ANPI – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Sport e dintorni – L’oppio dei popoli. Sport e sinistre in Italia https://www.carmillaonline.com/2018/11/07/sport-e-dintorni-loppio-dei-popoli-sport-e-sinistre-in-italia/ Tue, 06 Nov 2018 23:01:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=49442 di Alberto Molinari

Sergio Giuntini, “L’oppio dei popoli”. Sport e sinistre in Italia (1892-1992), Aracne editore, Canterano (RM), 2018, pp. 316,  € 20,00

Secondo un luogo comune consolidato, la storia della sinistra italiana sarebbe segnata da una sostanziale sottovalutazione del fenomeno sportivo: nei partiti come in altre organizzazioni del movimento operaio, tra i dirigenti, i militanti e gli intellettuali, l’approccio allo sport risulterebbe esclusivamente viziato da pregiudizi e chiusure, incomprensioni e giudizi sommari (lo sport come espressione di valori e interessi “borghesi”, mero fenomeno di evasione, “oppio dei popoli”). La ricerca di Sergio [...]]]> di Alberto Molinari

Sergio Giuntini, “L’oppio dei popoli”. Sport e sinistre in Italia (1892-1992), Aracne editore, Canterano (RM), 2018, pp. 316,  € 20,00

Secondo un luogo comune consolidato, la storia della sinistra italiana sarebbe segnata da una sostanziale sottovalutazione del fenomeno sportivo: nei partiti come in altre organizzazioni del movimento operaio, tra i dirigenti, i militanti e gli intellettuali, l’approccio allo sport risulterebbe esclusivamente viziato da pregiudizi e chiusure, incomprensioni e giudizi sommari (lo sport come espressione di valori e interessi “borghesi”, mero fenomeno di evasione, “oppio dei popoli”).
La ricerca di Sergio Giuntini, uno dei più importanti storici italiani dello sport, mostra invece come le diverse anime della sinistra abbiano espresso valutazioni articolate, in un arco di posizioni che oscillano con diverse sfumature tra la diffidenza o l’aperta ostilità nei confronti del fenomeno sportivo e la piena consapevolezza della sua rilevanza politica e sociale. Avvalendosi di una ricca documentazione e suggerendo molteplici spunti interpretativi, l’autore ricostruisce una vicenda complessa che rappresenta una pagina cruciale della storia dello sport nel suo intreccio con le dinamiche della società italiana tra fine Ottocento e l’ultimo scorcio del Novecento.

Dopo alcune considerazioni sull’interesse per lo sport dei “padri” del movimento comunista (Marx, Engels e Lenin), la prima parte del volume si concentra sul rapporto tra sinistra e sport in Italia fino al primo quarto del Novecento, in un quadro internazionale che vede la nascita dell’Internazionale Sportiva Socialista (1913) e dell’Internazionale Sportiva Rossa (1920).
Giuntini dà conto puntualmente tanto del dibattito teorico quanto delle pratiche politico-organizzative della sinistra in ambito sportivo, analizza il pensiero sullo sport di figure di primo piano del movimento operaio (da Alfredo Bertesi a Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati), si sofferma sulle capitali dello sport di classe (Milano e Torino) e su alcuni casi locali particolarmente significativi.

Il racconto si snoda dall’associazionismo di matrice risorgimentale allo sviluppo della ginnastica promosso dalle Società di mutuo soccorso a fine Ottocento e si concentra poi sul movimento dei “ciclisti rossi” che si diffonde in alcuni centri del Nord Italia. Nel primo Novecento, quando la bicicletta inizia ad affermarsi come strumento di libertà e di emancipazione sociale, i “ciclisti rossi” utilizzano questo mezzo a fini propagandistici e agiscono come reparti di “staffetta” e di autodifesa in occasione degli scioperi dando vita ad un fenomeno che verrà ripreso dalle “Guardie rosse volanti”, a fianco degli Arditi del popolo nel tentativo di contrastare la violenza fascista. Questa tradizione si rinnoverà dopo l’8 settembre del 1943 diventando parte integrante della Resistenza che utilizzerà la bicicletta come mezzo per trasportare documenti e stampa clandestina, mantenere i collegamenti tra i gruppi partigiani e coordinare scioperi e agitazioni.

Gli approcci allo sport della sinistra prima della Grande Guerra sono però segnati anche da una tendenza “antisportista”. In una parte del movimento socialista è diffusa la convinzione che lo sport rappresenti una pratica borghese, un diversivo rispetto alla lotta di classe, un’attività caratterizzata da aspetti alienanti e competitivi propri del capitalismo. Emblematica in questo senso è la posizione della Federazione Giovanile Socialista. Giuntini ricostruisce il dibattito tra i giovani del PSI che, influenzati dalle correnti massimaliste, manifestano un atteggiamento di rigido rifiuto dello sport, riconducibile alla «mancanza d’una accettabile elaborazione specifica»: «Il socialismo italiano del primo Novecento si fermava agli aspetti più eclatanti e degenerativi dello sport di matrice borghese senza enuclearne gli elementi che ne garantivano il successo. Allo stesso modo, non si curava di razionalizzare i motivi che spingevano le masse a riconoscersi in un tale sistema. Da qui l’apparente incompatibilità tra l’essere buoni socialisti e contemporaneamente praticanti o appassionati sportivi».
All’“antisportismo” fanno da contraltare le posizioni di autorevoli dirigenti socialisti della corrente riformista come Ivanoe Bonomi. Sulle pagine dell’“Avanti!” Bonomi richiama severamente i giovani della FGS invitandoli a riconoscere la passione sportiva che coinvolge anche ampie fasce del proletariato e a farsi carico quindi di un discorso politico sullo sport.

Nel saggio vengono poi tratteggiate alcune significative esperienze che maturano dopo la guerra, come l’attività dell’Associazione Proletaria di Educazione Fisica, la più importante società sportiva espressa dalla sinistra italiana nella prima parte del Novecento. Giuntini si sofferma sul “biennio rosso” dello sport, che coinvolge anche l’area “terzinternazionalista” del movimento socialista e il Partito comunista d’Italia, affrontando diverse questioni: dalle considerazioni di Giacinto Menotti Serrati sul valore della dimensione sportiva come strumento di educazione collettiva e di emancipazione umana alle indicazioni della stampa comunista sul lavoro politico da svolgere tra gli sportivi, dai tentativi di creare una Federazione sportiva autonoma del movimento operaio alla nascita della rivista “Sport e proletariato”, subito soffocata dal fascismo.

In questo scenario alcune pagine sono dedicate alle riflessioni di Antonio Gramsci sullo sport, letto in modo originale attraverso le categorie del marxismo; ormai divenuto un fenomeno di massa, per l’intellettuale sardo lo sport «andava pertanto studiato come una parte peculiare del processo di “riforma morale intellettuale” necessario alla rinascita italiana». Gli scritti di Gramsci sullo sport iniziano su “l’Avanti!” e proseguono attraverso le note elaborate in carcere negli anni Trenta quando a sinistra si levano altre voci critiche come quelle di Aldo Garosci, Carlo Roselli e Carlo Levi che su “Giustizia e Libertà” denunciano la strumentalizzazione fascista dello sport.

Dopo la Liberazione la sinistra dà vita a varie forme di promozione sportiva grazie all’iniziativa dell’ANPI, della CGIL e soprattutto del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile che aveva dato un significativo contributo alla Resistenza. Nei primi anni del dopoguerra il Fronte aggrega giovani di diversa estrazione politica, prevalentemente di sinistra, promuove un’intensa attività in ambito culturale e sociale e si impegna anche sul terreno dello sport, costituendo società sportive e partecipando a numerose competizioni. Con lo scioglimento del Fronte, a partire dal 1948 è l’Unione Italiana Sport Popolare a rappresentare i valori della sinistra nello spazio dello sport italiano. Tra questi, anzitutto il diritto allo sport e una concezione del fenomeno sportivo come pratica popolare di massa volta a realizzare momenti di partecipazione democratica e a fornire strumenti di emancipazione e di crescita sul piano individuale e sociale.

