Appio Tuscolano – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 15 Sep 2025 22:01:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Quelli dell’Alberone https://www.carmillaonline.com/2023/03/06/di-luca-cangianti-cinquantanni-di-antagonismo-sociale-allappio-tuscolano/ Sun, 05 Mar 2023 23:01:13 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76315 di Luca Cangianti

Palazzi massicci alti dieci piani si alternano a complessi di edilizia popolare. Nelle vie secondarie si scorgono costruzioni dai tratti più rurali che rimandano a un paesaggio scomparso ormai da un secolo. Oggi l’Appio Tuscolano si presenta come uno dei quartieri più densamente popolati della Capitale. Fino agli anni cinquanta ospitava gli stabilimenti della Fatme, officine di piccole e medie dimensioni, depositi di mezzi pubblici e opifici cinematografici. La popolazione di conseguenza era un composto di ceti impiegatizi e popolari con una sostanziosa presenza operaia. Inizia [...]]]> di Luca Cangianti

Palazzi massicci alti dieci piani si alternano a complessi di edilizia popolare. Nelle vie secondarie si scorgono costruzioni dai tratti più rurali che rimandano a un paesaggio scomparso ormai da un secolo. Oggi l’Appio Tuscolano si presenta come uno dei quartieri più densamente popolati della Capitale. Fino agli anni cinquanta ospitava gli stabilimenti della Fatme, officine di piccole e medie dimensioni, depositi di mezzi pubblici e opifici cinematografici. La popolazione di conseguenza era un composto di ceti impiegatizi e popolari con una sostanziosa presenza operaia.
Inizia in questo contesto la storia del Comitato di quartiere Alberone, la sede politica di via Appia Nuova 357 che prende nome – come la zona circostante – da un leccio centenario, morto nell’inverno del 1980 e poi sostituito innumerevoli volte. «All’inizio, ti parlo di cinquant’anni fa, ci riunivamo nella sala dei biliardi di questo bar che al tempo era di mia madre.» Sono seduto a un tavolo all’incrocio tra via Furio Camillo e via Niso. Ascolto i racconti di Giammarco D’Ubaldo: «La mia era una tipica famiglia di tradizione comunista. Pensa che mio nonno nel dopoguerra andò alla sede del Pci e tesserò sette familiari senza nemmeno avvisarli. Quando tornò a casa, mia nonna gli disse: “Vabbè, d’accordo, ma almeno ce lo potevi dire, no?”»

Il primo intervento del Comitato fu di tipo antifascista, perché il quartiere era pieno di sedi dalle quali partivano intimidazioni squadristiche verso gli studenti medi, specialmente quelli del liceo Augusto. I locali del Comitato sono costituiti da un semplice stanzone, in un sottoscala senza bagno al quale si accede varcando un portone rosso. Dentro ci sono ancora le scomode panche senza schienale che hanno messo alla prova la solidità (non solo politica) di generazioni di compagni e di compagne. Provengono da una vecchia occupazione: la Chiesetta di via Vigna Fabbri.
Questo luogo e coloro che lo hanno animato sono stati attori politici ineludibili nella vita del quartiere, specialmente negli anni settanta con le autoriduzioni delle bollette per difendere ed espandere il salario sociale, con le lotte contro la disoccupazione e la gestione clientelare dell’ufficio di collocamento, e poi per la stabilizzazione dei lavoratori assunti con la legge 285 del 1977. Le sigle che trovarono ospitalità presso il Comitato sono state molte decine e anche le sensibilità politiche furono diverse. In alcuni casi in conflitto le une con le altre. La corrente prevalente fu quella che faceva riferimento all’area dell’autonomia operaia: «Per noi dirci autonomi significava non delegare niente a nessuno, focalizzarci sui bisogni proletari secondo il principio dell’autorganizzazione indipendente dalle strutture partitiche e sindacali. Gli autonomi del nord ci consideravano un po’ “rozzi” perché più che intellettuali “operaisti” eravamo operai veri e propri.» D’Ubaldo ha pubblicato un libro insieme a Giorgio Ferrari: Gli autonomi. L’Autonomia operaia romana (DeriveApprodi, 2017). Qui la cronaca degli eventi è divisa tra “anni belli” e “anni bui”. I primi sono quelli delle conquiste sociali e della liberazione esistenziale che le accompagnò. I secondi iniziano con gli anni ottanta, la repressione e la militarizzazione del conflitto – proprio quando morì il primo “alberone”, quello centenario. Il Comitato criticò aspramente il sostituzionismo e la pratica di sovradeterminazione delle organizzazioni clandestine; cercò di contrastare la barbarie giuridica e civile del pentitismo con una proposta di amnistia generale che potesse liberare il movimento dalla tenaglia dell’armatismo e della repressione statale.

