Aleksandr Bogdanov – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 30 Oct 2025 21:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Le cronache marxiane di Bogdanov https://www.carmillaonline.com/2021/04/26/le-cronache-marxiane-di-bogdanov/ Sun, 25 Apr 2021 22:01:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65999 di Walter Catalano

Aleksadr Bogdanov, Su Marte ! : L’opera narrativa completa, Agenzia Alcatraz, pp. 376, €. 16,00.

Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, detto Bogdanov (1873 –1928), non è certo noto solo come scrittore di fantascienza. Medico, autore ancora in gioventù, del Breve compendio di scienza economica, un manuale economico indirizzato agli operai; successivamente primo traduttore in russo de Il Capitale di Marx, sviluppa, tra il 1903 e il 1906, una revisione del marxismo che definisce empiriomonismo intesa ad applicare alle scienze sociali i principi dell’empiriocriticismo di Ernst [...]]]> di Walter Catalano

Aleksadr Bogdanov, Su Marte ! : L’opera narrativa completa, Agenzia Alcatraz, pp. 376, €. 16,00.

Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, detto Bogdanov (1873 –1928), non è certo noto solo come scrittore di fantascienza. Medico, autore ancora in gioventù, del Breve compendio di scienza economica, un manuale economico indirizzato agli operai; successivamente primo traduttore in russo de Il Capitale di Marx, sviluppa, tra il 1903 e il 1906, una revisione del marxismo che definisce empiriomonismo intesa ad applicare alle scienze sociali i principi dell’empiriocriticismo di Ernst Mach e Richard Avenarius – e in parte dello studioso del linguaggio Philippe Noirè – che consideravano quanto prescinde dalla percezione umana come non verificabile e quindi estraneo al campo scientifico. Un tentativo di conciliare il marxismo con la fisica e l’epistemologia europea. In sostanza Bogdanov, passando attraverso l’idea della contrapposizione tra cultura borghese e cultura proletaria, cerca di elaborare un sapere di tipo monistico, che riassuma in sé l’esperienza organizzativa dell’umanità, sistematizzandola in modo scientifico. Non è sufficiente quindi trasferire i mezzi di produzione nelle mani della classe operaia: si deve prima investire sulla formazione intellettuale dei lavoratori.

Nel 1904 Bogdanov è in Svizzera, dove incontra per la prima volta Lenin e si schiera con lui contro i menscevichi avviando il primo organo di stampa bolscevico, che esce il 4 gennaio 1905 con il titolo “Vperëd” (L’Avanti) -pubblicato a Genova con finanziamento offerto da Maksim Gor’kij – a cui segue più tardi “Proletarij” (Il Proletario).

Al III congresso del Partito, che si tiene a Londra dal 25 aprile al 10 maggio 1905, Bogdanov viene eletto membro del Comitato Centrale e nominato responsabile principale del settore letterario in Russia. Nel 1905 per la polizia zarista Bogdanov e Lenin sono i due rivoluzionari russi più pericolosi: uno dalla Russia e l’altro dalla Svizzera, guidano la neonata frazione dei bolscevichi durante la rivoluzione del 1905. Bogdanov sarà rappresentante del primo Soviet dei deputati e degli operai a San Pietroburgo e, con Leonid Krasin, organizzerà i primi gruppi tecnico-militari del Partito.

Dal 1907 però entrerà in forte conflitto con Lenin. Le loro divergenze, dal punto di vista dell’azione politica, prendono origine dal diverso atteggiamento assunto verso la partecipazione alle elezioni per la III Duma. Lenin, ora in accordo con i menscevichi, sosteneva l’utilità della presenza dei deputati socialdemocratici, Bogdanov invece, con l’appoggio di Lunačarskij e Aleksinskij, riteneva necessaria la continuazione dell’attività rivoluzionaria boicottando le elezioni. A suo avviso la Duma rappresentava l’espressione di un regime pseudocostituzionale che avrebbe bloccato ogni possibilità di sviluppo dell’azione rivoluzionaria. Bogdanov all’epoca, era molto più conosciuto di Lenin tra gli operai, avendo partecipato direttamente alla rivoluzione del 1905 mentre Lenin era rientrato in Russia solo nel novembre di quell’anno: le sue posizioni trovano quindi un più vasto seguito tra gli operai che si astengono in massa dalle elezioni.

I seguaci di Bogdanov costituiscono l’ala sinistra della frazione bolscevica, sostenendo una concezione del marxismo diversa da quella di Lenin e ‘antiautoritaria‘, ad esempio nella diversa concezione del ruolo guida degli intellettuali. Lenin propone una struttura di partito fortemente centralizzata nella quale ammettere solo rivoluzionari di professione, un’avanguardia intellettuale capace di organizzare e guidare il movimento operaio opposta allo spontaneismo della base proletaria; Bogdanov, al contrario, partendo dall’analisi delle cause che hanno portato al fallimento della rivoluzione e della incapacità delle organizzazioni locali di strutturarsi autonomamente, ritiene che il proletariato debba creare una propria intelligencija, reclutata tra gli stessi operai. Gli intellettuali di origine borghese dovranno fare da ponte tra la vecchia cultura e la nuova: in questo senso l’autoritarismo dei capi resta una caratteristica borghese che deve essere eliminata. Per una reale emancipazione della classe operaia si deve sviluppare una cultura autonoma del proletariato attraverso l’apertura di scuole di partito.

