New Italian Epic – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 14 Jun 2025 20:00:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 NEW EPIC BLOC. Tre anni dopo il “memorandum” sul NIE (Primi aggiornamenti 2011) https://www.carmillaonline.com/2011/01/12/new-epic-bloc-tre-anni-dopo-il/ Wed, 12 Jan 2011 00:06:15 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3747 A quest’ora ve ne sarete accorti: si stanno diffondendo teorie del complotto su Carmilla e i suoi presunti “superpoteri”. Dal nostro angolino di web italiano, noi saremmo in grado di muovere come burattini intellettuali e politici di tutto il mondo e orientare le opinioni pubbliche di diversi paesi, fino a influenzare le decisioni di importanti capi di stato. C’è gente che ci ha scritto sopra interi libri.[1] Con il nostro ruolo ingigantito in questo modo, e con le immagini che vi stiamo mostrando, sarà dura far capire ai denigratori che il “Book Bloc” non è l’esito di un nostro complotto bensì una libera invenzione degli studenti in lotta. Chi ci [...]]]>

A quest’ora ve ne sarete accorti: si stanno diffondendo teorie del complotto su Carmilla e i suoi presunti “superpoteri”. Dal nostro angolino di web italiano, noi saremmo in grado di muovere come burattini intellettuali e politici di tutto il mondo e orientare le opinioni pubbliche di diversi paesi, fino a influenzare le decisioni di importanti capi di stato. C’è gente che ci ha scritto sopra interi libri.[1]
Con il nostro ruolo ingigantito in questo modo, e con le immagini che vi stiamo mostrando, sarà dura far capire ai denigratori che il “Book Bloc” non è l’esito di un nostro complotto bensì una libera invenzione degli studenti in lotta.
Chi ci crederà se diciamo che noi stessi ci siamo stupiti vedendo che, tra i titoli portati sugli scudi, quelli di autori italiani viventi appartenevano quasi tutti alla “nebulosa” del New Italian Epic, descritta tre anni fa nel memorandum di Wu Ming 1?
Guardate anche voi: Q di Luther Blissett, Noi saremo tutto di Valerio Evangelisti, In ogni caso nessun rimorso di Pino Cacucci, La banda Bellini di Marco Philopat… In altri “book bloc” è comparso Asce di guerra di Wu Ming… E, ovviamente, c’era Gomorra di Roberto Saviano.

-§- Un inciso: il fatto che Saviano abbia preso posizione contro l’uso della forza (della “violenza”) da parte del movimento mentre il suo libro andava allo scontro con la polizia, è una contraddizione interessante. Contraddizione che ha avuto almeno una ricaduta positiva: ha chiarito a molti che non si possono – non si devono mai – confondere autore e opera, opera e chiacchiera mediatica, scrittore e “io narrante”, scrittore e simbolo. Cosa che da queste parti ci siamo sempre sforzati di spiegare, contro le pseudo-analisi e gli scatti rabbiosi di chi “butta tutto nel mucchio”. “Desavianizzare Gomorra” è uno slogan che risale addirittura al 2006 [2], e si vedano le critiche al simbolo-Saviano espresse due anni fa da Wu Ming 1 nella sua risposta a Tiziano Scarpa.[3] -§-

Insomma, cos’è questa roba? Un coup mediatico? Un’eterodirezione delle scelte del movimento da parte di una cosca di scrittori engagés? Un utilizzo delle lotte a scopo “pubblicitario”?
Macché. Questo è un riconoscimento. Un riconoscimento più importante di qualunque premio. Non a caso c’è chi ha parlato di un “Nobel della strada”. Noi scrittori possiamo solo ringraziare.
Ma soprattutto, questa è una conferma. Conferma del fatto che, negli anni presi in esame dal memorandum (suppergiù dal 1993 al 2008), i libri cosiddetti “neo-epici” hanno fatto immaginario, hanno sparso semi in una zona conflittuale. Quella zona dove – come si diceva tre anni fa – “archivio e strada coincidono”.

Book Bloc

Riguardo a ciò, si è espresso nel modo più chiaro possibile un frequentatore del blog “Militant”, un paio di settimane fa:

«[…] Azzardo che abbiamo assorbito molto più da lì [dall’hip-hop, N.d.R.] che da assemblee e da laboratori, o perlomeno ci siamo avvicinati anche grazie a loro […] [E quei] romanzi degli ultimi dieci-quindici anni, inquadrati abbastanza bene dal saggio di Wu Ming sul New Italian Epic: Blissett, Wu Ming, De Michele, Carlotto, Evangelisti, Lucarelli, De Cataldo, Tassinari, Cacucci e così via. Anche qui stesso discorso fatto per le posse rispetto all’impegno, al percorso e alla qualità artistica.»[4]

E’ con questa spinta che entriamo nel quarto anno di discussione su NIE, dintorni e discendenze. Questo è un post di aggiornamento, una panoramica di quello che si è scritto e pubblicato sul tema negli ultimi mesi del 2010, o che era stato scritto prima ma soltanto più tardi è stato condiviso in rete.

Anche se in modo meno appariscente e chiassoso, le polemiche proseguono. Le pagine culturali dei giornali, anche di recente, hanno reiterato i loro sfottò (sempre gli stessi da tre anni). Soprattutto, sono arrivati in libreria nuovi saggi “reattivi”, cioè concepiti in reazione al dibattito sul NIE.
La produzione è vasta: si va da Eroi di carta di Dal Lago [5] a Meno letteratura, per favore! di La Porta, da Scritture a perdere di Ferroni [6] 1001.gifal meno scontato Qui si vende storia, “ibrido” di pièce teatrale + saggio critico a opera dell’attore Nevio Gàmbula e del critico Francesco Muzzioli. L’editore di quest’ultimo libro è Odradek, che al recente festival “Più libri, più liberi” di Roma reclamizzava l’uscita con la (reattivissima!) scritta: “ANTI-WU MING” :-D [7].

Per completezza d’informazione, prima delle segnalazioni più dettagliate, forniamo i dati del download del memorandum negli ultimi mesi.
Nell’ottobre 2010, il pdf di New Italian Epic è stato scaricato 701 volte;
nel novembre 2010, 1098 volte;
nel dicembre 2010, 862 volte.
In tutto il 2010, terzo anno di disponibilità on line, i download complessivi sono stati 11.461.
Questi dati riguardano soltanto il formato pdf, e soltanto il sito wumingfoundation.com.

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MAURIZIO VITO SU THE ITALIANIST

Sull’ultimo numero (Vol. 30, n. 3, ottobre 2010) di The Italianist, rivista edita dai dipartimenti di Italian Studies delle Università di Reading, Cambridge e Leeds, è apparso un importante saggio di Maurizio Vito (Visiting Assistant Professor alla Wesleyan University, Middletown, Connecticut) intitolato “A Narrative Discourse of the XXI Century: The New Italian Epic”. Nello svolgere un discorso più generale (soprattutto sulla pertinenza dell’attributo “epic” alla luce delle teorizzazioni più recenti), il testo si sofferma in particolare su alcuni libri: Italia De Profundis di Giuseppe Genna, Nelle mani giuste di Giancarlo De Cataldo, Manituana e Stella del mattino dei Wu Ming e L’ottava vibrazione di Lucarelli.
Qui potete scaricare il PDF.
E questo è il sito web di Maurizio Vito.

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WU MING 1: “DA LONTANO / DA DENTRO”

A un anno esatto dalla pubblicazione sul n.1 della rivista Limina, edita dalla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano, mettiamo a disposizione l’articolo di Wu Ming 1 “Da Lontano / da dentro. Note su nebulose, sguardi sovraccarichi e oggetti narrativi non-identificati in letteratura e negli audiovisivi”. Uno stralcio:
«La mia riflessione sugli UNO nella letteratura italiana contemporanea non è automaticamente trasferibile al mondo degli audiovisivi, però può essere utile, fornire spunti di riflessione sulla natura di questi video-manufatti, a loro volta oggetti narrativi, sicuramente oggetti non identificati, perché tocca usare paia e paia di virgolette, dire che sono “documentari”, oppure ricorrere a neologismi a volte sguaiati. Manca la tassonomia. Cosa sono i film di Alina Marazzi? A che genere appartiene “Il grande fardello” di Marianna Schivardi? E’ spesso una fase molto felice quella in cui manca ancora il nome, un nome per qualcosa che molti fanno e tutti vedono. E allora provo a concludere con un parallelismo tra come si scrive un libro e come si fa un video, oggi.»
PDF scaricabile qui.