Oltre al materiale raccolto sul sito del Comitato, una pubblicazione utile a conoscere la storia dell’intervento antagonista nell’Appio Tuscolano è Quelli dell’Alberone. Analisi di un percorso sociale (Massari, 2000). Qui in un’intervista a più voci, Enrico Vincon, un militante recentemente scomparso, racconta: «l’anno che segna una svolta nella storia del Comitato è stato il 1982: la repressione raggiunse il suo culmine, le sedi si svuotarono, al Comitato di quartiere rimanemmo in tre o quattro a tenere aperta la sede. Alcuni compagni erano stati messi fuori gioco dalla repressione, altri iniziarono poco alla volta ad allontanarsi poiché consideravano il Comitato poco sicuro a causa delle frequenti visite della polizia, altri ancora si ritirarono a vita privata.» Eccoci nel pieno degli “anni bui”, gli stessi in cui dilaga l’eroina: «È stato un disastro anche tra i compagni» ricorda D’Ubaldo. «Il motivo? Secondo me la perdita di speranza di poter cambiare la vita, il mondo. Con il riflusso molti militanti non hanno saputo trovare una nuova motivazione che gli facesse sopportare la tristezza del presente.» Anche su quel versante il Comitato cercò di fare la sua parte promuovendo la Commissione eroina che elaborò un intervento basato sulla liberalizzazione e demitizzazione della sostanza. Poi vennero nuove battaglie territoriali: quella per gli spazi verdi da sottrarre alla speculazione, quella per consentire a tutti di fare sport senza dover spendere cifre che normalmente le famiglie proletarie non avevano, quella di rendere la Caffarella uno parco pubblico. «Il rapporto con i vecchi compagni dura ancora ed è solido. Purtroppo ogni tanto dobbiamo salutarne qualcuno per sempre. Fa parte della vita. I locali del Comitato comunque non hanno perso la loro vocazione: ospitano ancora le strutture autorganizzate di lavoratori e di chi non ha alcuna intenzione di accettare le ingiustizie di questa società.»

In Quelli dell’Alberone D’Ubaldo racconta un episodio delle origini che riguarda la sua amicizia con Franco De Marchis, un altro dei fondatori deceduto nel 2020: «Io e Franco ci conoscevamo dalle elementari, eravamo in classi diverse, ma nella stessa scuola, ci perdemmo di vista un paio d’anni dopo le medie e un giorno, mentre io stavo pulendo i vetri del bar di mia madre con dei vecchi giornali di Lotta Continua, Franco passò e dopo aver guardato i giornali mi disse: allora pure tu sei diventato compagno?»
Nella vita capita di fare scelte così nette che poi ti accompagnano per sempre: rimangono fisse come un fotogramma di un film in qualche piega dell’inconscio. Inavvertitamente do un’ultima occhiata alla vetrina del bar e per un attimo mi sembra di scorgere l’immagine riflessa di due ragazzi scanzonati che sorridono.

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Scup: un Davide comunitario contro il Golia della rendita immobiliare https://www.carmillaonline.com/2021/12/31/scup-un-davide-comunitario-contro-il-golia-della-rendita-immobiliare/ Thu, 30 Dec 2021 23:01:58 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=69851 di Luca Cangianti

I complessi abitativi classicheggianti dell’Istituto case popolari si alternano a palazzoni privi di balconi che nascondono antichi casali agricoli e villette rustiche, un tempo in piena campagna. A Roma, l’Appio Tuscolano è da sempre un quartiere ibrido: in parte era popolato da impiegati e commercianti, in parte da operai ferrotranvieri, edili e delle officine che sorgevano lungo la ferrovia Roma-Viterbo. In epoca fordista tale composizione sociale si rispecchiava in una geografia politica densa e particolarmente conflittuale: davanti all’Alberone, a pochi metri le une dalle altre, sorgevano le sedi [...]]]> di Luca Cangianti