Nell’aprile 1908 Bogdanov, Lunačarskij, Bazarov e Pokrovskij, si riuniscono a Capri su invito di Gor’kij, che organizza un incontro con Lenin per tentare di riconciliarlo con i bolscevichi di sinistra evitando il pericolo una nuova scissione. Le posizioni dei due gruppi si mostrano, però, inconciliabili e il terreno di scontro si sposta, a partire da quel momento, dal piano pratico-tattico a quello filosofico-teorico. Le tesi di Bogdanov saranno confutate da Lenin nel suo pamphlet Materialismo ed empiriocriticismo. Osservazioni critiche su una filosofia reazionaria del 1909 in cui Lenin accusa l’avversario di eresia, definendola “bogdanovismo” e sostenendo la superiorità del progetto rivoluzionario rispetto a qualsiasi altro: l’edificazione di una nuova cultura proletaria è dunque un punto di arrivo e non un presupposto ex ante come nella visione di Bogdanov. L’empiriomonismo, che Lenin considera estraneo alla concezione marxista, viene equiparato alla “costruzione di Dio” (bogostrojtel’stvo), condivisa da Gor’kij e Lunačarskij, che vedono nel socialismo una sorta di religione laica, dottrina in realtà profondamente criticata da Bogdanov che partiva invece da un’idea del socialismo coerentemente razionalistica e che non intendeva allontanarsi dal marxismo, pur dandone un’interpretazione diversa da quella di Plechanov e di Lenin, soprattutto dal punto di vista della prassi rivoluzionaria.

L’attualità del loro dibattito in senso filosofico è confermata dal fatto che recentemente anche Carlo Rovelli nel suo ultimo libro Helgoland (Adelphi, 2020), dedichi tutto il capitolo 5 alla disputa tra Lenin e Bogdanov, vista come dialettica fra idealismo e materialismo: la sua simpatia va a Bogdanov le cui idee, secondo il fisico, anticipano approcci e intuizioni della teoria della relatività di Einstein e della fisica dei quanti. Così Rovelli: “Se esistono solo «sensazioni», argomenta Lenin, allora non esiste una realtà esterna, vivo in un mondo solipsistico dove ci sono solo io con le mie sensazioni. Assumo me stesso, il soggetto, come unica realtà. L’idealismo è per Lenin la manifestazione ideologica della borghesia, il nemico. All’idealismo Lenin oppone un materialismo che vede l’essere umano, la sua coscienza, lo spirito, come aspetti di un mondo concreto, oggettivo, conoscibile, fatto soltanto di materia in moto nello spazio.” […] Bogdanov rimprovera Lenin di fare della «materia» una categoria assoluta e astorica, «metafisica» nel senso di Mach. Gli rimprovera soprattutto di dimenticare la lezione di Engels e Marx: la storia è processo, la conoscenza è processo. La conoscenza scientifica cresce, scrive Bogdanov, e la nozione di materia propria della scienza del nostro tempo potrebbe rivelarsi solo una tappa intermedia nel cammino della conoscenza. La realtà potrebbe essere più complessa dell’ingenuo materialismo della fisica settecentesca. Parole profetiche: pochi anni dopo Werner Heisenberg apre le porte al livello quantistico della realtà” (Carlo Rovelli – Helgoland).

Alla fine però vince Lenin: il 18 dicembre 1909 l’esperienza della “Scuola di Capri” promossa da Bogdanov, Gor’kij e Lunačarskij, e che vide sull’isola l’intelligencija bolscevica al lavoro con operai rivoluzionari provenienti dalla Russia, si chiude definitivamente. Bogdanov viene espulso dalla corrente bolscevica, ma continuerà a sviluppare le sue idee all’interno del Proletkult, organismo indipendente dal partito bolscevico fondato nel 1917 e promotore di corsi e seminari nei quali i lavoratori avranno la possibilità di ricevere gratuitamente lezioni di oratoria, politica e scrittura. È proprio in questo periodo che Bogdanov diventa uno dei primi autori di fantascienza.

Scritto all’indomani della rivoluzione del 1905, La stella rossa racconta l’esperienza come ambasciatore terrestre su Marte di Leonid, un giovane rivoluzionario pietroburghese. Leonid è stato selezionato tra migliaia di possibili candidati, perché dotato della predisposizione mentale che gli avrebbe permesso di passare indenne dalla società terrestre, segnata da instabilità e conflitti e dall’individualismo, a quella marziana, organizzata su base rigorosamente collettivistica. Su Marte, infatti, la rivoluzione è avvenuta duecento anni prima e il socialismo è realtà consolidata. Secondo la linea empiriomonistica di Bogdanov, però, e non secondo quella leninista: le differenze di classe non sono state abbattute con la violenza, ma con l’istruzione delle masse, nell’arco di un processo di graduale formazione del proletariato.

Dopo due mesi di viaggio durante i quali studia la lingua marziana Leonid, su una nave interplanetaria che si sposta grazie alla scoperta della negamateria in grado di vincere la gravità in virtù di un principio di repulsione, sbarca sul Pianeta rosso. Accompagnato dai suoi anfitrioni marziani, fra i quali si distingue l’ingegner Menni, l’inviato terrestre inizia l’esplorazione della civiltà aliena.

Leonid visita fabbriche perfette, perché “Il lavoro è una necessità naturale di un uomo socialista evoluto, e qualsivoglia costrizione nascosta o palese per noi è del tutto superflua”. Apprende che i marziani lavorano in media due ore al giorno, senza retribuzione, e hanno diritto di spostarsi da un settore produttivo all’altro a piacimento, dato che il consumo dei prodotti non è limitato in alcun modo e ognuno prende ciò di cui ha bisogno nella quantità che desidera, mentre l’Istituto di Statistica calcola in maniera esatta cosa e quanto sia necessario produrre in un determinato periodo e quante ore di lavoro servano per farlo. Viene accolto nella “Casa dei bambini”, dove i piccoli marziani vengono cresciuti tutti insieme e i genitori possono scegliere se, quando e per quanto tempo stare con i loro figli vivendo in appositi residence separati. Si informa sull’arte marziana nei musei e sulla medicina nelle case di cura, dove si pratica l’eutanasia libera per chi la richieda e ci si mantiene giovani tramite la scambievole pratica della trasfusione sanguigna. Scopre, tra l’altro, che le differenze tra maschi e femmine marziani sono quasi irrilevanti, al punto da accorgersi solo dopo mesi che due dei suoi compagni di viaggio dalla Terra, l’astronoma Enno e il medico Netti, sono donne. Nonostante l’indifferenza marziana per i generi sessuali, fin nella loro lingua – “Nelle vostre lingue, nominando un oggetto, vi date un gran daffare a stabilire se questo sia maschile o femminile, il che, in sostanza, non è fondamentale, e per gli oggetti inanimati è addirittura strano… Per voi ‘casa’ è maschile e ‘barca’ è femminile, per i francesi è il contrario, e questo non cambia proprio nulla” – si innamora prima dell’una e, dopo la partenza di lei per una missione su Venere, dell’altra.