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Roma Noir 2010ROMA NOIR 2010

Un’uscita che vale la pena recensire: il libro collettaneo Roma Noir 2010. Scritture nere: narrativa di genere, New Italian Epic o post-noir?, a cura di Elisabetta Mondello (Robin Edizioni 2010).
Su cosa sia Roma Noir, lasciamo la parola alla curatrice, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea e di Sociologia della Letteratura all’Università La Sapienza, Roma:
«È un progetto di ricerca (la cui “anzianità”, datata al 2004, lo rende insospettabile di subalternità a mode editoriali effimere) nato per analizzare il fenomeno del successo del noir negli anni Duemila, un progetto che nel tempo si è andato ampliando e che attualmente comprende — oltre al momento annuale di confronto fra quanti studiano e lavorano all’Università e coloro che sono stati i protagonisti della trasformazione del noir da un genere minoritario, in uno dei fenomeni più vistosi nella narrativa attuale — una serie di attività: la pubblicazione di materiali critici e saggistici, seminari con scrittori ed operatori del settore, un sito web di recensioni e interviste (www.romanoir.it), un concorso letterario per racconti inediti che si svolge on-line. Da quest’anno anche un concorso per fumetti […]»
Questo libro raccoglie gli interventi all’edizione 2010 del convegno Roma Noir, più alcuni saggi scritti ad hoc. Il materiale è quasi tutto molto valido. Per le nostre particolari esigenze, in questa sede dedicheremo qualche parola all’intervento della curatrice e a quelli di Monica Cristina Storini, Marco Amici e Dimitri Chimenti.
Elisabetta Mondello, nel suo “Una querelle lunga un decennio”, fornisce uno dei migliori riepiloghi disponibili non solo del dibattito sul NIE, ma di tutte le querelles che, fin dagli anni Novanta, hanno accompagnato l’affermarsi della nuova narrativa “di genere” italiana. Mondello sottolinea il ruolo della rete, tanto importante come mezzo di informazione e ambito di discussione da aver causato un’evidente discrepanza tra i due dibattiti: quello che avviene in rete e quello che avviene nel giornalismo culturale e nella critica definita “militante”. Scrive l’autrice:

«Non si può non dar conto della discussione originata dalla proposta di Wu Ming 1, la più rilevante degli ultimi anni, tale non solo per la vasta eco che ha suscitato sul web e sulla stampa, ma anche quale tentativo di sistematizzare teoricamente una stagione in cui la forma prosastica ha imboccato una via inedita e inconsueta per l’Italia. Si cercherà quindi di riassumere i punti centrali del saggio New Italian Epic, premettendo però doverosamente che, per avere una percezione effettiva delle discussioni… è imprescindibile ricorrere alla raccolta di interventi fatta dallo stesso Wu Ming su Internet […] Questo è uno dei casi in cui — proprio per le modalità con le quali si è svolto il dibattito, caratterizzato da un fitto intreccio di interventi, risposte, repliche, spesso postillati ed emendati e, in maggioranza, on-line —, una pura consultazione dei documenti che non avvenga attingendo direttamente dai siti, non consente al lettore di percepire la consistenza e la durezza del confronto, nonché una serie di riferimenti impliciti che costituiscono un vero e proprio sottotesto […] Quale che sia la valutazione del lettore, a posteriori, non si può negare che… quello del NIE — magari da contestare violentemente — è stato un tentativo importante di dare una sistemazione teorico-letteraria della materia degno di questo nome, se non l’unico come scriveva nell’articolo precedentemente citato un accademico quale Asor Rosa, certo non arruolabile nelle file dei sostenitori acritici di Wu Ming.»

Il saggio di Monica Cristina Storini si intitola “Nella valle del perturbante: moderno, postmoderno e noir secondo Wu Ming”. L’autrice (docente di Letteratura italiana e Teoria della Letteratura alla Sapienza di Roma) cerca di districare i rapporti tra NIE e postmoderno, e poi tra NIE e noir italiano. Storini vuole evidenziare le intersezioni e parentele tra questi ultimi, a partire da un dato di fatto: molto NIE discende dal noir italiano. Il tentativo è quello di fare i conti con le metafore e le figure retoriche più ricorrenti e/o più evocate nel dibattito sul NIE. Metafore che, per quanto implicitamente, nel memorandum erano usate per distinguere NIE e noir italiano. All’inverso, Storini le utilizza per ridurre le differenze, per accomunare le opere dei rispettivi ambiti. Un passaggio molto interessante, perché “contro-intuitivo”, è anche quello in cui l’autrice rintraccia perturbanti (ossia al contempo inquietanti e rassicuranti) “echi” tra NIE e “scrittura femminile”:

«Quando si rifletta sugli elementi dichiarati specifici se non in qualità, almeno in numero di occorrenze, dei testi appartenenti al NIE non si può fare a meno — o almeno non può farlo chi scrive — di trovare echi e comunanze con posizioni e affermazioni teoriche che appaiono così inquietantemente e al contempo — sempre per chi scrive —, così rassicurantemente vicine a ciò che nel tempo è parso specifico della scrittura femminile: l’attraversamento dei generi e la loro commistione con materiali di provenienza eterogenea, l’assunzione di posizionamenti “eccentrici” come luoghi da cui dare voce a saperi altri, l’etica responsabile di cui parla, per esempio, Spivack per la scrittura originale e traduttiva delle donne, e così via. Forse c’è qualcosa di più profondo che accomuna le scritture letterarie — narrative e non — degli anni a cavallo fra primo e secondo millennio, e cioè l’assunzione — consapevole o meno — della complessità di una realtà derivante dalla decostruzione dell’io occidentale, bianco, maschile, fallologocentrico, falsamente universale.»

Nel suo saggio “Letteratura di genere, Noir e New Italian Epic”, Marco Amici solca lo stesso mare di frontiera, usando come sestante le analisi sul “genere” di Valerio Evangelisti e sfatando alcuni equivoci sul “superamento della letteratura di genere” dopo la crisi del noir italiano (crisi che quasi tutti gli interventi collocano a metà del decennio appena trascorso), nonché sul rapporto tra noir italiano e NIE:

«È opportuno forse precisare che l’idea di superamento del lavoro dei generi espressa nel Memorandum, non implica affatto il venir meno di quell’attitudine popular su cui si basa lo stesso DNA dei generi paraletterari. Si può anzi affermare che il pop — e quindi la ricerca di leggibilità e confronto con il mercato — fa parte del New Italian Epic almeno quanto la sperimentazione fine a se stessa o la ricerca del sempre nuovo propria delle avanguardie non ne fa parte. Ciò non toglie che il superamento dei vincoli di genere produca, in molti casi, un esponenziale aumento della complessità narrativa. Non a caso, la ricerca di un punto d’incontro fra complessità e popular è una delle caratteristiche del New Italian Epic riportate nel Memorandum.»

Nel saggio “Lo spessore memoriale del presente. Dies irae di Giuseppe Genna” , Dimitri Chimenti analizza il tema della memoria pubblica italiana nel magnum opus dello scrittore siculo-meneghino, opera “interamente presa in un movimento che è, ad un tempo, di sfaldamento e transizione del genere”. Scrive Chimenti:

«Assumendo tutte le convenzioni del crime novel, [Dies Irae] racconta gli ultimi venticinque anni di storia italiana per farne emergere ferite reali e simboliche. Ma si tratta anche di un testo metateorico che, muovendo critiche radicali alle strategie narrative di un genere, infrange l’orizzonte di aspettative di un pubblico abituato a considerare la “verità” come una “rivelazione”, anziché come qualcosa di ottenibile a patto di un incessante patteggiamento e lotta sociale.»

Il testo esamina il ricorso da parte di Genna alla forma del romanzo di complotto (P2, crack del Banco Ambrosiano, sequestro Orlandi, Lupi Grigi, mafia etc.), ricorso molto diverso dal “raffreddamento” reazionario e dalla riduzione a cliché che la forma ha subito in proposte narrative sempre più formulaiche. Dopodiché, Chimenti recupera le teorie dell’antropologo francese René Girard per rintracciare nel romanzo vittime e capri espiatori. Con l’importante precisazione che la “vittima” (qui Bettino Craxi) non è necessariamente l’innocente o il senza-potere, anzi, il capro espiatorio più ricorrente nella storia è il re spodestato. Invece oggi, soprattutto in Italia, il descriversi come “capro espiatorio” equivale al dirsi meno colpevole e dunque – per le tipiche traslazioni del discorso pubblico italiano – non-colpevole e da riabilitare. Anzi, praticamente già riabilitato.

Filippo La PortaTra gli altri interventi, segnaliamo quello di Mattia Carratello, che cerca di capire come mai gli scrittori italiani che si muovono nel popular sentano l’esigenza di discutere pubblicamente le loro scelte e la loro poetica, arrivando a proporre in prima persona sigle, definizioni e apparati concettuali.
Un intervento pungolante e “critico” nei confronti del NIE è quello dello scrittore Giulio Leoni, che accetta l’esistenza della “nebulosa” ma non la genealogia e la descrizione che ne fa il memorandum di WM1.
L’intervento meno interessante, almeno per quanto riguarda il NIE, è quello del solito Filippo La Porta (nella foto): nella parte di intervento che dedica al tema, il La Porta si limita, per l’ennesima volta, a copiare e incollare (con piccole modifiche) un articoletto uscito due anni fa sul “Corriere della sera”.
A quale scopo il La Porta riciccia pluriennalmente le stesse quindici righe? Forse le ripropone perché esprimono concetti fondamentali, che vale la pena ribadire finché non entreranno nelle teste di tutti. E allora ribadiamone uno anche noi:
«Ma non lo sanno i Wu Ming che in Italia non abbiamo l’epica proprio a causa della centralità della famiglia: la famiglia è incompatibile con l’avventura!»

A parte il calo fisiologico (non c’è raccolta che non abbia un momentaneo debito d’ossigeno), questa è una delle migliori trattazioni del NIE che ci sia capitato di leggere.
Roma Noir 2010 costa €11 e si può ordinare qui.

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VARSAVIA

E’ imminente anche la pubblicazione del volume Finzione Cronaca Realtà / scambi, intrecci e prospettive nella narrativa italiana contemporanea, che raccoglie gli atti del convegno internazionale “Fiction, Faction, Reality”, tenutosi il 9 e 10 novembre 2009 all’Università di Varsavia.
Numerosi gli interventi che parlano di NIE o si collegano al dibattito sul NIE. Li elenchiamo di seguito:

– “Realismo e allegoria nella narrativa italiana contemporanea” (Alberto Casadei)

– “Fra narrativa e saggismo: un patto tra le generazioni” (Emanuele Zinato)

– “Da Luther Blissett a Wu Ming: la poetica della letteratura rivoluzionata” (Izabela Napiórkowska)

– “La transmedialità nella narrativa italiana contemporanea: gli effetti non laterali del NIE. Wu Ming, Evangelisti e il cross-over” (Inge Lanslots)

– “Il New Italian Epic e la costante tematica della morte del Vecchio” (Marco Amici)
[ Di questo intervento è disponibile l’audio (17 minuti) ]

– “A più voci. Testimonianze e narrazione nell’opera di Alessandro Portelli e dei Wu Ming” (Emanuela Piga)

– “La vita postuma delle parole. Note su un uso narrativo dell’archivio in Asce di guerra, di Wu Ming” (Dimitri Chimenti)
[ Di questo intervento è disponibile l’audio (20 minuti) ]

– “La lingua moderna dei romanzi storici” (Mirko Tavosanis)

– “Il primato della tragedia: Io sono loro di Giuseppe Genna ovvero le falle della critica contemporanea” (Stefania Lucamante)

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ALTRE USCITE

Emanuela Patti e Dimitri Chimenti, “Oggetti Narrativi non Identificati”, Loop n. 9, settembre 2010
Leggibile/scaricabile qui

Emanuela Patti, “Nuova narrativa e comunità transmediale. Autorialità e forme ibride di narrazione tra realtà finzionale e finzione reale”, in Lid’O. Lingua italiana oggi (uscita imminente, gennaio 2011).