I complessi abitativi classicheggianti dell’Istituto case popolari si alternano a palazzoni privi di balconi che nascondono antichi casali agricoli e villette rustiche, un tempo in piena campagna. A Roma, l’Appio Tuscolano è da sempre un quartiere ibrido: in parte era popolato da impiegati e commercianti, in parte da operai ferrotranvieri, edili e delle officine che sorgevano lungo la ferrovia Roma-Viterbo. In epoca fordista tale composizione sociale si rispecchiava in una geografia politica densa e particolarmente conflittuale: davanti all’Alberone, a pochi metri le une dalle altre, sorgevano le sedi dei partiti della sinistra storica e quella degli autonomi del Comitato di Quartiere. Di contro Piazza Tuscolo, via Noto e via Acca Larenzia erano centri attivi di militanza fascista.

Entro in quello che fu un magazzino ortofrutticolo in via della Stazione Tuscolana 84: alcune decine di persone discutono ordinatamente. Capto le parole “preventivo”, “perizia”, “compenso professionale”, “bonus” rimanendo un po’ perplesso. Ma di che si discute oggi in un centro sociale? Mi siedo in una saletta con Maurizio, Sofia e Valerio: vengo a sapere che si tratta di una riunione condominiale. Scup – Sport e cultura popolare nasce nel 2012 dall’occupazione degli stabili della Motorizzazione in via Nola. Gli attivisti e le attiviste si focalizzano sulla socializzazione attraverso la cultura e lo sport: “A fronte di una società frammentata dove si soffre di solitudine”, dice Sofia, “lo sport popolare offre la pratica rugbistica del ‘terzo tempo’, cioè stare insieme dopo la partita, valorizzare le dinamiche di collaborazione e di comunità, il passaggio dei valori tra gruppi e generazioni diverse.” Dopo lo sgombero della vecchia sede, Scup rinasce nel 2015 negli edifici della Stazione Tuscolana riorganizzando le proprie attività: presentazioni di libri e iniziative culturali, corsi di arti marziali, di yoga e di altre discipline sportive e olistiche, un laboratorio di cucina per ragazzi con sindrome di Asperger, un gruppo di acquisto solidale, molte iniziative sui migranti, il caporalato e la filiera alimentare. A disposizione del quartiere vengono messi, oltre agli spazi per riunirsi, luoghi di coworking e di studio per gli studenti. Con la pandemia, attraverso il gruppo di acquisto solidale Punto In Comune e la collaborazione con Nonna Roma, sono consegnati beni di prima necessità a chi si trova in stato di bisogno. In questo modo si garantisce cibo sano e di qualità al di fuori dalle logiche della grande distribuzione organizzata; al tempo stesso si sostengono i piccoli produttori agricoli locali. Nel frattempo lo stabile è utilizzato da venti compagnie artistiche che provano “in bolla” per mesi. Da questa esperienza nascono numerosi spettacoli che verranno rappresentati anche all’estero.
Attualmente Scup è una casa comune in cui si riuniscono ogni settimana gruppi, associazioni e movimenti quali Libera VII, la Rete delle economie sociali e solidali, Black lives matter – Roma, la Rete ecosistemica (che raggruppa Fridays for future, Extinction rebellion, Coordinamento romano per l’acqua pubblica e altri movimenti per la giustizia sociale e climatica), il collettivo universitario Controtempo. Ogni prima domenica del mese, infine, si svolge il mercato alimentare a filiera corta EcoSolPop!

“Cirque de tu sorel” – spettacolo prodotto e realizzato da Scup

 