Fin qui il romanzo ha tutte le caratteristiche dell’utopia classica, ma Bogdanov non è un propagandista banale e la sua analisi è molto più sottile: tutto il finale dell’opera – che non svelo per non rovinare al lettore il piacere della sorpresa, essendo l’opera invecchiata decisamente bene anche sul piano letterario – accentuerà gli aspetti critici e negativi con un vero e proprio colpo di scena. In sostanza il problema – il tema protoecologistico è molto sentito dall’autore – è quello dell’equilibrio tra sopravvivenza del sistema e della natura da esso sfruttata: la longevità degli abitanti – raggiunta anche grazie alle trasfusioni sanguigne oltre che alle condizioni ottimali della società – ha prodotto un sovrappopolamento insostenibile, l’enorme quantità di risorse che l’industria rigidamente pianificata consuma quotidianamente ha portato al disboscamento di intere foreste, l’agricoltura impoverisce i campi e logora le scorte idriche e, secondo le stime dell’Istituto di Statistica, nell’arco di vent’anni il pianeta si troverà ad affrontare una crisi irreversibile: i rimedi prospettati dall’astronomo Sterni, ex marito di Netti, saranno altrettanto drastici (ma qui taccio…). L’attenzione riservata da Bogdanov alla questione ambientale, tradisce un marcato scetticismo nei confronti del socialismo di stato e di quella pianificazione che sarà la costante della società sovietica nei successivi 80 anni. Un esempio ulteriore della modernità di Stella rossa.

Anche Antonio Gramsci si interessò a Stella rossa. Pare che sia esistito il manoscritto di una sua traduzione del romanzo, ma non ne restano purtroppo tracce. Bene ha fatto comunque la sempre puntualissima Agenzia Alcatraz Editore a riproporre in un unico volume, nella bella collana Solaris dedicata alla fantascienza sovietica, non solo il titolo più famoso, del quale già esisteva una vecchia edizione pubblicata da Sellerio nel 1989, ma l’opera letteraria completa del tutto inedita in Italia. La traduzione è a cura del Kollectiv Ulyanov e la prefazione di Wu Ming (che al Proletkult di Bogdanov aveva già dedicato un romanzo) e oltre a Stella rossa vi compaiono il seguito (in realtà un prequel) pubblicato nel 1912, Ingegner Menni, anch’esso ambientato su Marte, e dove si descrive il passaggio dalla società vecchia alla nuova basata su una scienza alternativa accessibile alla classe operaia ed espressione diretta dei suoi bisogni; il racconto La festa dell’immortalità, sul problema della morte – come dice Bogdanov, “la più grande nemica del comunismo”; e un poemetto del 1920, Un marziano abbandonato sulla terra. Una breve nota autobiografica del 1925 chiude il volume.

Come accenna proprio nelle poche pagine di questo testo, Bogdanov tornerà in Russia nel 1913 e allo scoppio della Prima guerra mondiale sarà inviato per un anno al fronte come medico, dove si ammala e viene ricoverato in una clinica neurologica. Una volta guarito si immerge nella scrittura di una delle sue opere maggiori Tektologija (La Tettologia, o Scienza generale dell’organizzazione), che pubblica a sue spese. Dopo la rivoluzione del 1917 contribuisce all’apertura dell’Accademia Socialista, del cui Presidium resta membro fino alla morte e collabora attivamente alla creazione del Proletkul’t, da cui si allontanerà invece nel 1922, quando il movimento inizierà ad essere controllato sempre più direttamente dal Partito. Nel 1923 è arrestato con l’accusa immotivata di essere complice di un piano cospirativo contro lo Stato sovietico. Liberato, avendo dimostrato l’infondatezza delle accuse, si ritira totalmente da ogni attività politica e torna ad occuparsi esclusivamente della sua professione di medico.

Seguendo le intuizioni già delineate in Stella rossa, si dedicherà agli studi ematologici fondando nel 1926 il primo istituto russo per le trasfusioni del sangue che dirigerà fino alla morte, avvenuta nel 1928 in seguito ad un esperimento praticato su stesso, pare tentando uno scambio di sangue con uno studente ammalato di malaria e di tubercolosi. Molti parlarono di suicidio.

 

 

 

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Nemico (e) immaginario. Alterità marziane e rifondazione dell’umanità https://www.carmillaonline.com/2020/09/29/nemico-e-immaginario-alterita-marziane-e-rifondazione-dellumanita/ Tue, 29 Sep 2020 21:00:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62858 di Gioacchino Toni

Il recente volume di Daniele Porretta, L’altra Terra. L’utopia di Marte dall’età vittoriana alla New Space Economy (Luiss University Press, 2020), propone una ricostruzione critica della storia del mito del pianeta Marte soffermandosi sul suo evocare scenari alternativi alla società terreste e alle sue problematiche politiche, sociali, etiche, tecnologiche, ecc.

Tanto nella fiction quanto nell’osservazione reale, si è spesso guardato a Marte come a una “seconda Terra”, uno specchio della società terrestre. Nella costruzione del mito di Marte a cavallo tra Otto e Novecento, spiega Porretta, hanno un ruolo importante gli studi di Giovanni Virginio Schiaparelli, di Percival [...]]]> di Gioacchino Toni

Il recente volume di Daniele Porretta, L’altra Terra. L’utopia di Marte dall’età vittoriana alla New Space Economy (Luiss University Press, 2020), propone una ricostruzione critica della storia del mito del pianeta Marte soffermandosi sul suo evocare scenari alternativi alla società terreste e alle sue problematiche politiche, sociali, etiche, tecnologiche, ecc.