Emanuela Piga, “Una storia dalla parte sbagliata della storia: Manituana dei Wu Ming”, in AA.VV., Memoria e Oblio: le Scritture del Tempo, a cura di Carlo Alberto Augieri e Niccolò Scaffai, “Compar(a)ison. An International Journal of Comparative Literature”, Peter Lang, Vol.3, 2009, pp. 29-35.

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LINK CORRELATI

Da Giap: “Live in Pavia 2010”
Wu Ming 1 e Wu Ming 2 discutono di New Italian Epic e altro con Carla Riccardi, docente di Letteratura italiana all’Università di Pavia. Audio suddiviso in otto MP3 titolati e ascoltabili in streaming.

NOTE

Il dottor Cruciani1. Cfr. “LA SUA BATTAGLIA. Il dottor Cruciani, l’impunito Battisti e le menzogne del culturame, Carmilla, 15 giugno 2010.
«Un intero libro contro Carmilla! Accidenti, che onore! Noi, secondo l’autore (il dottor Giuseppe Cruciani, titolare della rubrica La Zanzara su Radio 24, collaboratore di Panorama e di La 7), saremmo una lobby di inaudita potenza, capace di mobilitare fior di intellettuali di destra e di sinistra (da Erri De Luca a Tiziano Scarpa a Marco Müller, da Bernard Henri-Lévy a Philippe Sollers a Gabriel Garcîa-Márquez) in giro per il mondo.»

2. Cfr. il “quasi-Giap” del 23 ottobre 2006, in cui furono raccolti commenti su Saviano e Gomorra all’indomani dell’assegnazione della scorta
«…Cerchiamo di non diffondere ulteriormente il virus concettuale, il “meme” di Roberto – Saviano – nostro – candidato – al – martirio. E attenzione, è un meme che precede queste minacce, era già in circolazione da tempo, solo che gli ultimi eventi hanno ulteriormente abbassato le difese immunitarie del discorso pubblico.»

3. “Wu Ming – Tiziano Scarpa: Face Off”, PDF, cfr. in particolare il capitolo 2 (“Il simbolo-Saviano”).

4. Commento di “Behemoth” in calce al post “La costruzione ideologica dell’immaginario: mito e realtà della banda della Magliana”, 28 dicembre 2010.

5. Dell’alquanto rafaçonado libro di Alessandro Dal Lago ci siamo occupati a fondo nel post “L’uomo che sparò all’autore di Gomorra, 22 giugno 2010.

6. Nei passaggi in cui parla di NIE, il La Porta ripropone cose già scritte e da noi commentate; sul libro del Ferroni, vedasi questo post del luglio scorso.

7. Qui la scheda del libro di Gàmbula e Muzzioli. Se lo ordinate passando per questo link, Carmilla prenderà una percentuale sul prezzo di copertina e voi avrete contribuito alle spese di server.

Book Bloc a Genova

INDICE 1. Premessa della redazione di “Carmilla” 2. Overcoming Postmodernism: esce in UK la prima monografia critica sul NIE 3. Lorenzo Fabbri, “Romanzo criminale: la produzione di storia e l’esistenza dell’Italia” (saggio tratto dal libro Pop filosofia, a cura di Simone Regazzoni) 4. STRROOOKKK! Una mega-discussione su Lipperatura, riproposta in versione più leggibile (pdf) 5. Finalmente on line La salvezza di Euridice di Wu Ming 2 6. Segnalazioni: Alberto Sebastiani su Calvino, Chimenti-Coviello-Zucconi su New Italian (Media) Epic

PREMESSA

Quando più di due anni fa, nell’aprile 2008, Wu Ming 1 mise on line il primissimo abbozzo del suo “memorandum” sul New Italian Epic [...]]]> Letteratura!

INDICE
1. Premessa della redazione di “Carmilla”
2. Overcoming Postmodernism: esce in UK la prima monografia critica sul NIE
3. Lorenzo Fabbri, “Romanzo criminale: la produzione di storia e l’esistenza dell’Italia” (saggio tratto dal libro Pop filosofia, a cura di Simone Regazzoni)
4. STRROOOKKK! Una mega-discussione su Lipperatura, riproposta in versione più leggibile (pdf)
5. Finalmente on line La salvezza di Euridice di Wu Ming 2
6. Segnalazioni: Alberto Sebastiani su Calvino, Chimenti-Coviello-Zucconi su New Italian (Media) Epic

PREMESSA

Quando più di due anni fa, nell’aprile 2008, Wu Ming 1 mise on line il primissimo abbozzo del suo “memorandum” sul New Italian Epic (nome di comodo e dichiaratamente transitorio, a cui si sarebbero feticisticamente affezionati più i detrattori che gli estimatori) nessuno poteva immaginare che nell’estate 2010:
– il dibattito sarebbe stato ancora rovente;
– parte della critica e dell’accademia italiana sarebbe stata ancora intenta a sparare con la mitraglia dalle feritoie di bunker di marzapane;
– sarebbero fioriti convegni sul tema in tutto il mondo e la prima monografia critica sul NIE sarebbe uscita in inglese a opera di una delle più importanti istituzioni accademiche del Regno Unito.
Eppure è così: ci ritroviamo al terzo anno di discussione, e l’interesse non scema. Soprattutto, non scema il rancore. Fenomeno tutto italiano.

Se alcuni autorevoli studiosi di generazioni precedenti (pensiamo ad Alberto Asor Rosa e Angelo Guglielmi, i cui pareri citavamo nello “Speciale New Italian Epic” del gennaio scorso) riconoscono senza problemi che il “memorandum” e il dibattito che ne è seguito hanno fornito contributi utili a capire cosa si sia scritto in Italia negli ultimi anni (e con quale etica si sia scritto), molti hanno preferito reagire in tutt’altri modi: con l’invettiva disinformata, ii dileggio, le battutine, le allusioni e insinuazioni. Una prassi che non è riservata solo a NIE e dintorni, ma ricade a pioggia su qualunque cosa abbia il torto di muoversi (anziché stare ferma e confermare che tutto è morto). Questa prassi è proprio la “cifra” di una critica baronale, trombonesca, reazionaria e – per fortuna – agonizzante.
Non è questa la sede per passare in rassegna i riflessi condizionati, le buffe mossette meccaniche e i poveri espedienti con cui i negazionisti letterari (quelli che la letteratura italiana contemporanea non esiste, non esce quasi nulla di buono etc.) cercano di mettere nella loro prosa un altolocato distacco che in realtà è solo altezzoso ritardo. Forse basterà riportare lo stralcio di una recensione al pamphlet di Giulio Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero (Laterza, 2010), avvertendo che su Anobii altre recensioni rilevano le stesse vaghezze e la stessa povertà di argomentazioni:

Giulio FerroniHo comprato il saggio di Ferroni, l’ho letto e mi sono venute in mente molte domande.
Perché in un saggio che si occupa del mondo della letteratura (che come sappiamo è composto da tanti attori: scrittori, editor, editori, distributori, promotori, lettori, critici) e denuncia l’eccesso di produzione libresca non viene citata né una statistica, né un ordine di grandezza, né un dato di sintesi, né un andamento, né un report, né un’analisi numerica?
Perché alcuni riferimenti a persone vengono proposti in forma anonima? Perché Ferroni scrive «qualcuno ha coniato un’apposita etichetta piuttosto balzana in verità, quella di New Italian Epic, distorcendo completamente ogni possibile accezione di “epica”» e non nomina mai i padri di quell’etichetta, cioè Wu Ming? Perché Ferroni scrive «una famosa scuola di scrittura (…) il cui leader, de cuyo nombre no quiero acordarme, si è dato anche al cinema» e non fa il nome di quella scuola (la Holden di Torino) e il nome del suo “leader” (Alessandro Baricco)? Perché Ferroni scrive, a proposito degli intellettuali italiani, che sono impegnati «nella gestione del proprio latifondo o del proprio orto (che è paradossalmente tanto più forte in coloro che si pretendono alternativi ed antiistituzionali)» e non fa neanche un nome di questi intellettuali (a maggior ragione di quelli che si pretendono alternativi e anti-istituzionali)? Qual è il fine di questo esercizio retorico per cui un nome viene solo suggerito e non dichiarato esplicitamente (lo ricordo: all’interno di un saggio che vuole indagare un aspetto molto preciso della condizione del mercato editoriale)?
[…] Se le due soluzioni proposte da Ferroni al termine del suo saggio (in estrema sintesi: più racconti, più autofiction) sono valide, l’applicazione di tali soluzioni è cosa che riguarda solo gli scrittori? Non riguarda anche tutti gli altri attori del sistema editoriale (appunto: editor, editori, distributori, promotori, lettori e critici)? Perché allora l’ultimo capitolo del saggio di Ferroni, capitolo che si intitola «Responsabilità e destino», si chiude con una domanda («Ci saranno nel nostro paese scrittori all’altezza di questa necessità?») che sembra far ricadere sulle spalle dei soli scrittori tutta la responsabilità, appunto, dell’auspicata “ecologia del libro, capace di operare distinzioni nell’immenso accumulo del materiale librario prodotto”? (F. Platania, “Scrivere meno, scrivere meglio?”, 23/06/2010)

Va precisato che Federico Platania non può certo dirsi uno sfegatato fan di Carmilla o di Wu Ming o di PolifoNIE o del nuovo epico italiano. Se lo citiamo è esclusivamente perché abbiamo apprezzato la sua recensione.
Andrebbe anche fatto notare che:
– il racconto breve è largamente praticato dagli autori le cui opere sono state citate nel “memorandum” sul NIE;
– molta “autofiction” recente (da Gomorra a Sappiano le mie parole di sangue passando per Dies irae, Italia De Profundis, Il bambino che sognava la fine del mondo etc.) è stata inclusa nella “nebulosa” del NIE.
Ora, qual è il problema? Che in Italia di persone che si comportano come Ferroni non finiranno mai le scorte.
Ma chiudiamo la parentesi sulle reazioni ostili e puerili, e ragioniamo sull’impatto positivo, sui riverberi ispiranti, sulle ricadute di riflessione utile e pars construens.
In questo speciale diamo alcune news italiane e internazionali, ci occupiamo della filosofia di Romanzo criminale e, dulcis in fundo, in collaborazione con Lipperatura mettiamo a disposizione un prezioso pdf intitolato STRRROOOOKKK!.