Nel frattempo la sinistra si muove con scarsa lungimiranza in due importanti occasioni sottolineate da Giuntini. Nel 1946 il Fronte della Gioventù rifiuta la proposta avanzata dal CLN di acquistare ad un prezzo conveniente “La Gazzetta dello sport”, rinunciando alla possibilità di controllare il più importante organo di informazione sportiva italiano. Nello stesso anno Pietro Nenni sostiene la candidatura di Giulio Onesti alla presidenza del CONI. Accreditato di vaghe simpatie socialiste, con una rapida giravolta Onesti si libera dai vincoli di partito legandosi a Giulio Andreotti, riporta la più importante istituzione sportiva nell’alveo governativo e mette in pratica un programma riassunto così da Giuntini: «Da un lato Onesti sanciva il principio e il diritto alla continuità tra sport fascista e sport post-fascista e, con un frettoloso colpo di spugna, assolveva i gerarchi sportivi fascisti e gli riapriva le porte del CONI e delle federazioni. […] Dall’altro lanciava il suo slogan più classico e sempre ribadito: “lo sport agli sportivi”. Rivendicava l’autonomia che aveva strappato ai partiti, fondando così il suo modello di sport che si proponeva di riprendere e rivitalizzare l’antico “neutralismo” decoubertiniano. Cioè lo sport come un mondo a parte, puro e incontaminato, lontano dalle brutture e dalle strumentalizzazioni della politica».

Giuntini ricostruisce inoltre le tensioni politico-ideologiche che attraversano i primi Giri d’Italia del dopoguerra e le simpatie del popolo di sinistra per il “laico” Coppi contrapposto al “democristiano” Bartali; la vittoria del campione toscano nel Tour de France del 1948, rimasta impressa nell’immaginario collettivo come un’impresa capace di pacificare l’Italia dopo l’attentato a Togliatti; la funzione della programmazione sportiva nelle Feste dell’Unità e il rinnovato interesse per lo sport della stampa comunista, nella quale spiccano i contributi di intellettuali come Italo Calvino e Alfonso Gatto e l’esaltazione dello sport dei paesi socialisti inteso come «modello sportivo sovietico collettivista e di massa contrapposto a quello individualistico e professionistico tipico degli stati capitalisti».
L’atteggiamento del Pci nei confronti dello sport si richiama alla lezione di Togliatti che negli anni Trenta aveva invitato il Partito a superare il ritardo del movimento socialista sul piano delle attività culturali, educative e ricreative di massa, compreso lo sport. Nel dopoguerra lo sport si incardina quindi nel modello del “Partito nuovo” togliattiano e nella sua filosofia volta ad aderire a tutti gli aspetti della società civile e a considerare anche la dimensione sportiva come parte integrante della nuova cultura di massa, terreno di contesa rispetto alle ipoteche reazionarie e alle strutture dell’associazionismo cattolico.

Nei decenni successivi la sinistra sportiva si identifica principalmente con l’UISP. Al percorso dell’associazione collaterale alla sinistra, e in particolare al Partito comunista, il saggio dedica ampio spazio seguendone la traiettoria a partire dagli anni Cinquanta, quando l’UISP è costretta sulla difensiva in un quadro segnato del clima della “guerra fredda” e dall’egemonia democristiana sullo sport. L’“opposizione sportiva” dell’organizzazione si attenua in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960. Rinunciando ad un atteggiamento critico, l’UISP si spende per la buona riuscita dei Giochi e per garantire un clima di pace sociale, in nome dell’interesse dello sport nazionale e in funzione di una propria legittimazione come forza “responsabile”. Gli anni Sessanta vedono poi un riposizionamento dell’organizzazione, l’elaborazione di nuove proposte politico-sportive e la maturazione di un profilo relativamente autonomo rispetto ai partiti di riferimento.
All’interno dell’associazione si rafforza e radicalizza una visione dello sport come servizio sociale, sottratto alle degenerazioni del professionismo, alla ricerca esasperata della prestazione e alla riduzione del fenomeno sportivo a spettacolo. Su questa lunghezza d’onda avviene l’intreccio tra l’UISP e i movimenti e le teorie critiche che nel ’68 e lungo gli anni Settanta animano anche il mondo dello sport.

Negli anni ’80 del craxismo e della DC di De Mita il Partito socialista e la Democrazia cristiana si lanciano «in una forsennata corsa a tutte le poltrone di governo e sottogoverno disponibili», comprese quelle sportive: «Di fatto la logica dello “scambio politico” applicata a quest’ultimo ambito viaggiava su un doppio binario: la notorietà maturata attraverso gli stadi da campioni, dirigenti, presidenti di club, veniva utilizzata per improbabili candidature regionali, senatoriali, ministeriali ecc. e, per converso, il potere derivante da un’alta responsabilità politica, favoriva l’ascesa di uomini di “Palazzo” verso le strutture direttive del sistema sportivo nazionale».
I mondiali di calcio di Italia ’90, segnati dall’affarismo e dallo sperpero di denaro pubblico, rappresentano poi un punto di svolta che accelera il declino e la fine della prima Repubblica. Come nota Giuntini, «da lì in poi la politica delle “grandi opere” e dei “grandi eventi” passò di scandalo in scandalo, di tangente in tangente, da un appalto truccato all’altro. S’ingigantì un affarismo senza fondo e scrupoli».
A sinistra questa deriva di Italia ’90 vede l’opposizione dell’UISP ed è al centro di un dossier su “Rinascita” dedicato ad una discussione critica sui mondiali. Nel contempo con la trasformazione del PCI in Partito Democratico della Sinistra la principale formazione della sinistra italiana vive una fase drammatica della sua storia che si riverbera sulla dimensione sportiva. Dopo la “svolta” della Bolognina anche l’UISP decide di mutare la propria denominazione abbandonando la storica formula dello “sport popolare” a favore di un più generico e politicamente asettico “sport per tutti”.

Tra disincanto e speranza, “pessimismo della ragione” e “ottimismo della volontà”, nelle conclusioni del suo saggio Giuntini accenna alle più recenti vicende della sinistra – segnate da abiure e perdita di identità, frammentazioni e assunzioni di paradigmi politici estranei ai valori storici del movimento operaio – e ai suoi riflessi in ambito sportivo. Mantenere viva la memoria storica della sinistra anche nel campo dello sport, conclude giustamente l’autore, «non rilancerà la malandata sinistra italiana ma almeno impedirà che si disperda un ulteriore pezzo del suo patrimonio ideale e politico».


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Le emozioni del cuore, la freddezza della ragione, la realtà dei fatti. https://www.carmillaonline.com/2017/04/26/le-emozioni-del-cuore-la-d-della-ragione-la-realta-dei-fatti/ Tue, 25 Apr 2017 22:01:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37787 di Fiorenzo Angoscini

brigate rosse Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’, Volume I, DeriveApprodi, Roma, febbraio 2017, pagg. 550, € 28,00

Il lavoro di Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, si distingue per la vasta mole di documenti consultati. I molti materiali analizzati e di diversi archivi. La lettura delle relazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, lo studio degli atti giudiziari, delle indagini e varie perizie attinenti i numerosi processi relativi al sequestro e soppressione dell’esponente democristiano. La disponibilità di inediti colloqui con militanti protagonisti dell’ esperienza armata, della guerriglia diffusa, [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

brigate rosse Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’, Volume I, DeriveApprodi, Roma, febbraio 2017, pagg. 550, € 28,00

Il lavoro di Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, si distingue per la vasta mole di documenti consultati. I molti materiali analizzati e di diversi archivi. La lettura delle relazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, lo studio degli atti giudiziari, delle indagini e varie perizie attinenti i numerosi processi relativi al sequestro e soppressione dell’esponente democristiano. La disponibilità di inediti colloqui con militanti protagonisti dell’ esperienza armata, della guerriglia diffusa, della lotta nelle carceri e le stragi compiute all’interno di alcune di esse: Le Murate ed Alessandria; nonché per i nuovi dettagli evidenziati, la segnalazione (ricordi, memorie) di particolari rimossi. La smentita di una recente dietrologia complottista con presenze ‘multiple, diverse ed eterogenee durante le fasi dell’azione in via Fani. Le deposizioni di testimoni oculari che smentiscono se stessi, motociclette con a bordo ignoti sparatori fantasma ed altro ancora.
Inoltre la loro ricostruzione favorisce il recupero e il riordino della memoria.
Quella colletiva e quella individuale: la nostra, di ognuno di noi.