Tanto nella fiction quanto nell’osservazione reale, si è spesso guardato a Marte come a una “seconda Terra”, uno specchio della società terrestre. Nella costruzione del mito di Marte a cavallo tra Otto e Novecento, spiega Porretta, hanno un ruolo importante gli studi di Giovanni Virginio Schiaparelli, di Percival Lowell e di Camille Flammarion, convinto dell’esistenza di una vita extraterrestre sul pianeta rosso.

C’è […] una corrispondenza fra lo spirito morale dei costruttori della mitologia marziana, Schiaparelli, Lowell e Flammarion, e quello che sarà lo sviluppo letterario del genere ambientato in questo pianeta. Uno specchio in cui guardare la Terra, in cui proiettare i propri desideri e le proprie paure, in cui costruire un mondo alternativo per mostrare ciò che non siamo ma che potremmo essere. Rimane in questi uomini ancora o spirito positivo dell’epoca, quello che vedeva nelle grandi opere dell’ingegneria ottocentesca un primo passo verso una società migliore in cui la tecnologia sarebbe stata parte integrante della società e i sui frutti democraticamente distribuiti fra tutta la popolazione, un sogno utopico che on durerà a lungo, messo in crisi dai due conflitti mondiali, dai nuovi mezzi di distruzione offerti dall’industria bellica alle potenze nazionali e sostituito, nel suo modo di immaginarie il futuro, dalla distopia. (pp. 48-49)

Marte inizia così a essere percepito come luogo abitato da una specie tecnologicamente superiore che ha saputo utilizzare la scienza per salvarsi dall’estinzione e che dunque merita di essere esplorato, a maggior ragione nel momento in cui la Terra sembra ormai conosciuta in ogni sua parte. La volontà di entrare in contatto con gli abitanti del pianeta rosso conduce, nel passaggio tra Otto e Novecento, a svariati tentativi di inviare messaggi verso questa lontana civiltà, compreso il ricorso a pratiche paranormali all’epoca in voga; celebre è il caso della medium Hélène Smith che, con le sue visioni, contribuisce a creare un immaginario dettagliato su questo nuovo mondo.

È proprio a partire da tale periodo che Marte inizia a diviene protagonista di numerose opere narrative tra cui La guerra dei mondi (The War of the Worlds, 1898) di Herbert George Welles, storia capace di mostrare ai lettori inglesi dell’epoca gli effetti di una guerra tra civiltà a potenziale tecnologico decisamente asimmetrico; non è difficile leggervi una denuncia della violenza dell’imperialismo occidentale ai danni dei popoli colonizzati. Si può constatare come a partire dall’uscita di tale libro la figura dell’alieno si carichi di molteplici significati tanto da essere utilizzata per alludere allo “scontro tra razze” ottocentesco, al “pericolo comunista” durante la “guerra fredda”, ecc.

Se per qualche tempo nell’immaginario collettivo gli abitanti di Marte sono visti come creature benevole ed esotiche con cui vale la pena entrare in contatto e fraternizzare, le cose cambiano con la pubblicazione dell’opera di Wells: da quel momento prende piede l’idea che l’incontro con gli alieni avrebbe potuto essere tutt’altro che pacifico. Numerose sono le opere di fiction che, riprendendo il racconto di Wells, contaminano il genere della Future War innestandovi la questione aliena. Si diffondono anche versioni della stessa opera wellsiana che spostano l’ambientazione dall’Inghilterra agli Stati Uniti e prolungamenti delle vicende raccontate, come nel caso di Edison’s Conquest of Mars (1898) di Garrett P. Serviss che mette in scena la ripresa della vita in una Terra devastata dagli alieni e la decisione di prevenire futuri ritorni del nemico attaccandolo in anticipo direttamente “a casa sua”.

Nel romanzo di Serviss non è difficile individuare echi coloniali, celebrazione della superiorità anglosassone e orgoglio a stelle e strisce. Si tratta di elementi ricorrenti all’interno di opere – dette non a caso detto “edisonate” – che a partire dalla fine dell’Ottocento hanno come protagonista un giovane eroe-inventore, maschio, americano, che oltre a preservare se stesso dalla corruzione dei tempi, riesce a salvare la famiglia, la comunità e la nazione intera dall’invasione straniera. Su questa linea l’alieno marziano finisce facilmente per alludere al nemico di turno dell’America.1.

Le vicende che vedono il confronto militare tra alieni ed esseri umani narrate, pur con spirito diverso, da Wells e Serviss non esauriscono di certo le modalità del contatto tra le due parti; vi sono anche storie in cui il pianeta è abitato da società complesse e sfaccettate, come nel caso della saga dedicata a Marte e alla pluralità di razze che lo abitano da Edgar Rice Burroughs, iniziata nel 1912 e proseguita fino agli anni Quaranta, serie venata di nostalgia per i “vecchi tempi” popolati, oltre che da uomini coraggiosi, da donne schiave o principesse; non a caso si è parlato a tal proposito di “retroutopia antifemminista”. Più in generale lo spazio extraterrestre è tratteggiato come qualcosa di complesso e mutevole, non per forza di cosa ostile ai terrestri, anche da diverse opere di Clive Staples Lewis, legato a Tolkien e al gruppo degli Inklings.

Questa idea dello spazio come qualcosa di vivo è parte della costruzione di un mondo cristiano contrapposto alle due forze che Lewis considerava come le componenti distruttrici della società dell’epoca, rappresentate dai due personaggi [che] riassumono, esasperandole, le due facce del capitalismo multiplanetario: il capitalismo estrattivista, che vede nello spazio una fonte di nuovi guadagni, e quello scientifico, infarcito di retorica antropocentrica che vede nella conquista degli altri pianeti una maniera di garantire l’immortalità della specie umana. (p. 72).

I viaggi spaziali intrattengono una stretta relazione con l’utopia a partire dal Settecento, quando il viaggio in direzione delle luna diviene un sottogenere dell’utopia; nel momento in cui si diffonde la convinzione dell’esistenza di vita intelligente su Marte, questo pianeta assume un ruolo di primo piano nella letteratura di fantascienza.