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University_of_London.jpgOVERCOMING POSTMODERNISM
Sulle faccende italiane, in Gran Bretagna c’è, ovvio, maggiore distacco. Questo riguarda anche le faccende letterarie italiane. Faide accademiche ne esistono anche là, ma riguardano altri temi, altri mondi. Cazzi loro. Se vedono che in Italia si muove qualcosa, che c’è un dibattito fervido, che sono usciti libri che qualcuno giudica importanti, allora decidono di occuparsene. Why not? Contattano degli italianisti e dicono loro: “Perché non scrivete di questo?”. Non vedono un discorso come una minaccia, non ragionano in termini di delegittimazioni reciproche, non sentono barcollar di cadreghe. E poi l’università funziona in un altro modo, che ha i suoi difetti e anche belli grossi, ma almeno stimola alla ricerca, allo studiare, al pubblicare. Ci sono meno docenti che, una volta conquistata la cattedra prestigiosa, si “siedono” e si chiudono a tutto ciò che viene après d’eux. E se après d’eux viene le dèluge, cosa impedisce di analizzare le dèluge?
Così capita che la redazione del Journal of Romance Studies, pubblicazione dell’University of London, chiede ad alcuni ricercatori italiani (“cervelli in fuga”) di curare un numero speciale, monografico, sul dibattito NIE. Gli interventi vengono scritti, “peer-reviewed”, corretti e finalmente dati alle stampe. Overcoming Postmodernism: The Debate on New Italian Epic è curato da Claudia Boscolo, è appena uscito e contiene i seguenti saggi:
– Marco Amici “Urgency and visions of the New Italian Epic”;
– Claudia Boscolo, “The idea of epic and New Italian Epic”;
– Dimitri Chimenti, “Unidentified Narrative Objects: notes for a rhetorical typology”;
– Emanuela Piga, “Metahistory, microhistories and mythopoeia in Wu Ming”;
– Rosalba Biasini, “Reconsidering epic: Wu Ming’s 54 and Fenoglio”;
– Emanuela Patti, “Petrolio, a model of UNO in Giuseppe Genna’s Italia De Profundis“;
– Monica Jansen, “Laboratory NIE: mutations in progress”.
L’introduzione di Claudia Boscolo è disponibile qui.

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Pop filosofiaROMANZO CRIMINALE: LA PRODUZIONE DI STORIA E L’ESISTENZA DELL’ITALIA
A proposito di “cervelli in fuga” che si occupano di NIE: Lorenzo Fabbri è dottorando in Italianistica alla Cornell University (NY). Si occupa anche di filosofia, ha pubblicato articoli su Derrida, Rorty e Agamben. E’ autore del libro L’addomesticamento di Derrida. Pragmatismo / Decostruzione (Mimesis, 2006). Sta curando un numero speciale della rivista Diacritics sulla filosofia italiana contemporanea.
Di recente è uscito in Italia, per i tipi del Nuovo Melangolo, un libro dal titolo Pop Filosofia, curato da Simone Regazzoni. L’uscita ha subito sollevato un vespaio, con alcune “scomuniche” da parte dei filosofi “seri” (memorabile una puntata di Fahrenheit con Regazzoni e Nicla Vassallo). Si tratta di un’antologia di interventi filosofici sulla cultura pop, o meglio: di interventi sulla filosofia contenuta in alcune opere pop, dai film di Peckinpah all’animazione giapponese, da Watchmen al serial TV Mad Men. Tempo fa Carmilla ha pubblicato il Prologo scritto da Regazzoni, in cui sono espliciti i riferimenti al NIE e la “cuginanza” con quello che sta accadendo in letteratura:

[La Pop filosofia] è una nuova forma di avanguardia filosofica.
Un’avanguardia che si lascia alle spalle la strategia dell’illeggibilità e che guarda con interesse a quanto accade nel campo della nuova letteratura italiana che si muove nel popular […] In quello che è senza dubbio il testo teorico sulla letteratura più importante degli ultimi anni, New Italian Epic di Wu Ming 1, leggiamo: “Le opere Nie stanno nel popular, lavorano con il popular. I loro autori tentano approcci azzardati, forzano regole, ma stanno dentro il popular e per giunta con convinzione, senza snobismi, senza il bisogno di giustificarsi di fronte ai loro colleghi ‘dabbene”. E ancora: “La sperimentazione avviene nel popular”.
[…] Pop filosofia è qui intesa come avanguardia filosofica insieme sperimentale e popolare che fa propria una formula usata da Eco nelle Postille a Il nome della rosa. “Raggiungere un pubblico vasto e popolare i suoi sogni, significa forse oggi fare avanguardia e ci lascia ancora liberi di dire che popolare i sogni dei lettori non vuol dire necessariamente consolarli. Può voler dire ossessionarli”

Nella sezione “New Italian Epic”, Pop filosofia contiene un brillante saggio di Lorenzo Fabbri dedicato a Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo. Prende le mosse da Pasolini e la sua celebre riflessione sulle “vite romanzesche” messe a rischio dall’omologazione neo-capitalistica, passa a descrivere la “strategia della tensione” e da lì si fionda su Romanzo criminale, libro ritenuto una vera e propria arma da raccattare sulla linea di fuga con cui ci sottraiamo alla “società di controllo”. Durante il tragitto, il saggio getta occhiata di qua e di là “come palline da ping-pong” (metafora usata da Demetrio Stratos nel descrivere le sue improvvisazioni diplo- e triplofoniche): paralleli con Il Divo di Sorrentino, il mito, la storia… Abbiamo chiesto ad autore e curatore il permesso di riproporlo qui in PDF. Permesso accordato.

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Letteratura - non uno sport per mezze pugnette.
STRROOOKKKK! Nei giorni scorsi, sul blog Lipperatura si è svolta una lunga, densissima, divertentissima, avvilentissima, entusiasmantissima, frustrantissima, appagantissima discussione (che prosegue, anche se ormai è impercorribile: siamo oltre i 600 commenti, oltre un centinaio di schermate!) sui rapporti tra letteratura, critica, editoria, Internet, mercato e… popolo. Sono intervenuti scrittori, critici, giornalisti, editor e – soprattutto – lettori. Lettori appassionati. Si è discusso davvero di tutto, tutte le linee di forza del campo letterario sono state evidenziate: cos’è letteratura e cosa no, quali sono i rapporti tra letteratura “alta” e letteratura popolare, che ruolo ha il godimento nella lettura, che funzione ha la critica oggi, come si muovono in rete gli editori, come si muovono in rete gli scrittori, come impedire che libri validi vadano fuori catalogo e diventino irreperibili, differenze tra reperibilità on line e reperibilità nelle librerie fisiche, differenze tra copyleft e pirateria, buono e cattivo uso della pirateria, e in questo marasma sono stati consigliati molti libri, proposti molti link, rovesciati alcuni “fronti”. E ovviamente, il NIE, il “memorandum” e il dibattito successivo sono stati tirati in ballo parecchie volte, e in certe fasi sono stati la materia del contendere.
Purtroppo Lipperatura – a differenza, ad esempio, di Carmilla e Giap – non ha in calce ai post l’opzione “Versione stampabile”. Al momento, se uno prova a stampare una discussione, spreca almeno 7 fogli A4 perché il browser stampa ogni elemento della schermata (colonnini, archivi, banner pubblicitari etc.). D’altro canto, vale davvero la pena seguire quel thread, che però ormai occupa troppe schermate, e per giunta il font è piccolissimo.
Così, di concerto con Loredana Lipperini, si è deciso di copiarlo, incollarlo in un pdf editor e ri-impaginarlo. Il pdf è stato chiuso a 550 commenti, altrimenti non finiva più. Titolo e sottotitolo diverranno più chiari durante la lettura. Davvero, merita. Scaricatelo. E’ qui.
NOTA BENE. Si raccomanda anche una proficua azione di de-bugging. L’intero thread è stato trasformato prima in un XML e poi impaginato con Adobe InDesign C5. Ovviamente, trattandosi di un testo elefantiaco lavorato in pochissimo tempo per mettere subito il testo a disposizione, ci sono stati problemini, ad esempio ieri sera un partecipante alla discussione si è accorto che era saltato un suo pingback ed è stato subito re-inserito. Poi nell’ultimo salvataggio InDesign non aveva preso il font e lo aveva sostituito con uno più canonico, un Verdana. Ora c’è di nuovo quello giusto. Insomma, una cosa così è in perenne versione Beta. Chiunque di voi si accorga che manca qualcosa rispetto al thread (tenendo presente che sono solo i primi 550 commenti e quindi non vale dire che ne manca uno di quelli successivi), lo segnali qui, grazie.
UPDATE 07/07/2010. In rete si trova anche un pdf più spartano che riproduce la discussione fino al 769esimo commento. Più leggibile del thread in HTML, meno agevole da stampare di STROOOKK! (sono 279 fogli A4). Chi lo vuole se lo pigli, è il bello della rete..