Gli autori hanno dei significativi ‘precedenti’ relativamente agli argomenti trattati nel libro di recente pubblicazione.
Clementi, dieci anni fa, ha realizzato una “Storia delle Brigate Rosse”;1 anni prima aveva dato alle stampe uno studio che potremmo definire correlato al piano ‘Victor’, ossia come neutralizzare umanamente, politicamente, personalmente e mentalmente il presidente del Consiglio Nazionale DC qualora fosse stato liberato.2
Il piano da attuare in caso di morte dell’ostaggio, era stato denominato ‘Mike’.
Più semplice, prevedeva di informare tutta una serie di figure istituzionali, giudiziarie e politiche, isolamento immediato del luogo di ritrovamento del corpo, interdizione dello stesso ai famigliari, l’istituzione di un efficiente servizio d’ordine davanti lo studio e l’abitazione di Moro, fornire in forma dubitativa le informazioni a stampa e tv.

Persichetti, con Oreste Scalzone, ha scritto “Il nemico inconfessabile”3 e, quasi quotidianamente, su ‘Insorgenze.net’ conduce una sistematica azione di puntigliosa smentita e rettifica di notizie…false e tendenziose. Relativamente ad avvenimenti e fatti riconducibili alla lotta armata e suoi militanti, alla repressione, tortura, ‘omicidi’ di stato, alla politica e alla cultura.

Infine, Santalena, ha elaborato una tesi dottorato di ricerca all’Università di Grenoble su, “La gauche révolutionnaire et la question carcérale : une approche des années 70 italiennes” (8 dicembre 2014) con capitoli espliciti: “Dalle prigioni fasciste, alle prigioni in rivolta (1969-1973)”; “Dalla riforma alla controriforma: tra repressione, lotta armata ed evasione (1974-1977)”; “Le prigioni al centro del conflitto: tra lotta armata e gestione dell’emergenza antiterrorismo (1977-1987)”.

Dettagli e particolari
Addentrandosi nella lettura si incontrano alcuni dettagli, o particolari, che se non sconosciuti, sono sicuramente poco noti. Così, si apprende che, la mattina del 9 maggio 1978, lo spazio dove verrà ritrovata in via Caetani (a metà strada tra la sede nazionale della Dc e quella del Pci) la Renault 4 di colore amaranto con all’interno il corpo senza vita di Moro, era stato occupato la sera prima da Bruno Seghetti che vi aveva parcheggiato la sua vettura personale, una Renault 6 di colore verde. Questo per evitare intoppi o inconvenienti dell’ultimo minuto. Così facendo si era sicuri che il luogo prescelto per posizionare la macchina servita per l’ultimo trasferimento, e successivo ritrovamento del corpo senza vita del parlamentare democristiano non sarebbe stato ostacolato dalla presenza di altri veicoli inopportunamente parcheggiati al suo posto.

Un’altra questione poco considerata è l’azione svolta da Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, quando è nominato difensore d’ufficio dal presidente della Corte d’Assise di Torino che deve condurre il giudizio (maggio 1976) contro il cosiddetto ‘nucleo storico’ (definizione sempre rifiutata dagli imputati) dell’organizzazione comunista combattente, dopo che i militanti delle BR avevano ricusato i propri avvocati di fiducia, diffidato la corte di nominarne d’ufficio ed erano, momentaneamente, riusciti a far vacillare i meccanismi classici dell’ordinamento giudiziario, rivendicando il diritto all’autodifesa, per condurre il cosiddetto ‘processo guerriglia’4 e far ‘saltare’ il dibattimento.

br-processo Nonostante l’accettazione delle superiori ragioni di stato, delegando la difesa tecnica ad altri otto avvocati dell’ordine torinese, il presidente della corporazione forense, approfittando del rinvio al 16 settembre 1976 – in attesa di un pronunciamento della Cassazione per redimere un conflitto di competenza territoriale tra Torino e Milano – al riparo da clamori mediatici, si fece promotore della proposta di promulgazione di una ‘leggina’ (come la definì in una missiva indirizzata al presidente del Consiglio nazionale forense) ad hoc che permettesse agli imputati che lo desiderassero di difendersi da soli.

Sempre durante il tentativo di costituire la corte per poter svolgere il processo, oltre alla nomina di ‘difensori tecnici’, si incontrarono notevoli difficoltà nell’individuare i giudici popolari, per la rinuncia ad accettare di molti di essi.
Per superare questo ostacolo scesero in campo i massimi dirigenti del Pci torinese, Giuliano Ferrara in testa, coadiuvato ufficiosamente da due magistrati della procura, Luciano Violante e Gian Carlo Caselli che, secondo il parlamentare ed esponente del Pci torinese Saverio Vertone, “Partecipava alle riunioni del comitato federale. Forse, ma non ne sono certo, prendeva anche la parola alle riunioni di segreteria…” Mentre l’elefantino (pseudonimo di G. Ferrara) partecipò ad “alcune riunioni con giurati del maxi-processo contro i brigatisti per convincerli a non rinunciare all’incarico” (M. Caprara).

Sempre Ferrara, rivendicava il merito al Pci di aver realizzato, e diffuso, il famigerato questionario contro il terrorismo che, alla domanda n. 5, invitava alla delazione.
…poi naturalmente offrivamo una mano, al di là della mano che dava lo Stato. Lo Stato offriva una sua protezione, noi potevamo aggiungere anche la nostra. (…) Per esempio case. Chiedevamo: ‘Dicci quali sono i tuoi problemi, se hai paura. Sappi che noi ci siamo”.
Tramite un suo ‘autorevole’ dirigente, G. Ferrara, il Pci si faceva Stato.

Prima delle Brigate Rosse e le militanze nel Pci
Già subito dopo la Liberazione si sono strutturati gruppi od organizzazioni Comuniste che praticavano la lotta armata. In diverse forme e modi. Dal Movimento Resistenza Partigiana-Movimento di Unità Proletaria di Carlo Andreoni, di cui, però, vanno chiarite alcune ambigue striature; alla “IX Divisione Stella Rossa Brigata clandestina ‘808’ “ di Armando Valpreda,5 presidente dell’Anpi di Asti, tra i promotori dell’ insurrezione di Santa Libera,6 fino a quel gruppo di bravi ragazzi che si ritrovavano presso la Casa del Popolo di Lambrate (Mi) per costituire la ‘Volante Rossa’.7 Per giungere a quei militanti emiliani (clandestini ed apparentemente senza organizzazione unificante) che hanno costellato le province reggiana, modenese, ferrarese e bolognese di numerosi fatti d’armi, principalmente eliminazione di fascisti e loro complici.

In anni più vicini al secondo biennio rosso italiano (1968-1969) ci sono esperienze di resistenza ed attacco armato che potremmo definire propedeutiche alla più significativa (per durata, numero di militanti ed azioni) organizzazione che ha ‘imbracciato il fucile’ e che viene ‘raccontata’ nel libro.
Il gruppo torinese costituito da Piero Cavallero, Danilo Crepaldi, Sante Notarnicola,8 Adriano Rovoletto, tutti militanti del Pci operaista delle ‘Barriere’ proletarie di Torino. “Già nel 1959 abbiamo compiuto la prima azione e siamo andati avanti fino al 1967, momento del nostro arresto. Piero era il coordinatore delle sezioni Pci della ‘Barriera di Milano’ , una circoscrizione popolare con circa 70.000 abitanti. Io, ero stato segretario dell’organizzazione giovanile del partito (Fgci) a Biella e contavamo circa 3.000 iscritti. Agli inizi degli anni sessanta avevamo capito che non eravamo più sintonizzati con il ‘partito’. Troppo ingessato, conformista e non più ‘rivoluzionario’9 .