Secondo una concezione ampiamente diffusa nell’epoca vittoriana, Marte era sia un luogo del presente che una proiezione della storia dell’umanità, un’idea determinata da una concezione evoluzionista dei processi sociali. Marte divenne quindi, a partire dalla fine del Diciannovesimo secolo, un topos per la costruzione di una società immaginaria da contrapporre a quella umana, e generò quell’estraniamento che è la condizione sine qua non dell’utopia. (p. 75)

Se, come detto, il mito di Marte diviene popolare soltanto a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, occorre ricordare che già negli anni precedenti il pianeta faccia da sfondo alle vicende narrate in alcuni romanzi. Nella fiction narrativa e cinematografica Marte viene scelto in diversi casi come luogo di ambientazione tanto dal sottogenere delle “edisonate”, quanto da quello delle “robinsonate”, incentrate sulla sopravvivenza di un essere umano sul pianeta, come nel caso del film Robinson Crusoe on Mars (1964) di Byron Haskin o del recente romanzo The Martian (2011) di Andy Weir, trasformato in film da Ridley Scott nel 2015.

Tra e prime opere narrative di ambientazione marziana Porretta cita Across the Zodiac: The Story of a Wreckes Record (1880) di Percy Greg e A Plunge into Space (1890) di Robert Cromie. Diffusa in molti racconti è l’idea che le società tecnologicamente avanzate comportino un inaridimento delle passioni; esemplare in tal senso Noi di Evgenij Zamjatin, uscito nel 1924 anche se scritto alcuni anni prima.

In generale la letteratura utopica a cavallo tra Otto e Novecento riflette le preoccupazioni e le aspettative di progresso sociale del tempo. Il pianeta rosso come luogo di realizzazione di società migliori è presente anche in To Mars via the Moon: An Astronomical Story (1911) di Mark Wicks e in Unveiling Parallel: a Romance (1893) di Alice Ilgenfritz Jones ed Ella Merchant, in cui si prospetta una società paritaria per uomini e donne. In ambito cinematografico Porretta cita la pellicola danese Himmelskibet (1917) di Holger-Madsen, girata nel corso della Grande guerra con evidenti intenti pacifisti.

Illustrazione di un Tripodi da La guerra dei mondi edizione francese del 1906

Persa la fiducia nella scienza come motore di miglioramento in voga agli albori della Rivoluzione industriale, l’immaginario legato allo società del futuro è ben descritto dallo scrittore e illustratore francese Albert Robida: «da una parte c’è un’immaginaria borghesia del futuro, che avrebbe affollato i cieli con le sue macchine volanti per andare all’opera, e dall’altra i moderni mezzi di distruzione che avrebbero progettato chimici, medici e farmacisti» (p. 58). Tale immaginario di distruzione futura riflette le ansie della società vittoriana timorosa di trovarsi presto coinvolta in qualche conflitto, tanto da determinare il successo del genere Future War che prende il via con La battaglia di Dorking (1871) di Geroge Tomkyn Chesney narrante di un’invasione tedesca dell’Inghilterra. Ai timori per guerre internazionali si aggiungono presto i timori per un invasione di popoli orientali capace di annientare la civiltà europea. È attorno a tali ansie generate dai fenomeni migratori di massa che si strutturano stereotipi razziali destinati a durare nel tempo. Non è difficile che le tensioni razziali entrino in gioco nella fiction catastrofista.

Il romanzo scientifico e la letteratura fantascientifica ottengono un certo successo anche in Russia ove, sull’onda della Rivoluzione il progresso tecnologico diviene uno degli elementi simbolici della nuova era socialista. Se tradizionalmente l’utopismo russo tende a focalizzarsi sulla fondazione di comunità religioso-spirituali, sostiene Porretta, con il passaggio tra Otto e Novecento l’immaginario dell’industrializzazione e del progresso tecnologico prendono piede anche nell’immaginario russo.

Tra gli esempi in cui si ricorre al pianeta rosso come luogo immaginario per produrre discorsi utopici o per rappresentare società distopiche, lo studioso fa riferimento alle due opere di Aleksandr Bogdanov La stella rossa e L’ingegner Menni, pubblicati rispettivamente nel 1908 e nel 1912, esempi di romanzo utopico in cui si ripone estrema fiducia nel progresso tecnologico e in cui viene tratteggiata una società comunista realizzata. Se il ricorso a Marte può darsi per mostrare un esempio di società di stampo comunista realizzata, il film Аėlita (1924) di Aleksandrovič Protazanov, tratto dal romanzo omonimo di Aleksej Nikolaevič Tolstoj, utilizza invece il pianeta rosso per mostrare una rivoluzione in corso contro la tirannia e la schiavitù.

A cavallo tra le due guerre mondiali cambia la rappresentazione di Marte; la tecnologia inizia ad essere osservata con minor entusiasmo avendo nel frattempo evidenziato il portato distruttivo. «È terminato il tempo dell’utopia ed è il suo contrario, la distopia, a diventare lo strumento più utilizzato per la descrizione del futuro» (p. 90).

Nei primi anni Cinquanta, pochi anni prima dell’avvio dell’era spaziale, se il romanzo Le sabbie di Marte (1951) di Arthur C. Clarke tenta di immaginare in maniera realistica il processo di colonizzazione del pianeta, lo scienziato tedesco Wernher von Braun, l’ideatore dei razzi V-2 per il regime nazista, dopo essersi messo al servizio dei vincitori statunitensi, lavora a un progetto finalizzato alla colonizzazione di Marte. Pur rivelatosi di impossibile realizzazione, il progetto evidenzia come, giunti a metà Novecento, l’idea di un viaggio verso Marte non riguardi più esclusivamente le fantasie narrative si scrittori e registi.

Durante la guerra fredda la fantascienza tende a focalizzarsi sulla paura dell’attacco straniero/comunista e sul pericolo di una graduale sostituzione dell’umanità con “altri esseri”, come ne Gli invasori spaziali (Invaders form Mars, 1953) di William Cameron Menzies e L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, 1956) d Don Siegel.