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LA SALVEZZA DI EURIDICE. La salvezza di Euridice, scritto da WM2, è il saggio che conclude il libro New Italian Epic. Narrazioni, sguardi obliqui, ritorni al futuro (Einaudi, gennaio 2009). Diversi recensori e commentatori del libro lo hanno ignorato, per un motivo molto semplice: non hanno letto il libro, bensì il memorandum. Hanno pensato che la versione su carta fosse uguale a quella on line. Quindi non hanno visto che il memorandum stesso era diventato tutt’altra cosa (la versione 3.0, composta da due saggi distinti), e che c’era un lungo saggio finale su cosa sono le narrazioni, quale può essere oggi l’etica di un narratore, quali convinzioni stanno alla base del lavoro in rete di molti scrittori etc. Per un sovraccumulo di impegni, i Wu Ming non avevano ancora messo il saggio on line. Ora stanno colmando la lacuna, pubblicandolo su Giap in tre puntate settimanali. La prima è qui, la seconda qui. Buona lettura.

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SEGNALAZIONI VARIE

Alberto Sebastiani, “Modelli reali o presunti: la presenza di Calvino nella letteratura contemporanea
In questo saggio l’italianista Alberto Sebastiani indaga le influenze, palesi o nascoste, di Italo Calvino nella letteratura italiana degli ultimi trent’anni. L’ultima parte del saggio indaga le citazioni di Calvino presenti negli scritti di autori della “nebulosa” NIE, oltreché nel “memorandum” stesso. La scelta stessa della parola “memorandum” viene correttamente collegata al precedente dei “memos” calviniani per le Lezioni americane.

D. Chimenti, M. Coviello, F. Zucconi, “New Italian (Media) Epic: riflessi di un dibattito
Introduzione al bilancio del laboratorio NI(M)E tenutosi alla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano negli ultimi mesi del 2009.
“Scopo principale del laboratorio sarebbe stato di verificare le condizioni di applicabilità della riflessione sul fenomeno del New Italian Epic in campo audiovisivo. Si trattava, in altre parole, di cercare un’apertura, un varco che consentisse di passare dalla parola letteraria all’immagine filmica. Sfida che accettammo con entusiasmo. Non avevamo però alcuna intenzione di fare un copia-incolla concettuale delle tesi esposte da Wu Ming, perché questo avrebbe ridotto il suo saggio ad una sorta di manifesto. Ad interessarci era piuttosto la possibilità di introdurre e declinare alcuni nodi problematici inediti, con la pretesa, perché no, di
integrare la discussione iniziata con il memorandum […] Al termine del laboratorio, come verifica finale, abbiamo chiesto agli studenti di fare un esercizio di analisi testuale su un testo filmico tra quelli che avevamo visto e discusso. Tra gli oltre trenta elaborati ce n’erano alcuni che ci sono parsi subito eccezionali, e limitarci a contrassegnarli con un bel voto non ci pareva abbastanza.”
Leggi tutta l’introduzione in pdf.

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SPECIALE NEW ITALIAN EPIC – TERZO ANNO DI DIBATTITO https://www.carmillaonline.com/2010/01/06/speciale-new-italian-epic-te/ Wed, 06 Jan 2010 03:31:29 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3299

INDICE 1. PREMESSA DI WU MING 1: LO “SFONDAMENTO” 2. SEGNALAZIONI 2a. Bart Van den Bossche, “Epic & Ethics. Il NIE e le responsabilità della letteratura” 2b. La rivista dei gesuiti prende di petto il NIE 2c. Audio. Marco Amici, “La morte del Vecchio nel New Italian Epic” 2d. Overcoming Postmodernism, prima monografia in inglese sul NIE 2e. Conferenze a Berkeley e Toronto 2f. Chimenti-Coviello-Zucconi, “Il discorso letterario alla prova del reale” 3. PER UNA NARRATIVA DELLA CRISI – di Valentina Fulginiti

2008-2010: LO “SFONDAMENTO”

di Wu Ming 1

sfondiamo.pngDuemilaeotto, duemilaenove e adesso duemilaedieci. Si entra [...]]]> eracle_sorridente.png

INDICE
1. PREMESSA DI WU MING 1: LO “SFONDAMENTO”
2. SEGNALAZIONI
2a. Bart Van den Bossche, “Epic & Ethics. Il NIE e le responsabilità della letteratura”
2b. La rivista dei gesuiti prende di petto il NIE
2c. Audio. Marco Amici, “La morte del Vecchio nel New Italian Epic”
2d. Overcoming Postmodernism, prima monografia in inglese sul NIE
2e. Conferenze a Berkeley e Toronto
2f. Chimenti-Coviello-Zucconi, “Il discorso letterario alla prova del reale”
3. PER UNA NARRATIVA DELLA CRISI – di Valentina Fulginiti



2008-2010: LO “SFONDAMENTO”

di Wu Ming 1

sfondiamo.pngDuemilaeotto, duemilaenove e adesso duemilaedieci. Si entra nel terzo anno di discussione.
Nell’aprile 2008, proprio qui su Carmilla, misi on line la prima versione del “memorandum”, raccolta di appunti su un vasto e variegato insieme di libri scritti in Italia durante la Seconda Repubblica.
Per descrivere quel corpus di opere usai la metafora della “nebulosa”: una nube interstellare di particelle, idrogeno e plasma.
Si trattava di una lettura a posteriori: la luce emessa o riflessa dalla nebulosa (come ogni luce che ci arriva dal cosmo) giungeva a noi dal passato. Una lettura a posteriori, fatta a partire da alcune somiglianze, da una perturbante “aria di famiglia” che cercai di scomporre in sette caratteristiche e riassumere (quasi “zippare”) in un’espressione di comodo: “New Italian Epic”.
Dal punto di vista metodologico, tentavo un’operazione simile a quella compiuta nel 1955 da Raymond Borde ed Etienne Chaumeton nel loro libro rompi-ghiacchio Panorama du film noir américain (1941-1953). Nell’intenzione dei due critici, l’etichetta “film noir” serviva a circoscrivere un corpus di film girati a Hollywood, aventi in comune caratteri “onirici, insoliti, erotici, ambivalenti e crudeli”. Gli stessi Borde e Chaumeton avvertirono che stavano semplificando, che non tutti i film presentavano tutte le caratteristiche: alcuni erano onirici ma non erotici, altri molto crudeli ma poco ambivalenti etc. Tuttavia, i cinque aggettivi (ripresi dal dibattito sul surrealismo) definivano un’aria di famiglia, qualcosa di più vago di un “filone” o di un “genere”, ma non per questo meno riconoscibile, anzi.
In seguito, l’espressione ibrida “film noir” (sostantivo inglese + aggettivo e sintassi francesi) venne adottata anche negli USA e in generale in tutto il mondo.
[Analoga sorte sarebbe toccata dieci anni dopo a un’altra espressione ibrida, “Spaghetti western”: sostantivo italiano usato come aggettivo + aggettivo sostantivato inglese.]

tomwolfe.jpgUn’altra operazione che viene in mente è quella compiuta da Tom Wolfe nell’introduzione all’antologia The New Journalism (1973). Persino le polemiche che seguirono ricordano molto da vicino quelle esplose intorno al memorandum. I detrattori di Wolfe dissero che il “New Journalism” non era davvero nuovo, che gli esempi fatti avevano troppo poco in comune, che la sua raccolta escludeva questo e quello, che uno scrittore non poteva fare anche il critico, che la sua era solo auto-promozione. E anche in quel caso una lettura a posteriori, che guardava all’indietro (a quanto scritto nei dieci anni precedenti), venne strumentalmente presentata come una lettura a priori, cioè un manifesto, una dichiarazione programmatica.
Oggi dici “New Journalism”, ed è chiarissimo di cosa stai parlando.

Il sottotitolo del memorandum indicava un preciso arco temporale, un periodo di tre lustri, dal 1993 (anno del crollo della “Prima Repubblica”) al 2008 (anno del grande bagno di sangue della sinistra italiana, ma anche – lo capiremo andando avanti – ultimo anno di gloria del berlusconismo), con un “giro di boa”, un salto di livello situato all’altezza del 2001 (G8 di Genova, 11 Settembre).
Nel momento in cui il dibattito ha iniziato a sondare la “nebulosa” del NIE, è stato chiaro a tutti gli autori menzionati che una fase era terminata. L’osservazione modifica l’oggetto osservato. Se nel periodo preso in esame tanti autori italiani, semi-consapevolmente, avevano scritto opere che in diversi modi si richiamavano tra loro, entravano in risonanza, riverberavano l’una nell’altra, dopo il memorandum e due anni di dibattito, la consapevolezza e lo sguardo retrospettivo hanno cambiato la condizione in cui si scrive. Il NIE è già diventato qualcos’altro. La nebulosa ha cambiato densità e profilo. Siamo oltre.

Spetta all’autore spiazzare continuamente, e al critico cercare di seguirne il percorso. Quando autore e critico sono la stessa persona, è la prima funzione a dover prevalere sulla seconda. Io mi diverto di più a scrivere narrativa, è quello che amo fare. Se ho messo i piedi nel piatto della teoria letteraria è perché c’era un vuoto, un’assenza dei critici. Per dirla con il collega Nicola Lagioia:

lagioiaa.jpg“i lettori italiani si fidano sempre meno dei loro tradizionali mediatori culturali. Ho assistito a molti dibattiti in cui i soloni delle nostre lettere rimestavano fino alla morte Adorno, Horkheimer e Andy Warhol per giustificare storicamente concetti quali la «morte della critica militante». Mai uno però che provasse a fare meaculpa sollevando il velo sulla natura di tante recensioni professionali: pezzi scritti spesso in batteria, prevedibili, mancanti di passione o in trasparenza servili o astiosi o stiticamente entusiasti quando non inutilmente cervellotici, il cui vero destinatario non è mai il lettore ma altri addetti ai lavori («e allora perché non ricorrere alle mail collettive invece che a un quotidiano nazionale»? mi sono spesso domandato).”