Un’altra compagine di militanti iscritti al Pci, sezione “Rino Mandoli” di Ponte Carrega a Genova, che ha intravisto ‘l’ora del fucile’, è quella che volgarmente e mediaticamente è stata battezzata XXII Ottobre, attiva a Genova dal 22 ottobre 1969 (data di costituzione) al 26 marzo 1971, giorno della rapina al fattorino dello Iacp. In realtà, colui che è indicato come uno dei fondatori della pattuglia di nuovi partigiani, Mario Rossi, anche se con reticenze, distinguo e cautele, afferma: “Condividendo la posizione dei Gap, diventammo in pratica il gruppo Gap di Genova come c’erano già a Milano e Trento. Però, l’ho detto e lo ripeto ancora, siamo sempre stati autonomi rispetto alle altre formazioni che si stavano formando o che erano già attive altrove”.10
.
L’esperienza di Rossi, e la lettura del libro di Clementi-Persichetti-Santalena, ci offrono l’occasione di approfondire anche un altro aspetto, relativo a militanti delle prime formazioni armate, ma anche delle Brigate Rosse: la loro provenienza, l’appartenenza e l’agire politico.
Nella testimonianza raccolta da Donatella Alfonso (giornalista de “La Repubblica”) Rossi ribadisce,
Io, di fatto, mi sento ancora un militante del Pci degli anni Sessanta…In quegli anni lì ti capitava di frequentare il Partito soprattutto sul posto di lavoro, nelle sezioni di fabbrica, perché sentivi il polso dell’operaio che era quello che ti insegnava a lavorare e poi pensare…(Noi) ci eravamo tutti forgiati anche con il 30 giugno del ’60, quando Genova ha respinto il congresso del Msi. Lì c’eravamo tutti e l’ultima volta che ho visto davvero il Partito comunista in piazza è stato quel giorno, con i partigiani e i portuali con il gancio in mano”.

Nella ricostruzione delle sue scelte politiche, svela anche un particolare emblematico, “…un altro fatto che non ho mai raccontato per non mettere in imbarazzo nessuno, ma io ho continuato ad avere la tessera del Pci: finché non è morto, un vecchio compagno di Genova me l’ha rinnovata tutti gli anni, anche quando ero in carcere…Sembra assurdo, ma io non sono mai stato espulso dal Partito comunista”.

feltrinelli Queste due organizzazioni ‘minori’ e precedenti al dispiegarsi delle BR e di altre formazioni con struttura nazionale anche se con diffusione a macchia di leopardo (Nuclei Armati Proletari e Prima Linea) insieme ai Gruppi d’ Azione Partigiana costituiti da Giangiacomo Feltrinelli (operativi a Trento, Milano e Genova, i cui militanti in maggioranza, e sostanzialmente, sono confluiti nelle Brigate Rosse dopo la morte dell’editore,14 marzo 1972) sono stati un insieme di più ‘iscritti’ al Partito (Nelle inchieste sui Gap sono stati indagati G.B. Lazagna, Marisa e Vittorio Togliatti, nipoti del Migliore, ed altri ancora molto ‘vicini’ al Pci) che si sono mossi collettivamente, ma ci sono anche sintomatiche individualità o compagni semi-organizzati, con contatti personali. L’editore milanese presta la sua pistola (una Colt Cobra) a Monika Ertl, nome di battaglia ‘Imilla’, quando il primo aprile 1971, ad Amburgo, uccide Roberto Quintanilla Pereira, rappresentante del governo boliviana in Germania e boia di Ernesto Che Guevara.11

Clementi e coautori ricordano il caso di Maria Elena Angeloni, la zia di Carlo Giuliani, dilaniata – insieme al militante cipriota Georgios Christou Tsdikouris – dall’auto bomba che stava indirizzando verso l’ambasciata statunitense di Atene (2 settembre 1970) ed iscritta alla sezione 25 Aprile del Pci milanese. “Ai funerali di Elena, a Milano, per la Resistenza greca c’è Melina Mercouri. Ci sono i compagni, gli amici, i militanti del Pci. A titolo individuale. Il Partito non c’è. Anche se ufficialmente sostiene la Resistenza. Il segretario della sezione 25 aprile viene costretto dalla Federazione a strappare la matrice della tessera di Elena”.12

Un altro esempio evidenziato in “Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’” è quello di Angelo Basone, operaio alle presse di Mirafiori, delegato sindacale e dirigente della sezione di fabbrica del Pci, mai espulso dal partito, inserito nella lista dei 61 operai da licenziare e militante noto e riconosciuto dell’organizzazione con la stella a cinque punte. Condannato per partecipazione a banda armata, prigioniero politico nelle carceri speciali.

Quelle sopra ricordate sono le biografie politiche di alcuni militanti comunisti (militanti del Pci) che hanno intrapreso la lotta armata. Militanti politici a tutto tondo, che partecipavano all’attività di sezione, contribuivano al dibattito durante le riunioni, intervenivano ai congressi di partito, organizzavano manifestazioni e comizi, redigevano e distribuivano volantini, diffondevano la stampa: il quotidiano ‘L’Unità’, i settimanali ‘Vie Nuove’ e ‘Noi Donne’. Non giocavano a fare i soldatini.

La più significativa, probabilmente, è la coerente traiettoria disegnata da Prospero Gallinari. Già militante, a Reggio Emilia, dell’ organizzazione giovanile del Pci, dal 1968 con doppia tessera, anche quella del Partito13 quando ne viene espulso (1969) per indisciplina, partecipa alle riunioni del ‘Collettivo Politico Operai-Studenti’, detto ‘Gruppo dell’appartamento’ (poi CPM-Sinistra Proletaria di Re). Dopo un’infelice (così la definisce nella sua autobiografia) esperienza (1971-1972) nel Superclan di Corrado Simioni, aderisce ufficialmente alle Brigate Rosse, divenendone uno dei militanti più rappresentativi.

Mario Moretti, quando Gallinari muore, lo ricorda così: “Il nome di battaglia di Prospero era Giuseppe e non è certo per caso. Se l’era scelto con molta ironia ma per un vecchio comunista quel nome vuol dire qualcosa. Prospero è uno dei compagni di fiducia e di linea, è lui che guida la battaglia politica con Morucci nella colonna romana. Prospero è il marxismo-leninismo, tutto quel che ci succede, ascese e cadute, lui lo legge alla luce del rapporto tra partito e masse, avanguardia e masse. Pensa che è là che manchiamo. Viene dall’esperienza emiliana, per lui il partito è tutto, la coerenza politica è tutto, e ha un senso morale fortissimo. Ognuno vive la sconfitta in maniera diversa… per lui, se le cose tornano sui paradigmi marxisti-leninisti va bene, e di lì non si muove neanche se gli spari. Quando le Br si esauriscono, spera in una continuità in qualcosa che non siano le Br. Il che a mio parere non ha senso, e gliel’ho detto, pur con il grande rispetto che ho per lui. Prospero è uno di quelli con cui mi intendevo, è d’acciaio, proprio d’acciaio, è fatto così, è un vecchio contadino del Pci. Prospero è importantissimo. Ciao, Prospero”.14

Anche Andrea Colombo,15 in altra prospettiva ed ottica, gli rende gli onori della Politica: “Prospero Gallinari era una persona meravigliosa. Molti lo sanno ma temo che pochi lo scriveranno. Invece è bene che sia detto. Era generoso, altruista, coraggioso. Era uno di quelli di cui si dice ‘col cuore grande’…Era un uomo d’altri tempi. Un militante comunista di quelli che per due secoli hanno fatto la storia. Un partigiano nato per caso a guerra finita. Da ragazzo si faceva chilometri a piedi per andarsi a leggere l’Unità nel bar del paese più vicino alla fattoria in cui era cresciuto. Da uomo fatto era ancora quel ragazzo. Con noi, ragazzi di movimento, che negli anni ’70 il Pci lo odiavamo e lo combattevamo aveva pochissimo a che spartire. ‘Io – mi ha detto una volta – sono sempre stato un militante del Partito comunista italiano e, anche se ti sembrerà strano, in tutte le organizzazioni di cui ho fatto parte ho sempre rappresentato l’ala moderata’ “.

La costituzione delle BR
Gli artefici di questo primo volume, a cui altri ne seguiranno, hanno ricostruito dettagliatamente come, e quando, si è costituita la prima, e più importante, organizzazione armata italiana del dopoguerra con un’ ampia ramificazione su quasi tutto il territorio nazionale. Quali sono stati gli organismi, collettivi e comitati politici che hanno contribuito alla sua fondazione. Più sopra abbiamo sottolineato come questo lavoro sia di aiuto e stimolo al recupero della memoria, anche per questo motivo lo consideriamo un testo utile e fondamentale.