A resistere nel tempo, anche quando il mito marziano inizia ad affievolirsi, è la raccolta di racconti Cronache marziane di Ray Bradbury, pubblicata la prima volta nel 1950, il cui successo è però forse dovuto soprattutto «alla sua capacità di incarnare lo spirito americano, esattamente come La guerra dei mondi di Wells aveva rappresentato mezzo secolo prima l’imperialismo inglese tardo-vittoriano» (p. 103).

Sin dai primi anni Sessanta lo scrittore inglese James Graham Ballard ritiene terminata l’epoca della narrativa spaziale, tanto che preferisce indagare l’inner space dell’essere umano. Il calo di interesse per il pianeta rosso coincide con l’arrivo delle prime immagini ravvicinate di Marte a metà degli anni Sessanta, quando per qualche tempo il centro della scena viene lasciato alla Luna. Nonostante la Space Age possa dirsi davvero conclusa attorno alla metà del decenni successivo, ultimamente il pianeta rosso sembra di nuovo interessare la letteratura, il cinema e l’economia. Marte ricompare non solo nella fiction o nella docu-fiction – oltre al film The Martian (2015) di Ridley Scott, si pensi alle serie televisive Mars (2016) della National Geographic, The Mars Generation (2017) di Michael Barnett, The First (dal 2018) di Beau Willimon – ma anche in ambito economico e con esso si ripresenta anche l’idea, evidentemente legata a una “utopia della ricostruzione”, di una sua futura terrificazione.

Non si può evitare di osservare che la costruzione di questa nuova utopia marziana appare in un momento in cui la distopia esercita un dominio pressoché assoluto sull’immaginario collettivo riguardo il futuro dell’umanità. […] Tralasciando l’attrazione morbosa che la prospettiva di una società futura in rovina esercita sul pubblico, oggi la distopia incarna la sensazione di assistere a una fine del mondo al rallentatore. […] La distopia contemporanea ci connette con le nostre più recondite paure: la perdita dei capisaldi della sicurezza esistenziale, lo sfascio dello stato sociale, l’inevitabilità del disastro climatico, la fine della stabilità lavorativa, l’imporsi si un modello di società competitivo e atomizzante. Visto in questa prospettiva, abbandonare il pianeta Terra per andare su Marte non sembra poi un piano così assurdo. (p. 106)

I motivi per cui, da qualche tempo a questa parte, a più di un secolo dalla nascita del mito, il pianeta Marte è “tornato di moda” secondo Porretta sono probabilmente da ricercarsi in una sorta di desiderio di fuga dalla Terra, da una realtà percepita come inesorabilmente incamminata verso l’apocalisse. Se nell’immaginario contemporaneo il pianeta rosso può rappresentare una “utopia della ricostruzione”, un luogo da cui ripartire dopo la catastrofe terrestre, in esso è però possibile vedere anche una sorta di arca di Noè, un rifugio destinato soltanto a una piccola parte dell’umanità alle prese con l’esaurimento delle risorse vitali terrestri.

Illustrazione di un Tripodi da La guerra dei mondi edizione francese del 1906

Il successo di pubblico per il filone catastrofico ha sicuramente a che fare con i timori e con le emergenze del momento, riflettendo il clima di pessimismo di un’epoca in cui non si intravede alternativa a un sistema che mostra tutti i suoi limiti. È in questo clima di sfiducia che permea le opere di fiction che il pianeta rosso torna a conquistarsi spazio portandosi dietro quell’immaginario utopico marziano sedimentatosi nel tempo a partire dall’epoca vittoriana.

A una prima Space Age (1957-1975) inaugurata dallo Sputnik-1, e una seconda età spaziale (1981-1997) identificabile con i voli dello Shuttle, si aggiunge ora l’epoca della cosiddetta New Space Economy caratterizzata dall’apertura ai privati dei servizi di trasporto di merci e persone. La corsa allo spazio non vede più fronteggiarsi Stati Uniti e Unione Sovietica; nella nuova era spaziale a confrontarsi sono alcuni colossi privati spinti da business legati alla ricerca scientifica, al turismo spaziale, allo sviluppo di tecnologie da vendere ai governi e alla possibilità di sfruttare risorse minerarie di altri pianeti. Se ad oggi, sottolinea Porretta, la “terrificazione” di Marte appare estremamente improbabile, il pianeta rosso può però essere visto come obiettivo simbolico di una narrazione volta all’espansione capitalista verso lo spazio, un’ennesima riproposizione della lotta per l’indipendenza degli stati Uniti dall’Inghilterra e della conquista del West.

La colonizzazione dello spazio, a partire da Marte, sembrerebbe avere a che fare con i timori contemporanei per un prossimo collasso mondiale: il pianeta rosso viene identificato come luogo-rifugio per una parte dell’umanità in fuga dalla catastrofe terrestre. Il confine tra utopia e distopia può essere sottile, soprattutto se si cambia il punto di vista. Si potrebbe pensare al pianeta rosso come a un luogo inospitale in cui costringere un proletariato spaziale a lavorare in condizioni di vita terrificanti o, viceversa, come rifugio per una ristretta élite multiplanetaria che da lì sovraintende il lavoro di un proletariato invece costretto a restare su una terra sempre più invivibile.

Vista dall’ottica del capitalismo espansionista, Marte appare sempre di più la possibile utopia del futuro, o meglio, la distopia di una comunità perfettamente vigilata e autosufficiente […] la realizzazione finale del sogno utopico rincorso dalla modernità: la nascita di una comunità perfettamente controllata, pianificata e lamentatone dipendente dalla tecnologia. (p. 115)

In questo recente guardare allo spazio esterno, conclude Porretta, non è difficile vedere un modo per eludere le responsabilità nei confronti della Terra o lo sviluppo inevitabile di un sistema che non può fare a meno di espandersi e occupare nuovi territori.