Il memorandum è stato un invito a colmare quel vuoto. All’invito ha risposto una nuova generazione di studiosi, spesso cervelli fuggiti dall’Italia perché frustrati nella loro voglia di esplorare, tenuti ai margini dell’università e dell’accademia.

Col tempo pare essersi verificato uno “sfondamento”. Ci si guarda alle spalle e si è costretti ad ammettere che da molti anni non aveva luogo un dibattito così esteso, trasversale e appassionato sulla letteratura italiana, il suo presente e il suo futuro. E’ l’unico vero dibattito degli ultimi tempi. Alcuni tentativi di “contro-dibattito diversivo” sono rimasti in ambito settario/settoriale, limitati a pochi addetti ai lavori.
Qualche settimana fa, su Repubblica, Alberto Asor Rosa scriveva:

asorrosa.jpg“Di tutto si può disputare e dubitare meno che dei dati certi. E i dati certi sono che in Italia c’ è stata negli ultimi anni un’ impetuosa fioritura di giovani autori di narrativa. In quali direzioni, con quali tratti comuni (ammesso che ce ne siano)? Com’è noto, fino a qualche decennio fa ragionamenti critici di tendenza e ricerca creativa crescevano il più delle volte di conserva e si aiutavano a vicenda. È un dato certo oggi anche la scomparsa pressoché totale del primo elemento dell’ endiade (la critica): la conseguenza è che gli «autori», nel caso specifico i narratori, navigano a vista, al massimo con il sussidio, non sempre disinteressato, degli ufficiali di macchina ben piazzati sui ponti di comando delle case editrici. Volgendosi intorno, l’ unico tentativo recente di sistemazione teorico-letteraria di tale materia degno di questo nome è New italian epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro di (dei?) Wu Ming (Einaudi, Stile libero, 2009), altamente meritorio per il solo fatto, – raro, ripeto, – di entrare nel merito.”

Dalle pagine de L’Unità, Angelo Guglielmi gli rispondeva premettendo:

“…tu esalti il fenomeno, compiacendoti della novità e riconoscendo che il primo avvistatore della tendenza e suo efficace (e meritorio) analista è stato il gruppo Wu Ming, che ha indicato il punto d’incontro dei nuovi scrittori e, più specificamente, delle loro opere […] Capisco quel che tu dici e rispetto quel che Wu Ming scrive, ma ti chiedo…”

Dopo aver letto questo scambio, ci siamo chiesti: “Hanno messo LSD negli acquedotti?”. No, nessun complotto “yippie” per estendere l’area della coscienza. Semplicemente, dopo il polverone del primo anno e dopo che si è esaurito il “fuoco di sbarramento”, forse si può ragionare tranquillamente e senza steccati. Se persino gli ultra-ottantenni più novecenteschi e novecentisti decidono di dare per scontato che col NIE bisogna fare i conti (come farli è un’altra questione), vuol dire che un sentiero è stato tracciato.

Riguardo all’influenza del memorandum sugli scrittori e le scrittrici di oggi e domani: credo che le più grosse sorprese arriveranno da autori in apparenza distantissimi, le cui opere dialogheranno con il NIE in maniera sottile, per nulla pedissequa. Il più grosso errore, oggi, da parte di qualunque autore (giovane o meno), sarebbe partire dalle caratteristiche enunciate un anno e mezzo fa per scrivere romanzi forzati, coatti, che rispettino ogni punto. Si finirebbe per aderire alla lettera tradendo però lo spirito. Infatti abbiamo parlato di “sguardi obliqui”, e anche lo sguardo sull’eredità del NIE dev’essere obliquo.

Possiamo solo andare avanti. Ai problemi che si trova di fronte, lo scrittore può rispondere soltanto con la prassi, sperimentando diversi rapporti tra narrazione e comunità, tra letteratura e mondo. Le storie sono la materia dei legami sociali, non ci sarebbe uno stare insieme senza la narrazione. Ovviamente, esiste uno stare insieme “cattivo”, cementato da cattive storie, vedasi le riflessioni sul “mito tecnicizzato” di Kerenyi e Jesi, da noi riprese in diverse occasioni. La sfida è trovare storie che siano garanzia di uno stare insieme “buono”, fondativo, costruttivo, ma al tempo stesso non siano schematiche, semplicistiche, consolatorie. E’ il solito discorso, la solita sfida: il difficile connubio tra complessità (etica, narrativa, filosofica etc.) e dimensione popolare. Essere esigenti ma anche popolari. Essere popolari ma anche esigenti. “Esigenti” significa volere lettori attenti, partecipi, vigili e tesi al dialogo. Con il lettore succube e massificato tipo fila per gli autografi al festival di Mantova, con quel genere di lettore, può esserci solo uno stare insieme “cattivo”. Ma attenzione: nessun lettore è sempre e solo succube o sempre e solo partecipe. Ciascuno di noi ha momenti di maggiore o minore passività. Dipende dall’occasione, dal contesto, dal messaggio che si riceve, dalla stanchezza di fine giornata. Occorre una letteratura che sappia penetrare questi strati come un dardo, e anche nei momenti di “entertainment” non rinunci a cercare e pungolare lo spirito critico.


loyola.jpg LA RIVISTA DEI GESUITI PRENDE DI PETTO IL NIE. Nell’ottobre scorso La Civiltà cattolica, rivista ufficiale dei gesuiti, ha dedicato un lungo e approfondito articolo (tredici pagine!) al NIE, firmato dal sacerdote-scrittore-blogger Antonio Spadaro (fondatore del sito Bombacarta).
Concentrandosi sull’ultima parte del memorandum (quella su futuro della specie e sguardo non-antropocentrico), Spadaro riconosce al testo ampiezza e lunga gittata, e al contempo rimprovera l’autore perché nella sua visione non c’è Dio. Dietro quella proposta di “esercizio di visualizzazione” (immaginare il mondo senza di noi) e al suo valore “esorcistico” (= immedesimarsi nell’ecocatastrofe per sfuggire a essa), Spadaro sembra vedere una vera e propria dichiarazione d’intenti nichilistica e post-umana… se non addirittura un auspicio, un “ben venga l’estinzione”. In pratica, la posizione degli ecoterroristi di Guerra agli Umani. Critica interessante, anche solo per il mondo da cui proviene.


libellula.jpg EPIC & ETHICS. IL NIE E LE RESPONSABILITA’ DELLA LETTERATURA. Sul n.1 della nuova rivista di italianistica “La libellula”, Bart Van den Bossche firma un denso saggio critico su memorandum e NIE. Van den Bossche insegna letteratura italiana all’Università di Lovanio (K.U.Leuven). Si occupa di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare dei rapporti fra mito e letteratura. Il suo testo è critico nei confronti del NIE ma in modo dialogico e non distruttivo. Definisce “caricaturale” il modo in cui il memorandum parla del postmodernismo, ma riconosce alla “nebulosa” una peculiarità e la riconosce nella natura dell’allegoria:

“Il fenomeno del NIE così come viene identificato nel Memorandum sembra avere come tessuto connettivo proprio questa matrice allegorica generale di una «urgenza etica» che accomuna testo e contesto: nel circoscrivere il NIE, non si producono soltanto allegorie di naufragi, ma anche un’allegoria della stessa possibilità (o necessità) di proporre al lettore queste allegorie di naufragi. E alcuni fra i fenomeni ed esempi che nel Memorandum occupano una posizione chiave, si contraddistinguono proprio per la tendenza a mettere in luce e a tematizzare le stesse potenzialità allegoriche (comprese le loro implicazioni etiche) degli espedienti narrativi utilizzati. L’ibridizzazione sia endoletteraria che esoletteraria insita negli «oggetti narrativi non identificati» punta in questa direzione, come anche la manipolazione del romanzo di genere, in particolare attraverso l’uso di forme, sottogeneri o versioni i cui ‘effetti di reale’ (che spesso sono saldamente collegati alla storia del genere) vengono non soltanto riattivati ma anche esibiti e sfruttati (non a caso fra le opere NIE si annoverano molti gialli storici, regionali o per così dire ‘antropologici’)…”


toni_bertorelli.jpg LA “MORTE DEL VECCHIO”. Il 9 e 10 novembre 2009 italianisti da tutto il mondo si sono incontrati a Varsavia, Polonia, al convegno “Fiction, faction, reality: incontri, scambi, intrecci nella letteratura italiana dal 1990 ad oggi” , organizzato dal Dipartimento di lingua e letteratura italiana dell’Università di Varsavia e dall’Istituto Italiano di Cultura ( ul. Marszałkowska 72). Molti i panel e gli interventi che hanno fatto i conti, secondo diversi approcci e modalità, con la “nebulosa” del NIE e il dibattito scatenatosi negli ultimi tempi. Dalle registrazioni di quel convegno prendiamo e riproponiamo
l’intervento di Marco Amici sul tema della “morte del Vecchio” nei romanzi NIE (mp3, 17 minuti).
Marco amici (Roma 1975) sta svolgendo un dottorato in Italian Studies all’University College Cork (Irlanda), con una ricerca sul giallo italiano. Si occupa principalmente di letteratura di genere e del rapporto fra narrazione, media e immaginario nell’attuale scenario socioculturale. Ha scritto su diverse riviste, tra cui il “Bollettino di Italianistica”, rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica diretta da Alberto Asor Rosa.
Qui il suo intervento “Il fronte davanti agli occhi. Alcune riflessioni sul New Italian Epic”.
Qui invece il suo saggio “La narrazione come mitopoiesi secondo Wu Ming” (PDF)
[Quello nella foto non è Marco Amici, bensì Toni Bertorelli, che ha interpretato “il Vecchio” nel film tratto da Romanzo criminale]


jnl_cover_jrs.jpg OVERCOMING POSTMODERNISM: THE DEBATE ON NEW ITALIAN EPIC.
“Overcoming Postmodernism” è la prima monografia critica sul New Italian Epic. La prima in inglese, ma anche la prima in assoluto. Si tratta di un numero speciale del Journal of Romance Studies, organo dell’Institute of Germanic and Romance Studies della University of London. Il numero è curato da Claudia Boscolo, uscirà nell’aprile 2009 e conterrà i seguenti testi:
– Marco Amici “Urgency and visions of the New Italian Epic”;
– Claudia Boscolo, “The idea of epic and New Italian Epic”;
Dimitri Chimenti, “Unidentified Narrative Objects: notes for a rhetorical typology”;
Emanuela Piga, “Metahistory, microhistories and mythopoeia in Wu Ming”;
Rosalba Biasini, “Reconsidering epic: Wu Ming’s 54 and Fenoglio”;
Emanuela Patti, “Petrolio, a model of UNO in Giuseppe Genna’s Italia De Profundis“;
Monica Jansen, “Laboratory NIE: mutations in progress”.
Ulteriori dettagli seguiranno.