Da Trento, un apporto sostanziale lo hanno fornito Margherita Cagol e Renato Curcio che, poi, con Mauro Rostagno (Movimento per una Università Negativa) sono ‘migrati’ a Verona, per poter aver un respiro politico maggiore, dove hanno collaborato con il ‘Centro d’informazione’ che pubblicava la rivista ‘Lavoro Politico’ diretta da Walter Peruzzi. Successivamente, quasi tutta la redazione aderì al Partito Comunista d’Italia, che poi si scisse in ‘linea nera’ e ‘linea rossa’.

Curcio e ‘Mara’ aderirono a quest’ultima, fino a quando, agosto 1969, ne vennero espulsi insieme a Peruzzi ed al ‘trentino’ Duccio Berio. Da Verona si trasferiscono a Milano, ed incontrarono i Compagni del Collettivo Politico Metropolitano (poi Sinistra Proletaria), i Compagni dei Cub Pirelli, Alfa, Sit-Siemens, Marelli, nonche i componenti dei Gruppi di Studio della Sit e della Ibm. Quest’ultimo, qualche anno dopo, realizza un importante lavoro di ricerca sulla multinazionale statunitenese: “IBM, capitale imperialistico e proletariato moderno”.16 Ma anche nei quartieri della cintura periferica ci sono realtà ‘autonome’ che iniziano una certa critica politica: comizi volanti, diffusione di materiale di propaganda e militare, prevalentemente incendio di automobili di capetti e fascisti.

Particolarmente radicato, nel quartiere Lorenteggio-Giambellino, il “Gruppo Proletario Luglio ’60” comunista autonomo. Animatori e aderenti a questo organismo sono tutti (un centinaio) ex militanti iscritti alla sezione Pci di quartiere, intitolata al partigiano ‘Giancarlo Battaglia’. Come partigiani sono il militante storico del rione: Gino Montemezzani, uno dei pochi maoisti ad avere incontrato personalmente Mao Tse Tung,17 e Giacomo ‘Lupo’ Cattaneo, successivamente combattente comunista nelle Brigate Rosse. Del comitato “Luglio ’60” fanno parte anche i nove fratelli Morlacchi,18 figli di una ‘famiglia comunista’. In sei saranno perseguitati per costituzione e partecipazione a banda armata: le BR. Pierino, oltre ad essere uno dei promotori dell’organizzazione è stato anche nel primo comitato esecutivo con Curcio, Cagol e Moretti.

A Reggio Emilia, la gran parte dei componenti il ‘Collettivo Politico Operai-Studenti’ provenivano dal Pci e dalla Fgci, ed insieme agli organismi sopra ricordati, oltre ad un gruppo di compagni di Borgomanero (No) e uno del comprensorio Lodi-Casalpusterlengo (allora provincia di Milano) si ritrovarono a dibattere e discutere, a fine dicembre 1969 presso la locanda ‘Stella Maris’ di Chiavari (Ge) e, poi, al ‘congresso di fondazione’ in quel seminario-convegno di tre giorni che si svolse presso la trattoria ‘Da Gianni’, frazione Costaferrata, zona appenninica della provincia reggiana nell’agosto 1970. Così, sostanzialmente, si costituirono le Brigate Rosse.

Memoria ed oblio
Spesso si ripete che la memoria è un ingranaggio collettivo. Ma è anche uno strumento ‘sovversivo’. I tre ricercatori, autori di questa complessa ricostruzione umana, storico e politica ci forniscono l’occasione per coniugare le due azioni. Gli episodi, all’interno di questo primo volume, sono numerosi, alcuni ci hanno colpito particolarmente. Ricordiamo quelli che ci sembra abbiamo una maggior valenza politica.

Quello di maggior spessore e ‘peso’, in tutti i sensi, è relativo al famigerato (vale la pena ribadirlo) scandalo Lockheed. Gli autori lo ricordano19 con precisione. “Lo scandalo Lockheed era nato dalle rivelazioni della Commissione d’inchiesta statunitense guidata dal senatore Frank Church, secondo le quali la compagnia Lockheed aveva pagato tangenti in molti paesi per vendere la produzione bellica agli eserciti nazionali. Per quanto riguardava l’Italia, si trattava di tangenti per l’acquisto di 14 aerei C-130 comprati dal governo italiano tra il 1972 e il 1974, di aerei F-104S e di carri armati Leopard. Accanto a Gui (Ministro degli Interni e moroteo, nda) fu coinvolto anche il ministro della Difesa Mario Tanassi mentre, sempre secondo le rivelazioni statunitensi, dietro alcuni nomi in codice (Antelope Cobbler e Pun) si nascondeva un ex presidente del consiglio…Il nome in codice ‘Antelope’, secondo le rivelazioni americane, indicava un presidente del Consiglio negli anni dal 1965 al 1970, coinvolgendo dunque, oltre a Moro (1963-1968), il governo cosiddetto balneare di Giovanni Leone (giugno-novembre 1968) e quello di Mariano Rumor (dicembre 1968-luglio 1970). I tre smentirono ogni coinvolgimento e il 29 aprile l’ambasciatore statunitense notò che, nel farlo, avevano dato l’impressione di ritenersi colpevoli a vicenda”.

Repubblica Moro Dal momento che non condividiamo, né abbracciamo, nessun tipo di teoria complottista e dietrologica, specifichiamo subito che non attribuiamo a nessuno dei citati colpe precise, però ricordiamo…E ricordiamo che giovedì 16 marzo 1978, il giorno del rapimento Moro, sulla prima pagina del quotidiano “La Repubblica” c’era questo ‘box’: “Antelope Cobbler è Aldo Moro?” che rimandava ad un articolo interno: “Antelope Cobbler? Semplicissimo Aldo Moro, presidente della DC”.

Non ci dilunghiamo oltre perché non è necessario. Rileviamo che la notizia poteva essere approfondita, verificata, confermata, smentita. Come tutta la vicenda delle cosiddette ‘bare volanti’, così erano anche chiamati i Lockheed F-104, che si concluse con le condanne dei ‘soli’ Tanassi (Psdi), del suo segretario personale, dei rappresentanti italiani della Lockheed e dell’allora presidente di Finmeccanica (a partecipazione statale). Non sappiamo come finì la falsa (?) accusa del quotidiano diretto da Eugenio Scalfari contro Moro.

Con la loro ricostruzione, Clementi, Persichetti, Santalena, ci aiutano a rideterminare i tempi e modi con cui sono state istituite le carceri speciali, la ‘settimana rossa’ dell’Asinara, le battaglie di Pianosa e Saluzzo, lo sciopero della fame di Nuoro, proprio per superare e smantellare le fortezze disumane: Kampi. La costruzione ed inaugurazione del primo super-carcere femminile: quello di Voghera e la manifestazione-con cariche bestiali e tante botte ai partecipanti-del luglio 1983, per la sua neutralizzazione. La ‘mano libera’ concessa a Carlo Alberto Dalla Chiesa e al suo nucleo speciale antiterrorismo. L’introduzione dell’uso sistematico della tortura contro gli arrestati per farli parlare.
Già dal 1975, con Alberto Buonoconto, poi Enrico Triaca, Cesare Di Lenardo, Paola Maturi, Sandro Padula, Emanuela Frascella, purtroppo tanti altri.

E proprio all’istituzionalizzazione di questa pratica crudele e ai molti casi riscontrati, gli autori di ‘Brigate Rosse’ dedicheranno approfondimenti ed adeguato spazio nei prossimi volumi. Senza tralasciare il sequestro D’Urso, Dozier e dei quattro rapimenti della ‘campagna di primavera’: Cirillo, Taliercio, Sandrucci e Peci. Non trascurando la nascita del Partito Guerriglia, del distacco della Walter Alasia, dell’annuncio della ritirata strategica e della fine di un’esperienza.
Così come il massacro di via Fracchia a Genova e l’esecuzione di Roberto Serafini e Walter Pezzoli a Milano.
“La storia continua”.20

N. B. Questo è il primo di tre contributi relativi a lotta armata, carcere, proletariato extra legale, realizzati prendendo spunto da altrettante recenti pubblicazioni. Oltre a questa di Clementi-Persichetti-Santalena, le prossime saranno l’autobiografia di Pasquale Abatangelo “Correvo pensando ad Anna”, e “L’albero del peccato”, pubblicato, grazie a Giorgio Panizzari, aggiornato e notevolmente ampliato rispetto all’edizione del 1983, diffusa a firma ‘Collettivo prigionieri comunisti delle Brigate Rosse’. (F.A.)