Nemico (e) immaginario serie completa


  1. Cfr. R. Giacomelli, Nemici dell’America, nemici dell’umanità. Il “nemico” nel cinema fantascientifico americano, Sovera Edizioni, Roma 2014. Di tale saggio si parla negli scritti: G. Toni, Nemico (e) immaginario. Il nemico allo schermo: nemici dell’America, nemici dell’umanità, “Carmilla” e G. Toni, Nemico (e) immaginario. L’Umano e l’Alieno, “Carmilla”. 

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L’immaginario dallo spazio profondo https://www.carmillaonline.com/2019/03/09/limmaginario-dallo-spazio-profondo/ Fri, 08 Mar 2019 23:01:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=51367 di Paolo Lago

L’immaginario creato dalla letteratura e dal cinema di fantascienza offre visioni di civiltà extraterrestri nelle quali la vita si svolge in modo estremamente diverso da come è sulla Terra, con tutte le sue implicazioni di carattere sociale, politico, economico. Però, in realtà, in quell’immaginario che arriva dallo spazio profondo, dai più lontani interstizi stellari, non ci siamo altro che noi. Sono gli usi e i costumi degli esseri umani, la loro politica e la loro società ad essere ‘travestiti’ e trasformati in sembianze diverse e lontane. Per mezzo di immaginari [...]]]> di Paolo Lago

L’immaginario creato dalla letteratura e dal cinema di fantascienza offre visioni di civiltà extraterrestri nelle quali la vita si svolge in modo estremamente diverso da come è sulla Terra, con tutte le sue implicazioni di carattere sociale, politico, economico. Però, in realtà, in quell’immaginario che arriva dallo spazio profondo, dai più lontani interstizi stellari, non ci siamo altro che noi. Sono gli usi e i costumi degli esseri umani, la loro politica e la loro società ad essere ‘travestiti’ e trasformati in sembianze diverse e lontane. Per mezzo di immaginari che mettono in scena mondi extraumani, l’umanità riconosce se stessa e impara a dominare le sue paure legate all’apparizione del diverso e dello straniero. Non a caso, per definire un extraterrestre si usa spesso la parola “alieno”, termine connesso al latino “alius”, “un altro”, ma anche “l’altro” da noi, il “diverso”. Ebbene, l’alieno è l’incarnazione al grado più alto del diverso ma anche dell’uguale, perché esso nasce da un immaginario fantascientifico che lo crea a immagine e somiglianza degli esseri umani. In questo immaginario, poi, si moltiplicano a dismisura le più svariate implicazioni utopiche e distopiche legate alla creazione di mondi e civiltà extraterrestri.

Probabilmente, il primo scrittore che ha modellato un immaginario legato alla rappresentazione di alieni, di extraterrestri, è Luciano di Samosata (II sec. d.C.). La sua Storia vera narra infatti di un viaggio fra mondi fantastici e immaginari che giunge fin sulla Luna. La nave dei protagonisti viene investita da un tifone e portata sulla Luna, dove i viaggiatori terrestri entrano in contatto con la civiltà dei seleniti. È in procinto una guerra contro gli abitanti del Sole a causa della colonizzazione di Venere e il narratore descrive minuziosamente i contendenti, tra i quali incontriamo i Caulomiceti, armati di funghi come scudi e gambi di asparagi come lance o gli Psyllotoxoti, che cavalcano pulci grandi come dodici elefanti. Il narratore si sofferma poi nella descrizione dell’aspetto e delle usanze dei Seleniti: essi nascono non dal ventre ma dal polpaccio e quando invecchiano non muoiono ma, dissolvendosi in fumo, diventano aria. Il loro cibo è costituito esclusivamente da rane, ma si cibano soltanto del fumo che esala mentre vengono cotte e come bevanda hanno aria spremuta in un calice. I seleniti portano la barba poco sopra il ginocchio e hanno occhi asportabili, che possono togliere quando non vogliono vedere. Si tratta di un mondo fantastico e assurdo ma è pur sempre un mondo che rispecchia quello terrestre, per gli usi e i costumi, nonché per la divisione in classi sociali (ad esempio, nel racconto di Luciano, i ricchi seleniti hanno vestiti di morbido vetro, mentre i poveri di tessuto di rame). È un mondo che riflette la società greca contemporanea di Luciano come, del resto, quello che rappresenterà Jonathan Swift in un’opera che molto deve all’operetta lucianea, I Viaggi di Gulliver: mondi fantastici (anche se non extraterrestri), nei quali viene satiricamente rappresentata la società inglese settecentesca.

L’immaginario di un mondo extraterrestre nel quale si rispecchia utopisticamente la società umana è stato rappresentato in modo suggestivo dallo scrittore e politico russo Aleksandr Bogdanov (pseudonimo di Aleksandr Malinovskij) con Stella rossa, pubblicato nel 1908 e recentemente riproposto dall’editore Alcatraz, con prefazione di Wu Ming. Il romanzo è uscito poco dopo la rivoluzione fallita del 1905 e prima di quella del 1917: Bogdanov, amico di Lenin e ideatore del Proletkult, un movimento atto a promuovere una cultura rivoluzionaria (fu, tra l’altro, il primo traduttore russo del Capitale di Marx), in Stella rossa immagina uno scenario utopico in cui il socialismo si è realizzato. La “stella rossa” è Marte, il pianeta “rosso”: rosso non soltanto, in questo caso, per il colore della sua luminosità. Lo scenario marziano tratteggiato da Bogdanov è una società socialista in cui però si fanno sentire stringenti problematiche di tipo ecologico: le industrie inquinano e disboscano le foreste e l’agricoltura inaridisce il terreno. I marziani sono così costretti a cercare nuovi pianeti da colonizzare, fra i quali la Terra riveste un ruolo di primo piano. L’io narrante Leonid, prelevato nella Russia scossa dai moti rivoluzionari, viene condotto su Marte dove potrà assistere al funzionamento dell’utopia socialista realizzata. Il mondo socialista di Stella rossa è quasi una umanità terrestre futura che si è incamminata in una nuova società liberata dal capitalismo. Sembra che la società della Terra sia molto simile a quella marziana prima della rivoluzione: prima, infatti, anche su Marte imperversavano il capitalismo e le sperequazioni sociali e non esisteva una unica lingua come adesso ma, proprio come sulla Terra, ogni popolazione ne possedeva una sua propria. La società marziana, anche a causa della conformazione naturale del pianeta, risulta molto più unita e simbiotica di quella terrestre. Come afferma la giovane medico marziana Netti, il popolo terrestre e quello marziano sono come due fratelli, il primo più giovane, dal carattere “violento e impetuoso”, il secondo più vecchio, dal carattere “tranquillo ed equilibrato”: “il più piccolo spreca le proprie forze nel peggiore dei modi e commette più errori”. La società terrestre, in confronto a quella marziana, viene vista come non ancora matura e solidamente istruita: il Marte visitato da Leonid è perciò quasi come una Terra del futuro, ormai liberatasi delle costrizioni e delle violenze.