CONVEGNI NORD-AMERICANI SUL NIE: BERKELEY E TORONTO
Dal 18 al 20 marzo 2010 si terrà alla University of California, Berkeley, l’ottavo incontro annuale della Cultural Studies Association. Nel pomeriggio del primo giorno, nell’ambito della quarta sessione, si terrà il panel “The New Italian Epic between Pulp and political intervention”. Interverranno Giuseppina Mecchia (Associate Professor alla University of Pittsburgh); Claudia Boscolo (Royal Holloway University of London), Dimitri Chimenti (Università di Siena) e Maurizio Vito (Wesleyan University).
Qui il pdf del programma.

Il 7 e 8 maggio 2010, presso il Department of Italian Studies della University of Toronto si terrà il convegno “Negli archivi e per le strade: il ‘ritorno al reale’ nella narrativa italiana di inizio millennio”. Il titolo è ispirato a un passaggio del memorandum sul NIE, in cui si dice che molti autori italiani sono animati da “un desiderio feroce che ogni volta li riporta agli archivi, o per strada, o dove archivi e strada coincidono”. Alcuni dei temi che verranno affrontati nel convegno: Forme ibride tra narrativa e saggistica; Il New Italian Epic; Vantaggi e limiti della narrativa di genere; La narrativa dei nuovi italiani; I collettivi di scrittura; La scrittura nell’era di internet; Morte e vita postuma del post-moderno; La letteratura e i mass-media.
Qui il “call for papers” con descrizione del convegno (file in formato .doc)


chimenti_coviello_zucconi.jpg IL DISCORSO LETTERARIO ALLA PROVA DEL REALE. Prende le mosse dal memorandum, in particolare dall’espressione “oggetti narrativi non-identificati”, un testo apparso poco tempo fa su Nazione Indiana, a firma di Dimitri Chimenti, Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi. Scrive il trio:

“…la proposta di Wu Ming e il successivo dibattito sembrano aver sollecitato un decisivo spostamento dell’approccio critico: dall’identificazione di cosa un’opera letteraria è (quale il suo genere o filone di appartenenza) verso la comprensione di come questa stessa funziona. Così, la proposta di trattare le opere letterarie — e perché no, i film- in quanto “oggetti narrativi non identificati” non costituisce soltanto una definizione di quei lavori caratterizzati da forte contaminazione intermediale che rientrano nel labile canone del New Italian Epic, ma è anche un invito a considerare la testualità della singola opera prima di tutto. Un “oggetto narrativo non identificato” è anche e soprattutto da intendersi come un oggetto narrativo non pre-identificato, ovvero non analizzabile attraverso setacci interpretativi precostituiti o teorie della letteratura permeate di ideologia. È per questo che il NIE andrebbe considerato come una nebulosa in espansione, la mappa in divenire di una geografia centrifuga composta da opere che di volta in volta e secondo modalità singolari prendono in carico il “reale” per metterlo in forma. Piuttosto che inquadrare un canone, il NIE suggerisce un mutamento di atteggiamento critico in relazione agli oggetti e suggerisce un ritorno alla testualità.”


PER UNA NARRATIVA DELLA CRISI

di Valentina Fulginiti *

mancassola.jpgPREMESSA DELL’AUTRICE
Apparso nel giugno 2009 sulle pagine di Tabard, rivista militante bolognese, questo articolo è stato scritto nel dicembre del 2008, sullo spunto delle opposte figurazioni della crisi proposte da due novità editoriali di quei giorni, La vita erotica dei superuomini di Marco Mancassola [nella foto] e Cinacittà di Tommaso Pincio. Da quelle letture partivano nuovi echi e stratificazioni narrative, che guardavano indietro ad altri titoli del panorama editoriale italiano recente. È possibile narrare la fine del mondo? E queste narrazioni, così segnate dai paradigmi distopici e da un immaginario apocalittico, ci offrono un possibile modo per raccontare la crisi del nostro tempo, o piuttosto la irrigidiscono nell’ossessiva ripetizione del trauma?
A oltre un anno di distanza, la questione appare ancora aperta. Nel frattempo, elementi di ulteriore riflessione, in ordine sparso, si sono accumulati, sotto forma di fatti piccoli e grandi.
Marzo 2009: esce nelle sale italiane l’adattamento cinematografico di The Watchmen, con cui il romanzo di Mancassola presenta analogie tematiche non indifferenti. L’operazione cinematografica spinge molti spettatori a rileggere il classico di Moore e Gibbons, oppure a leggerlo per la prima volta. Aprile 2009: il terremoto dell’Aquila segna una svolta nell’uso politico del trauma. Impastate nel cemento a presa rapida dell’emergenza nazionale, le ragioni della tragedia gettano un’ombra di ‘indegnità morale su qualsiasi voce in dissidio, su qualsiasi critica o richiamo alle responsabilità. Mentre lo stato d’eccezione rimbalza da un monitor all’altro, le tragedie di ieri si saldano alla commemorazione delle inevitabili (poiché non si fa nulla per impedirle) tragedie di domani: l’apocalisse continua. Maggio 2009: per i tipi di minimum fax, esce Anteprima nazionale, un’antologia di racconti distopici curata da Giorgio Vasta. I nove racconti, secondo le parole del curatore, tentano di «recuperare il coraggio dell’immaginazione politica e sociale, di un’immaginazione che senza scadere in una contemplativa constatazione dei fatti […] sia invece concretamente strumentale» (Vasta, 2009, p.14). Eppure, il futuro che quelle narrazioni presentano è molto simile all’oggi, alla lingua inacidita dei palinsesti tv, dei cataloghi di offerte dei grandi magazzini, dei dépliant turistici: sono frammenti del nostro presente, travestiti da futuro. Non sarà, allora, che la possibilità di liberare l’immaginazione politica e letteraria si nasconde nelle riscritture dirompenti e sismiche del passato, mentre la scrittura del futuro, in questa Italia, stenta a superare il ruolo di una “narrativa di posticipazione”? Tra le macerie del nostro tempo, la riflessione è più urgente che mai.

QUI IL TESTO IN FORMATO PDF

* Valentina Fulginiti si è laureata in Linguistica Italiana all’Università di Bologna, con una tesi sui problemi della traduzione intersemiotica. È stata conduttrice di laboratori di scrittura, scrive di teatro e per il teatro. Si occupa di linguistica e di drammaturgia. Attualmente è dottoranda nel programma di Italian Studies della University of Toronto.
Su Carmilla è già apparso un suo saggio sulla lingua dei romanzi NIE, “Aedi, rapsodi e contastorie. Intorno all’oralità del New Epic”.



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DAL G8 DI GENOVA ALLA SCONFITTA DELL’INTELLETTUALE https://www.carmillaonline.com/2009/09/22/dal-g8-di-genova-alla-sconfitta-dellintellettuale/ Tue, 22 Sep 2009 10:16:15 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3186 Genova-G8_2001-Carica.jpgIl New Italian Epic fra generi tradizionali e nuove forme di comunicazione

di Lorenzo Amato* [In calce a questo post, appuntamenti e novità dal dibattito sul NIE]

1. Una piccola premessa storica

Nel 2001 si è verificato in Italia un vero e proprio sisma politico. Alludo in particolare agli scontri del G8 di Genova, e prima alla definitiva vittoria elettorale della coalizione berlusconiana. I due eventi chiudevano un’epoca di progressiva decadenza della dialettica politica italiana, già compromessa dagli stanchi maneggi della coalizione di centrosinistra. L’impressione suscitata dal G8 fu immediata, e, in Italia, più profonda e significativa degli attacchi terroristici dell’11 settembre. L’onda sismica [...]]]> Genova-G8_2001-Carica.jpgIl New Italian Epic fra generi tradizionali e nuove forme di comunicazione

di Lorenzo Amato*
[In calce a questo post, appuntamenti e novità dal dibattito sul NIE]

1. Una piccola premessa storica

Nel 2001 si è verificato in Italia un vero e proprio sisma politico. Alludo in particolare agli scontri del G8 di Genova, e prima alla definitiva vittoria elettorale della coalizione berlusconiana. I due eventi chiudevano un’epoca di progressiva decadenza della dialettica politica italiana, già compromessa dagli stanchi maneggi della coalizione di centrosinistra.
L’impressione suscitata dal G8 fu immediata, e, in Italia, più profonda e significativa degli attacchi terroristici dell’11 settembre. L’onda sismica scatenata a Genova coinvolse la coscienza di molti intellettuali, e si è propagata in latitudine fino ai giorni nostri, se ancora nel 2009 almeno tre libri importanti cercano di narrarne aspetti e conseguenze (ovvero G8: Cronaca di una battaglia di Carlo Lucarelli, ACAB di Carlo Bonini, e Genova sembrava d’oro e d’argento di Giacomo Gensini).