  1. Marco Clementi, Storia delle Brigate Rosse, Odradek Edizioni, Roma, 2007  

  2. Marco Clementi, La ‘pazzia’ di Aldo Moro, Odradek Edizioni, Roma, 2001  

  3. Paolo Persichetti-Oreste Scalzone, Il nemico inconfessabile. Sovversione sociale, lotta armata e stato di emergenza in Italia dagli anni settanta ad oggi, Odradek Edizioni, Roma, 1999  

  4. Jacques M. Verges, Strategia del processo politico, Einaudi, Torino, 1969  

  5. Nel saggio di Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’ insurrezione partigiana. Agosto 1946, il leader degli insorti, ‘Armando’, “…insieme ad alcuni compagni, costituì, dopo la liberazione, un gruppo clandestino denominato ‘808’ in onore di un potente esplosivo e che, di fronte al progressivo atteggiamento di clemenza dei giudici nei confronti dei fascisti, decise di assumersi il compito di fare giustizia.”  

  6. Alice Diacono, L’insurrezione partigiana di Santa Libera (agosto 1946) e il difficile passaggio dal fascismo alla democrazia, anno accademico 2009-2010; Giovanni Rocca (Primo), Un esercito di straccioni al servizio della libertà, Art pro Arte, Canelli (Cn), 1984; Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’insurrezione partigiana. Agosto 1946, Edizioni Gruppo Abele, Torino, marzo 1995; Giovanni Gerbi, I giorni di Santa Libera, otto puntate su “ L’eco del lunedì”, settimanale di Asti, ottobre-novembre 1995; Marco Rossi, Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane dopo la Liberazione. 1945-1947, Edizioni Zero in condotta, Milano, 2009; Claudia Piermarini, I soldati del popolo. Arditi, partigiani e ribelli: dalle occupazioni del biennio 1919-20 alle gesta della Volante Rossa, storia eretica delle rivoluzioni mancate in Italia, Red Star Press, Roma, giugno 2013  

  7. Cesare Bermani, La Volante Rossa. Storia e mito di ‘un gruppo di bravi ragazzi’, Colibrì Edizioni, Milano, 2009; Carlo Guerriero-Fausto Rondelli, La Volante Rossa, Datanews, Roma, 1996; Massimo Recchioni, Ultimi fuochi di Resistenza. Storia di un combattente della Volante Rossa, DeriveApprodi, Roma, 2009; M. Recchioni, Il tenente Alvaro, la Volante Rossa e i rifugiati politici italiani in Cecoslovacchia, DeriveApprodi, Roma, 2011; Francesco Trento, La guerra non era finita. I partigiani della Volante Rossa, Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2014  

  8. Sante Notarnicola, L’evasione impossibile, Feltrinelli, 1972  

  9. Da una conversazione con Sante Notarnicola, 14 aprile 2017  

  10. Donatella Alfonso, Animali di periferia. Le origini del terrorismo tra golpe e resistenza tradita. La storia inedita della banda XXII Ottobre, Castelvecchi Rx, Roma, 2012  

  11. Jurgen Schreiber, La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl, casa editrice Nutrimenti, Roma, 2011  

  12. Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, DeriveApprodi, Roma, 2015  

  13. Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, Bompiani Overlook, Milano, 2006  

  14. Mario Moretti, Per Prospero, 14 gennaio 2013  

  15. Gli Altri online, 14 gennaio 2013  

  16. Sapere Edizioni, Milano, 1973  

  17. Gino Montemezzani, Come stai compagno Mao?, Edizioni LiberEtà, Roma, 2006  

  18. Manolo Morlacchi, La fuga in avanti. La rivoluzione è un fiore che non muore, Agenzia X, Milano, 2007  

  19. nn.14 e 15, pag. 149  

  20. P. Gallinari, Un contadino nella metropoli, cit.  

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La “Rivoluzione” interrotta https://www.carmillaonline.com/2016/05/14/la-rivoluzione-interrotta/ Fri, 13 May 2016 22:01:52 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30473 di Fiorenzo Angoscini

semprepartigiano Pino Tripodi, Per sempre partigiano. L’insurrezione di Santa Libera, DeriveApprodi, Roma 2016, pp. 243, € 16,00

Non si sono ancora del tutto spenti gli echi della festa d’aprile del 1945 che numerosi proletari, semplici combattenti – tra cui comandanti di brigata e commissari politici – per convinzione e non per convenienza, intuiscono ciò che si sta programmando, annusano l’aria, colgono l’atmosfera: è solo un cambio d’abito. Chi tira le fila, e continua a condurre le danze, sono i soliti profittatori di sempre.

Presidente del consiglio è Alcide De Gasperi (ministro della malavita, secondo un [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

semprepartigiano Pino Tripodi, Per sempre partigiano. L’insurrezione di Santa Libera, DeriveApprodi, Roma 2016, pp. 243, € 16,00

Non si sono ancora del tutto spenti gli echi della festa d’aprile del 1945 che numerosi proletari, semplici combattenti – tra cui comandanti di brigata e commissari politici – per convinzione e non per convenienza, intuiscono ciò che si sta programmando, annusano l’aria, colgono l’atmosfera: è solo un cambio d’abito. Chi tira le fila, e continua a condurre le danze, sono i soliti profittatori di sempre.

Presidente del consiglio è Alcide De Gasperi (ministro della malavita, secondo un efficace e tagliente slogan comunista) che si sforza in tutti i modi di essere accettato e ben visto dai pronipoti dello zio Sam, i quali, tramite “addetti militari”, “consiglieri politici” e “funzionari diplomatici”, stanno cercando di incastrare tutti i pezzi necessari per garantire la loro democrazia e soggettiva stabilità alla giovane repubblica italiana.1 Così, nemmeno troppo dietro le quinte, insieme a vecchi arnesi, generali felloni e voltagabbana si armeggia e trama nei retrobottega e anticamere dei palazzi della politica istituzionale. Il personale dell’amministrazione statale proviene ancora, per la stragrande maggioranza (vicina al 100%) dalle strutture del passato regime: prefetti, questori, magistrati, ispettori di PS, capitani dei carabinieri ai posti di comando, hanno tutti vestito la camicia nera. Per non parlare degli operatori finanziari, quelli che allargano, o stringono, i cordoni della borsa, i presidenti dei vari enti statali, gli insegnanti di tutti i gradi e livelli.

In aggiunta, nei primi giorni del 1946, i pochi partigiani arruolati nella polizia ausiliaria, vengono allontanati. Il corpo viene epurato dagli elementi non affidabili. E’ troppo pericoloso che ex combattenti per la libertà detengano legalmente delle armi. Essendo poliziotti, sono armati.
La classica goccia che fa traboccare il vaso delle promesse non mantenute, è la legge emanata dal segretario nazionale del Partito Comunista Italiano, il Ministro della Giustizia, guardasigilli Palmiro Togliatti. Il 22 giugno 1946 entra in vigore il dispositivo per cui, in sostanza, si liberano i fascisti e si arrestano i partigiani responsabili di reati “comuni” o crimini “efferati” (eliminazione di gerarchi e simili) negli ultimi mesi della guerra di liberazione nazionale. Ma che è stata anche guerra civile e guerra di classe. Partendo da queste realtà prende corpo e si sviluppa il racconto di Pino Tripodi.

Manipoli di presunti vincitori, potenziali sconfitti ma non arresi, decidono di incidere profondamente sull’andamento delle cose. Vogliono cambiare il corso delle storie. In molte province, soprattutto del centro-nord Italia si riorganizzano, rispolverano le armi, ricostituiscono le Brigate, tornano in montagna.

Le agitazioni insurrezionaliste partigiane si registrano nelle province di Brescia, Sondrio, Mantova, Vercelli, Pavia,2 Lucca, Parma, Massa, Savona, Reggio Emilia, Pistoia, Verona, La Spezia,3 Vicenza, Firenze, Udine, Genova, Asti, Alessandria, Cuneo.