Adesso tutto ciò potrebbe andar perso. Rfi, una società del gruppo Ferrovie dello Stato che aveva concesso gli spazi in comodato d’uso fino al 2023, ha intimato a Scup di lasciare entro il 31 dicembre i locali “liberi da persone e cose, nel medesimo stato di manutenzione in cui si trovavano”. Questa data è poi slittata di due settimane: “una proroga che”, commentano gli attivisti, “suona come una beffa per chi negli ultimi anni ha rigenerato dal basso quei capannoni abbandonati e pieni di rifiuti e da tempo chiede un tavolo con l’Amministrazione e la proprietà per trovare una soluzione.”
L’area è stata oggetto di un bando del Comune di Roma nel contesto del progetto Reinventing Cities, portato avanti da un gruppo internazionale di città. “L’obiettivo inizialmente dichiarato”, interviene Valerio, “era trasformare le zone dismesse in un’ottica di riduzione dell’impatto ambientale e della partecipazione della cittadinanza. Scup aveva raccolto la sfida e partecipato alla prima fase di selezione del bando in partenariato con lo studio romano Nemesi, ma non ha avuto accesso alla fase successiva. Il progetto vincitore del bando è una tipica operazione di valorizzazione della rendita estranea ai bisogni sociali.” Secondo quanto si legge nel dossier realizzato dal centro sociale, tale progetto, realizzato dalla società Fresia S.p.a., prevede: aumenti di cubature, edificazione su terreno pubblico (venduto da Ferrovie dello Stato e Roma Capitale al gruppo privato) di palazzi fino a otto piani che ospiterebbero coworking, student hotel e altri edifici residenziali di lusso con il verde relegato al margine dei binari dove non si possono piantare nemmeno alberi. “Abbiamo avuto grandi difficoltà ad accedere agli atti, anche passando per via istituzionale” continua Valerio, “inoltre la variante al piano regolatore è stata realizzata senza procedere alla consultazione della cittadinanza, in deroga alla delibera 57/2006 del consiglio comunale.”
Visto che degli abitanti del quartiere non gliene importava a nessuno, gli attivisti hanno realizzato una serie di iniziative per capire quali fossero i bisogni maggiormente percepiti dalla popolazione. “Dal settembre del 2020 allo scorso maggio, abbiamo organizzato dei ‘laboratori di progettazione partecipata’ e delle passeggiate esplorative” racconta Maurizio Crocco, uno degli architetti che ha accompagnato il collettivo di Scup in questo percorso. “Il territorio è disseminato di targhe commemorative della Resistenza e di edifici di pregio: industriali (l’ex deposito Atac, le officine di via Assisi), di servizio (l’edificio delle Poste di via Taranto) e residenziali (i villini dei ferrovieri e i complessi di case popolari dell’Icp) che racchiudono un patrimonio di storia urbana e di architettura da preservare, conoscere e valorizzare.”
Il processo di consultazione ha messo in rilievo gli ambiti del verde, della mobilità, dei servizi pubblici e di luoghi per la cultura, lo sport e la partecipazione cittadina (spazi dedicati all’associazionismo, ai movimenti sociali e alle attività comunitarie). Insomma l’esatto contrario della progettazione guidata dalla valorizzazione della rendita, per contrastare la quale è stato costituito il Forum di vigilanza e controllo sulle trasformazioni urbanistiche nell’area della Stazione Tuscolana. Vi hanno aderito, oltre a Scup, altri spazi sociali sotto sfratto come Communia ed Esc Atelier insieme a decine di associazioni e movimenti.

Come spiegava il filosofo Henri Lefebvre la città nasce dall’interazione dei gruppi sociali che la abitano, non solo lavorandoci, ma anche proiettandovi le proprie dimensioni etiche, estetiche e ideologiche. La valorizzazione capitalistica, tuttavia, tende a dissolvere questa trama separando i luoghi della produzione da quelli del tempo libero (mercificato): gli spazi pubblici vengono così privatizzati, le relazioni di vicinato distrutte, la vita sociale impoverita, i quartieri ridotti a dormitori o a centri commerciali. È questa la fonte del “degrado”, della solitudine sociale, della frammentazione che ci fa percepire come consumatori impoveriti e rancorosi, piuttosto che come portatori di interessi comuni. È questo il meccanismo che il collettivo di Scup sta contrastando.
Dopo lo sgombero del Cinema Palazzo nel quartiere di San Lorenzo, la pressione per mettere a profitto le aree ex industriali del territorio sta subendo un’accelerazione: “Si stanno muovendo cordate e interessi molto forti: noi, siamo un po’ Davide contro Golia”, commenta Sofia. Maurizio, che in questo quartiere ha vissuto fino dall’infanzia negli anni ’60, mi guarda negli occhi: “Ne siamo coscienti, è una storia più grande di noi, ma ciò nonostante va combattuta. Ne vale del nostro quartiere, della nostra vita e del senso che vogliamo darle.” Per il 14 gennaio, la data dello sgombero, Scup ha annunciato una giornata di mobilitazione generale.

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