Se l’utopia marziana viene indagata da Leonid nei suoi più diversi aspetti (l’organizzazione del lavoro, l’educazione, le espressioni artistiche), la “stella rossa” rappresenta anche l’osservatorio ideale dal quale guardare alla Terra e alle sue abitudini con distacco critico. Il Marte di Bogdanov è una sorta di mondo ultraterreno dal quale criticare i costumi terrestri, come in una sorta di nuova, fantascientifica satira menippea. Quest’ultima è un genere ben definito all’interno delle letterature classiche, che prende il nome dal filosofo cinico Menippo di Gadara ed è caratterizzato da diversi tratti distintivi (ad esempio alternanza di versi e prosa, nonché di temi seri e faceti), nel quale il frequente viaggio in mondi ultraterreni (le profondità dell’Ade o la cima dell’Olimpo) serviva per osservare, con distacco critico, gli usi e i costumi politici e sociali degli esseri umani. Oltre alla Storia vera, Luciano ha scritto diverse satire menippee in cui viene messa in atto questa strategia letteraria: ad esempio, nel Menippo o la Negromanzia, il filosofo cinico Menippo racconta un suo viaggio all’Ade mentre nel Caronte o gli osservatori, il barcaiolo infernale disquisisce saggiamente sulle cattive abitudini degli uomini. In Stella rossa, Leonid, una volta tornato sulla Terra, dopo essere stato a contatto con la società marziana, afferma che “tutte le persone che conoscevo sulla Terra, mi parevano un po’ bambini e un po’ adolescenti che percepivano la realtà attorno a loro in modo confuso, e si abbandonavano inconsapevoli alle forze che dimorano al loro interno e a quelle che giungono dall’esterno”. Vista da Marte, la società terrestre appare inconsapevole e immatura come se fosse un gruppo di bambini viziati.

Su Marte, inoltre, Leonid si ammala ed è vittima di diverse allucinazioni nelle quali gli appaiono, come fantasmi, molti suoi parenti e amici terrestri che non vedeva più da moltissimo tempo, alcuni dei quali morti. Nello spazio profondo, perciò, ritroviamo noi stessi e i nostri più profondi ricordi, piacevoli momenti di un passato ormai lontano che si tramutano in dolorose torture. L’umanità ferita, su un pianeta lontano, ritrova il suo passato che la fa gemere di dolore. Si può pensare anche a Solaris (1961) di Stanislaw Lem: lo scienziato che si reca sulla stazione spaziale che orbita attorno al pianeta Solaris riceve le inquietanti visite della moglie Harey, morta da tempo, immagine di un doppio onirico del suo lancinante ricordo, generata dalla struttura pensante del pianeta. Anche nell’omonimo film di Andrej Tarkovskij, del 1972, il pianeta pensante genera un crudele e languido simulacro che tormenta il soggiorno spaziale dello psicologo Kris Kelvin. La musica di Bach rivisitata da Eduard Artemev scolpisce in indimenticabili sequenze, caratterizzate dalla levitazione, l’angoscia di Kelvin e quella di Harey, forse consapevole della sua lancinante non esistenza.

Recentemente, Wu Ming ha realizzato un interessante ipertesto – per utilizzare la terminologia di Gérard Genette – di Stella rossa: secondo il critico letterario francese, infatti, l’ipertesto è qualsiasi testo derivato da un testo anteriore tramite una trasformazione semplice. Si tratta di Proletkult (Einaudi, 2018), un romanzo in cui il protagonista è proprio Aleksandr Bogdanov, il quale entra in contatto con una nacuniana di nome Denni (il cui nome è ricalcato sui quelli marziani del romanzo russo, Menni, Netti, Sterni ecc.). Nel corso dell’intera narrazione, l’obiettivo principale di Bogdanov sarà quello di rintracciare Leonid, il protagonista io narrante di Stella rossa (opera che, nella narrazione di Proletkult, viene più volte citata). Nel romanzo di Wu Ming, il Marte di Bogdanov si trasforma nel pianeta Nacun, i cui abitanti, giunti con una nave spaziale, aiutano i rivoluzionari del 1905 per compiere un’azione in Georgia. L’immaginario dallo spazio profondo è forse adesso maggiormente incarnato dalla figura di Denni, una giovane nacuniana che si trova dispersa sulla Terra. La ragazza sembra rappresentare, all’interno della temperie rivoluzionaria, probabilmente l’unica vera possibilità di cambiamento. Ostinatamente decisa a ritornare sul proprio pianeta, ella cerca di mettersi in contatto in tutti i modi con i nacuniani, costruendo improbabili meccanismi per creare un ponte radio. Schierata dalla parte della natura e di ogni creatura innocente (molto ben costruiti i momenti narrativi in cui vuole liberare dei conigli, cavie da laboratorio), Denni sembra quindi rappresentare le istanze utopistiche di un immaginario finalmente liberato da incrostazioni di carattere materialistico e burocratico. Fino al finale, che certo non sveleremo, in cui queste istanze, insieme a una irrefrenabile voglia di liberazione, emergeranno allo scoperto coinvolgendo lo stesso protagonista in un sogno che forse può finalmente diventare realtà.

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