Proprio di quella che è diventata il simbolo (anche se poco conosciuta e studiata) e “capitale” delle rivolte partigiane dell’estate 1946, l’insurrezione di Santa Libera (20 agosto),4 località collinare del comune di Santo Stefano Belbo, provincia di Cuneo, paese natale del letterato-poeta-comunista Cesare Pavese, ci racconta, in forma romanzesca, l’autore di Per sempre partigiano.

ario L'IBER(N)AZIONE Grazie ad un lascito manoscritto, una sorta di autobiografia postuma consegnata ad un prete “illuminato” e progressista, che a sua volta la regala a Tripodi, uno dei protagonisti, Giovanni Primo Rocca, nato proprio – strani incroci del destino – il 21 gennaio 1921,5 capo – insieme ad Armando Valpreda 6, anch’egli reduce partigiano e, all’epoca dei fatti, presidente provinciale dell’Anpi di Asti – della rivolta, mescolando infanzia-adolescenza-giovinezza-amore-lotta-delusione-abbandono, dipana la storia di una sessantina di uomini che tornano in quella “casa sulla collina” dove, fino a pochi mesi prima, inquadrati nella Brigata Garibaldi Stella Rossa, avevano combattuto contro gli occupanti nazisti e i loro servi in camicia nera.

Rivendicano il diritto ad una vita di affetti, giustizia e riscatto sociale. Pretendono dignità umana e politica, chiedono ciò che era stato loro promesso, ma che non hanno ottenuto.
Tripodi-Rocca, in una sorta di duetto da ventriloquo, ricordano: “…sei un nero che frequenta le scuole dei bianchi. Glielo devi far capire che loro hanno i soldi mentre tu sei intelligente…”; accusano: “…i partigiani mi sono amorevolmente antipatici…mio padre è un partigiano. Mio padre è uno stronzo dunque tutti i partigiani sono stronzi…così per inerzia inizio a vedere in ogni partigiano un rompiballe presuntuoso”; si contraddicono: “…dicono che mi piace vincere però non sopporto le responsabilità della vittoria…” ; rimpiangono, inteso come rammarico: “…ai partigiani privi di santi in paradiso tocca la sorte dell’emarginazione della disoccupazione…” ; perché sono “persone storte”. Nel senso di diversi, non omologati, divergenti e distinti.

Nel loro narrare ci sono anche affermazioni forti che possono offendere o stupire. Ad esempio nel dichiarare, riferendosi alla nefasta e famigerata amnistia comunemente abbinata al nome di Togliatti, che: “…neanche andasse Hitler al governo potrebbe concepire un provvedimento simile…” . Oppure ancora: “…appendere Mussolini morto a testa in giù è il gesto meglio copiato dai nazifascisti…non è la nostra vendetta per i martiri di Piazzale Loreto massacrati dai fascisti. E’ la vendetta di Mussolini. Il ghigno di un assassino che può dire al mondo intero voi che vi liberate di me siete di me peggiori” . Il massimo dell’equiparazione repubblichini-partigiani. Anzi…criticano duramente la cultura antifascista: “…si dicono combattenti per la libertà ma hanno la cultura reazionaria introiettata anche nei calli…” Fino a sostenere: “…le spie…ci sono già a Santa Libera. Hanno in tasca le nostre stesse tessere di partito”. Per arrivare alle ultime “confessioni”, le più incredibili, le più amare, le più dolorose per un partigiano. “Primo Comandante sempre”, quasi come un pugile suonato, afferma: “…ogni qual volta c’è un peto di discontinuità nell’aria…qualcuno mi chiede di riprendere la vita attiva di partecipare a storie che chiamano in modo assai poco originale di nuova resistenza. Succede dopo l’attentato a Togliatti all’indomani del governo Scelba e tante altre volte. Chiunque senta il prurito di riprendere la lotta di ricominciare a combattere di imbracciare le armi viene da me. Lo ascolto con pazienza e lo licenzio con cortesia. Non sono cose per me…L’unica tentazione di tornare a vivere nella vita vera l’ho all’indomani del sessantotto ma dura appena un attimo…I compagni mi avvertono ti stai allontanando da noi”. (Per tutto il virgolettato: nessuna punteggiatura come nel testo, ndr).

Fa male, ferisce più di una manganellata, di una purga all’olio di ricino, di una seduta di torture in una delle tante “ville tristi” allestite dai nazifascisti in molte città della penisola, di un rastrellamento di civili, di una fucilazione di anziani, donne e bambini, sentire il ‘Comandante Sempre’, Giovanni Primo Rocca, pronunciare queste frasi. Un partigiano che decide di non esserlo mai più, per sempre. Altri, fortunatamente, come forse l’ultimo degli ancora in attività e in vita di quella bell’estate, Giovanni Reuccio Gerbi, continuano la lotta: senza tregua!7

L’epilogo, con la smobilitazione, dell’insurrezione di Santa Libera avviene il 27 agosto.
Con la sua ‘fine’ si esauriscono anche le altre agitazioni partigiane dell’agosto 1946. La ‘sordina’ a quel moto di rivolta si realizza per l’intervento di normalizzazione attuato dal dirigente comunista piemontese Celeste Negarville e, purtroppo, del prestigioso comandante partigiano della Val Sesia Cino Moscatelli.8 Tacitati i ribelli della collina piemontese, come detto, anche tutti gli altri insorti “rientrano”.9

ario incompiuta Per i cosiddetti paladini della libertà, il pericolo è scampato, per gli illusi-sognatori di un futuro diverso, l’appuntamento è rimandato. Ma, nemmeno l’attentato a Togliatti, l’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena, gli assassinii di Reggio Emilia, Licata (Ag), Palermo e Catania del luglio ’60, le stragi di Milano, Brescia, Italicus e stazione di Bologna riusciranno a smuovere i vecchi e nuovi partigiani, a mobilitarli ed organizzare il definitivo e finale assalto al cielo.

A conclusione di queste considerazioni, alcune note che non sono, e non vogliono essere, osservazioni negative, né critiche trancianti, sullo stile ortografico e letterario con cui l’autore ha scelto di raccontare la confessione umana e politica di Giovanni Rocca. Perché, come alcuni sostengono: “…chi sceglie di scrivere senza punteggiatura deve possedere una grande sicurezza, cioè deve conoscere a fondo le regole e far uso delle parole in maniera tale da “costringere” chi legge a far pausa laddove, per consuetudine, ci sarebbe voluto un segno”.
Ma, si può soggiungere, si obbliga chi legge ad affrontare una lettura diversa, a compiere uno sforzo interpretativo nuovo, non sempre facile e di immediata realizzazione.

Soprattutto, magari, per chi ha frequentazioni abituali – senza scomodare i classici della letteratura – con contemporanei come Cesare Pavese che ci mette in guardia dagli intellettuali di prima e seconda mano: “Per fidarsi di quelli che studiano, bisogna studiare…si dovrebbe studiare per sapere fare a meno di quelli che studiano. Per non farsi fregare da loro”.
Oppure con Luis Sepulveda, “guerrigliero della parola”, l’internazionalista del racconto, l’apologeta del paradiso, “ma non quello dei preti, il nostro, quello in cui si fuma e si beve rum e se chiedi ad una ragazza di ballare, non ti dice mai di no” e delle “donne della mia generazione che scrissero la parola Companera su tutte le schiene e sui muri di tutte le carceri”.
Dell’erotico e anticonformista Boris Vian di “Sputerò sulle vostre tombe”.
Dell’ asciutto, sintetico e preciso Italo Calvino.
Dell’ operaio di Porto Marghera, Ferruccio Brugnaro, di Sono sempre stato da una parte sola, “…con i minatori, con i contadini, con gli operai turnisti”.
Il Pablo Neruda di Farwell, la poesia più amata da Ernesto Guevara de la Serna; di Sante Notarnicola, il bandito della poetica di La nostalgia e la memoria; di Julius Fucik e Papà Cervi..
Di Nazim Hikmet, il ‘turco’ Comunista romantico di “…so che ancora non è finito / il banchetto della miseria…/ ma finirà…” e Mahmoud Darwisch, fedayn della poesia e di “Scrivi: sono arabo…vengo da un villaggio perduto, dimenticato / dalle strade senza nome / e tutti gli uomini al campo come alla cava / amano il Comunismo”.
Questi sono alcuni esempi, non tutti.

Per concludere davvero, scomodando il filosofo di Treviri, è necessario scrivere con semplicità, precisione, chiarezza perché ci si rivolge a dei lettori che “presuppongo naturalmente vogliano imparare qualcosa di nuovo e che quindi vogliano anche pensare da sé”.

