (associazioni, villaggi, territori, classi sociali) abbiano sempre più modo di intendersi e raccordarsi per azioni comuni, almeno per fini ed intenti.

Lo sguardo rivolto a chi taglia le reti delle basi americane in Estremo Oriente oppure verso chi cerca di impedire l’accesso di enormi gru e trivelle sui territori destinati ai nuovi impianti militari, oppure verso il sempre più stretto rapporto istituitosi, in ogni angolo del pianeta, tra taglio della spesa pubblica, peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro ed aumento della spesa militare e per le grandi opere, non può non spingersi a vedere, in tutto ciò, la possibilità di un nuovo internazionalismo.

Non più soltanto ideale, imposto da una scelta partitica o basato sull’autorevolezza di una singola classe, ma concreto nel suo svolgersi al servizio di esigenze reali, sentite e vissute dalla maggioranza delle popolazioni coinvolte. Toccate da una militarizzazione della società e dei territori che è destinata a far peggiorare sempre di più le condizioni di democrazia ancora esistenti e destinate, proprio per quello che accade, a risvegliarsi dal torpore prodotto dalle menzogne politico-mediatiche e ad aggregarsi in nuove forme di lotta ed organizzazione.

Raccontare o descrivere qui tutte le esperienze di lotta, le vittorie e le delusioni riportate, sarebbe troppo lungo e priverebbe il lettore del piacere della loro scoperta attraverso le pagine del libro; così come sarebbe inutile dilungarsi sull’aumentato pericolo insito in “un braccio di ferro dai toni animosi e irremovibili che paiono avere, come intento strategico, l’evocazione della guerra, sia pure solo a scopo di deterrenza. Un gioco pericoloso che accresce il rischio di un conflitto accidentale dagli effetti incontrollabili”.3

Certo è solo che, come afferma ancora l’intervento appena citato, si va affermando così “una fase in cui più mercato e più autoritarismo saranno le due facce di un’unica moneta”, non solo in Cina, cui è riferito, ma ovunque il nazionalismo tenderà a giustificare le spese militari e a compensare la miseria dell’esistenza quotidiana. Ma questo, come si è già detto, darà vita anche ad un antimilitarismo di tipo nuovo, che al contrario di quanto predicato anche dal nostro presidente della repubblica, potrebbe non essere soltanto il prodotto pernicioso di un generico e amorfo pacifismo, ma quello spontaneo e necessario delle contraddizioni indotte su scala globale dal capitalismo nell’ora della sua crisi più grave.

In un mondo in cui l’arruolamento potrebbe diventare sempre più spesso “il lavoro della povertà”: “Non c’è un manuale dettagliato che indichi i passi da compiere per sviluppare una consapevolezza che porti a vedere le lotte degli altri come proprie. Quando saremo capaci di vedere che le lotte altrui sono intimamente legate, e non in competizione, con le nostre? Può essere molto frustrante, per un attivista, aver a che fare con l’immaginario. Ma è assai stimolante pensare di poter contribuire a forgiarlo [… ] un immaginario comune, una proiezione mentale che contenga politica, strategia e speranza. Non semplicemente una mappa astratta ma qualcosa in cui credere, che viva e respiri da solo, che le persone possano sentire”.4

Un compito ed una necessità sempre più urgenti per chi voglia opporsi all’apertura delle porte di quell’inferno in terra che gli avvenimenti delle ultime ore, dalla striscia di Gaza all’Iraq, sembrano rendere, purtroppo, sempre più probabile e vicino.


  1. Bruce Gagnon, Guerre e colonie nello spazio, pp. 51 – 61  

  2. Basti pensare, per esempio, al problema rappresentato dall’asbestosi diffusa sia tra i lavoratori che hanno partecipato alle costruzioni delle basi americane del Pacifico come tra quelli di Casale Monferrato o tra coloro che sono dediti alla cernita degli stracci a Prato oppure, ancora, a Taranto e, forse, domani tra gli abitanti della Valle di Susa se i lavori di scavo per il TAV procederanno ancora a lungo  

  3. Angela Pascucci, Il triangolo fatale delle Diaoyu/Senkaku, pp.91 – 119  

  4. Michael Lujan Bevacqua, Isola di Guam. La punta di lancia dell’impero, pp.124 – 136  

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