Alcune indicazioni di carattere bibliografico per approfondire gli avvenimenti dell’estate 1946:

Oltre alla già citata tesi di laurea di Alice Diacono, L’insurrezione partigiana di Santa Libera (agosto 1946) e il difficile passaggio dal fascismo alla democrazia, anno accademico 2009-2010;

Giovanni Rocca (Primo), Un esercito di straccioni al servizio della libertà, Art pro Arte, Canelli (Cn), 1984

Nazario Sauro Onofri, Il triangolo rosso (1943-1947), Sapere 2000, Roma, aprile 1994;

Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’insurrezione partigiana. Agosto 1946, Edizioni Gruppo Abele, Torino, marzo 1995;

Giovanni Gerbi, I giorni di Santa Libera, otto puntate su “L’eco del lunedì”, settimanale di Asti, ottobre-novembre 1995;

Marco Rossi, Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane dopo la Liberazione. 1945-1947, Edizioni Zero in condotta, Milano, 2009;

Claudia Piermarini, I soldati del popolo. Arditi, partigiani e ribelli: dalle occupazioni del biennio 1919-20 alle gesta della Volante Rossa, storia eretica delle rivoluzioni mancate in Italia, Red Star Press, Roma, giugno 2013

Accompagnano il presente testo due opere di Ario Pizzarelli:
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25 aprile 1945-2015
L’IBERNAZIONE

1946-2016
INCOMPIUTA


  1. Nel gennaio del 1947 verrà accolto negli Stati Uniti d’America dove, con il cappello in mano, si reca per elemosinare le briciole degli aiuti economici del Piano Marshall, il piano per la ripresa europea: dollari USA in cambio di sudditanza economica, politica, sociale 

  2. Nell’ Oltrepò pavese, dove la protesta è energica e decisa, coordinano l’iniziativa, tra gli altri, Angelo Cassinera garibaldino Mufla, Luigi Vercesi e Vittorio Meriggi. Questi tre, con Luigi Bassanini, a bordo di una utilitaria di fortuna, raggiungono la zona di confine tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo, per prendere contatto con gli altri insorti e concordare le azioni successive. Rientrati nel loro territorio, costituiscono due gruppi. Il primo, un’ ottantina di uomini equipaggiati con armi leggere e pesanti, è guidato da Ferruccio Fellegara e raggiunge il Brallo, una località di montagna nell’alta Valle Staffora, al confine tra le province di Pavia ed Alessandria, situata in posizione strategica e dove si controlla anche la Val Trebbia. L’altro raggruppamento, cinquanta uomini al seguito di Mufla, a bordo di un autocarro, raggiunge Pometo – comune di Ruino – da Stradella. Requisiscono scuole per utilizzarle come alloggiamenti, un albergo da adibire a “comando’” organizzano pattugliamenti e turni di vigilanza. Cassinera fa piazzare una mitragliatrice di 20 mm sulla strada principale di Brallo. Gli insorti pavesi dispongono anche di mortai e autoblindo  

  3. Dove, alla testa dei rivoltosi c’è Paolo Castagnino, maresciallo ausiliario di Pubblica Sicurezza, capo partigiano con il nome di Saetta, militante del Pci. Nell’aprile del 1972 verrà arrestato per “complicità’”con Giangiacomo Feltrinelli ed appartenenza a banda armata, ma sarà poi completamente scagionato  

  4. Inizialmente in tanti solidarizzano con i rivoltosi piemontesi, anche il sindaco Pci di Asti, Felice Platone, e molti dirigenti locali dell’Associazione Nazionale Partigiani  

  5. Lo stesso giorno in cui, a Livorno, suo padre partecipava alla fondazione del Partito Comunista d’Italia  

  6. Nel saggio di Laurana Lajolo, “I ribelli di Santa Libera. Storia di un’ insurrezione partigiana. Agosto 1946” il leader degli insorti, Armando, “…insieme ad alcuni compagni, costituì, dopo la liberazione, un gruppo clandestino denominato “808’” in onore di un potente esplosivo e che, di fronte al progressivo atteggiamento di clemenza dei giudici nei confronti dei fascisti, decise di assumersi il compito di fare giustizia.”  

  7. Vedi la tesi di laurea di Alice Diacono, L’insurrezione partigiana di Santa Libera (agosto 1946) e il difficile passaggio dal fascismo alla democrazia, anno accademico 2009-2010  

  8. Nonostante gli accordi raggiunti, tra cui la non punibilità per i protagonisti della rivolta, vengono arrestati – perché individuati quali capi degli insorti – Battista Reggia, Giovanni Rocca e Armando Valpreda. Quest’ultimo, arrestato e rilasciato a più riprese, decide di riparare in Cecoslovacchia da dove rientra definitivamente nel 1956 a seguito dell’amnistia  

  9. In Oltrepò smobilitano entro la fine d’agosto, nello spezzino si prosegue fino al 3 settembre. L’ultimo colpo di coda avviena a Pallanza, vicino a Verbania, Val d’Ossola, il 29 agosto: circa 200 partigiani armati entrano nelle carceri e, dopo aver disarmato le guardie, liberano tre loro compagni arrestati per un omicidio politico, poi riparano in montagna  

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Una vampira si aggira per l’Europa. Carmilla On Tour: Brescia 27 febbraio https://www.carmillaonline.com/2016/02/20/una-vampira-si-aggira-per-leuropa-carmilla-on-tour-brescia-27-febbraio/ Fri, 19 Feb 2016 23:01:55 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28655 una vampira3 Anche una vampira dai candidi denti aguzzi come Carmilla può talvolta desiderare di abbandonare un’esistenza soltanto virtuale e decidere di uscire dallo schermo, sul quale è solita manifestarsi, per mostrarsi nella realtà. Per questo motivo alcuni redattori di Carmilla on line parteciperanno ad un incontro con i lettori che si terrà a Brescia presso il Caffé letterario Primo Piano (via Beccaria 10) alle ore 17 di sabato 27 febbraio.

Tale iniziativa, dal titolo “Una vampira si aggira per l’Europa: Carmilla. Resistenza culturale, controinformazione e schegge taglienti”, è inserita all’interno di Carmine Resistente, una manifestazione che si tiene annualmente a [...]]]> una vampira3 Anche una vampira dai candidi denti aguzzi come Carmilla può talvolta desiderare di abbandonare un’esistenza soltanto virtuale e decidere di uscire dallo schermo, sul quale è solita manifestarsi, per mostrarsi nella realtà. Per questo motivo alcuni redattori di Carmilla on line parteciperanno ad un incontro con i lettori che si terrà a Brescia presso il Caffé letterario Primo Piano (via Beccaria 10) alle ore 17 di sabato 27 febbraio.

Tale iniziativa, dal titolo “Una vampira si aggira per l’Europa: Carmilla. Resistenza culturale, controinformazione e schegge taglienti”, è inserita all’interno di Carmine Resistente, una manifestazione che si tiene annualmente a Brescia, tra febbraio e aprile, per arrivare alla celebrazione del 25 aprile. Promossa dalla locale Rete Antifascista e patrocinata dalla locale sezione dell’ANPI intitolata ai Caduti di Piazza Rovetta, quest’anno sarà dedicata all’ottantesimo anniversario dell’inizio della Guerra di Spagna e al settantesimo della Costituzione Italiana.

Il Carmine è il quartiere storicamente sottoproletario e proletario della città, inserito nel centro storico e a ridosso di San Faustino, quartiere ormai da anni abitato prevalentemente da immigrati che sfocia in piazza della Loggia, nelle cui vicinanze si trova il Caffé letterario in cui si svolgerà l’evento. Saranno presenti Franco Pezzini, Gioacchino Toni, Alessandra Cecchi e Sandro Moiso che, per rivendicare anche un ruolo di alterità nei confronti di quello che si vorrebbe che fosse l’unico “stato di cose presenti”, approfondiranno esperienze personali e collettive alla luce di quella resistenza ed opposizione culturale che da sempre caratterizzano la webzine dedicata al personaggio ideato da Joseph Sheridan Le Fanu.

una vampira1 Per sottolineare e ribadire certezze e diversità dell’immaginario non solo culturale, ma anche contraddire realtà date per scontate e discutere di critica e progetti per il futuro con gli ospiti “attivi” presenti in sala.
Chissà che tale esperienza non possa ripetersi in futuro in altre città e località…

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