La fase storica conclusasi con gli eventi del G8 era stata anche una fase interlocutoria, direi anche piena di speranza. A seguito della caduta del muro di Berlino e della fine dell’Unione Sovietica, ma anche, e soprattutto, di Tangentopoli e della fine del Pentapartito, era nato in Italia un sentimento nuovo: la speranza di cambiamento, di semplificazione di una vicenda storica intricata e indecifrabile fatta di mafie, massonerie e servizi segreti. Se la storia politica italiana è difficilmente leggibile secondo il facile canone anglosassone del bianco e del nero, la speranza di molti italiani era proprio la fine della perenne zona grigia alla quale la coscienza civile del paese pareva condannata. Tale speranza implicava anche la fondazione di nuovi schemi politici che sapessero trar profitto dagli aspetti positivi delle ideologie morenti, lasciandone alle spalle deviazioni e fallimenti storici. Si trattava cioè di valorizzare almeno in parte le ideologie dei “padri”, pur sanzionandone la morte storica (e mi riferisco soprattutto alla fine del PCI).
Tuttavia, a seguito degli eventi del 2001, con la loro spettacolarizzazione televisiva di una tragedia che un tempo sarebbe stata definita “sudamericana”, e una manipolazione dell’informazione senza precedenti, fu chiara a molti la fragilità di un mondo culturale “alto”, troppo autoreferenziale e sostanzialmente incapace di vivere nel presente. Fu chiara soprattutto la crisi profonda della figura dell’intellettuale, del tutto inabile a formulare programmi coerenti e aggiornati al mondo moderno, ma soprattutto di comunicare con la maggioranza degli italiani. Lo sperimentalismo tardo post-moderno, o anche l’intimismo e/o il minimalismo della cosiddetta letteratura bianca, avevano di fatto creato un Aventino culturale che teneva lontana dalla letteratura la maggioranza dei lettori, anche quelli considerati forti. Significativa la considerazione che i critici riservavano (e ancora in parte riservano) alla letteratura di genere, relegata al rango di sottocultura malgrado risultati talvolta di altissimo livello.
Possiamo considerare il 2001 il vero anno di nascita del New Italian Epic.

2. Cosa è il NIE?

Bisogna prima di tutto intenderci su come definire il New Italian Epic, o Nuova Epica Italiana. Il ventaglio di scrittori e di opere normalmente citate nella “nebulosa” NIE è assai vario per stile e tematiche, e difficilmente vi si potrebbe scorgere un genere unico. Anzi, come scrive Wu Ming 1, il NIE nasce almeno in parte dalla forzatura dei generi tradizionali, alla ricerca di nuove forme espressive e narrative che coinvolgano il lettore in modo culturalmente e tecnologicamente aggiornato. Ritengo che si possa considerare il NIE come un movimento culturale nato dalla consapevolezza di una sconfitta storica irreversibile. Si tratta della sconfitta di un’intera generazione, la generazione dei “figli”. Da una parte condannata a una precarietà lavorativa che è anche umana e sociale, tale generazione si è vista privata di ogni capacità di progettare un futuro collettivo da una politica ipermediatica che ha saputo declassare ogni forma di convivenza civile a evento spettacolare e televisivo. Sui “figli” si è a sua volta riversata la catastrofe del fallimento delle ideologie dei “padri”, le cui illusioni sono crollate senza lasciare elementi utili a una loro ricostruzione o sostituzione.
Questa sconfitta generazionale ha comportato che i cosiddetti intellettuali, salvo chi abbia indulto in inappropriate nostalgie del passato o si sia isolato in facili arcadie e paradisi letterari artificiali, si sono trovati a contemplare la rovina di un vecchio sistema di valori, senza intravedervi le fondamenta di un qualcosa di nuovo. La forza espressiva dei nuovi mezzi di comunicazione (in primis la televisione), e la sopravvalutazione da parte di molti scrittori di valori culturali largamente autoreferenziali, avevano d’altro canto già da tempo inaridito la grande tradizione civile della letteratura italiana (alla quale erano appartenuti maestri non a caso cari ai rappresentanti del NIE, come, fra gli altri, Pasolini, Sciascia, Gadda, Levi), con una conseguente irreparabile perdita di prestigio della figura sociale dell’intellettuale stesso. L’Italia dei primi anni del nuovo millennio è un paese nel quale è svanita ogni possibile autorevolezza politica di scrittori e professionisti della cultura. L’intellettuale tradizionale è morto, e la sua voce di testimone morale del contemporaneo è ormai muta.
Così nel nuovo millennio i nuovi scrittori si muovono, con maggiore o minore consapevolezza, in un mondo di rovine. Deve essere ricostruito un rapporto con un pubblico tendenzialmente ostile all’idea di intellettuale-mâitre-à-penser ancora viva (pur già in crisi) negli anni ’80. Chi negli anni ’90 aveva già sperimentato la letteratura di genere, e aveva saputo padroneggiare questo strumento duttile e di grande penetrazione popolare, inizia ora a costruire libri di tipo diverso, che pure conservano nel loro dna memoria del passato letterario del loro autore. Il NIE nasce dall’incontro fra tensione civile e necessità comunicativa ad ampio spettro.
In effetti anche successivamente al 2001 alcuni autori continuano a scrivere romanzi di genere, accanto a opere più evidentemente assimilabili al NIE. Per questo motivo Wu Ming 1 insiste nel focalizzare la definizione di NIE sulle opere, e non sugli autori.
Non sono d’accordo, o meglio non del tutto.

3. Il NIE, o della sconfitta

Non c’è dubbio in effetti che molte opere dichiaratamente NIE si distinguano da opere chiaramente di genere. La “saga romana” di Giancarlo De Cataldo (almeno Romanzo criminale e Nelle mani giuste), le opere storiche dei Wu Ming, di Valerio Evangelisti, di Simone Sarasso, la dissezione psico-culturale dell’Italia di Giuseppe Genna o Demetrio Paolin, le analisi grandiose e terribili di Roberto Saviano (per fare qualche nome noto e già proposto), hanno elementi comuni che meritano di essere messi in evidenza anche in questa sede. Il primo elemento, il più evidente, è il policentrismo, o meglio la frammentazione, del tessuto narrativo, non più focalizzato su un singolo personaggio “protagonista”, ma sull’integrazione delle azioni di vari personaggi o “cose”.
È, questo, il riflesso più drammatico della crisi dello scrittore-testimone.
Il suo punto di vista, ormai socialmente compromesso, “esplode” in una miriade di punti di vista diversi. Il che in definitiva richiede al lettore uno sforzo di riorganizzazione conoscitiva a posteriori. Sono eccezioni solo apparenti gli esperimenti ipersoggettivi di Giuseppe Genna, per il quale, ad esempio in Italia De Profundis, si può ben parlare di implosione di un soggetto che, come un sole-buco nero, anziché illuminare il mondo esterno ne assorbe le scorie cancerogene rendendole parte di un Io del quale scompare ogni possibile visibilità, e che diviene inconoscibile. L’autoanalisi si ferma così agli effetti di attrazione-repulsione nei confronti del mondo esterno, che però definiscono non un soggetto agente (Io) ma un oggetto agito (ovvero il “me” del romanzo). Genna esprime così in grado massimo la tragedia di un intellettuale che non sa trovare adeguata collocazione sociale alla propria esperienza conoscitiva e umana.
La crisi dell’Io dello scrittore era d’altronde già anticipata dai “collettivi” di scrittori, in primis i Wu Ming, che già avevano collaborato all’interno del più vasto Luther Blissett Project (terminato nel 1999). Nei Wu Ming, e in particolare negli scritti teorici di Wu Ming 1 (e in seguito anche in altri collettivi come i Kai Zen), si concretizza la proposta di una scrittura allargata non solo al collettivo, ma anche ai lettori, che possono interagire (es. in Manituana) generando una scrittura infinita che annulla la centralità dello scrittore a favore dello scritto (e della storia e storie generate nello scritto).
Potrebbero essere considerate meno estreme le proposte di Evangelisti. Tuttavia opere come il ciclo messicano richiedono da parte del lettore una partecipazione che va molto al di là di quella implicita nel “normale” romanzo storico, sfiorando il grado di co-autorialità quando si tratti di visualizzare il monumentale affresco puntillista che emerge dal complesso dei due romanzi. Di fatto lo scrittore richiede al lettore di rappresentarsi il corso della storia a partire da punti di vista “sghembi”, e di integrare i vuoti prospettici lasciati ad arte con una ricerca personale, arrivando così in prima persona a concepire ipotesi storicistiche alternative a quelle di molti manuali.
Posizioni simili (pur nella grande differenza di stile e interessi) assumono De Cataldo, Carlotto, gli stessi Wu Ming, e più recentemente Sarasso e Bonini, per i quali il “paradosso” dei punti di vista assume in sé un valore conoscitivo al quale né la normale storiografia né la cronaca giornalistica possono aspirare. Il tutto anche come reazione a un’informazione televisiva che sempre più relega il fruitore alla più assoluta passività.
Wu Ming 1 cita fra i romanzi NIE anche La presa di Macallè di Andrea Camilleri. In effetti il punto di vista paradossale di un bambino assolutamente innocente che commette azioni sempre più mostruose perché mal guidato da un’ideologia distorta e contraddittoria, costringe il lettore a sganciare la propria interpretazione del mondo nel quale il bambino si muove (la Sicilia fascista) da quella del piccolo protagonista e a subentrargli in un giudizio che finisce però per curvarsi sul mondo del lettore e sulla capacità di giudizio del lettore stesso.
Piuttosto complesso anche l’esperimento di Saviano. Se, come abbiamo visto, per molti scrittori NIE la narrazione è policentrica e decentrata rispetto a un personaggio rappresentante il punto di vista dell’autore, in sé non autorevole, l’Io di Saviano si fonde con la sostanza descritta, a volte in modo letterale. La scena finale di Gomorra (immersione nel liquame delle discariche) è in questo senso più che esplicita. L’Io di Saviano è iperpresente in molte scene del crimine, ovvero è là dove in realtà la figura storica dell’autore non è mai stata. Il soggetto non è quindi un punto di vista, ma un paradosso letterario che costringe il lettore a elaborare uno schema complessivo della società-Camorra (= società cosiddetta civile) a partire da una miriade di punti di vista artificialmente fusi in uno solo. È evidente che, come anche nel caso di Genna, il vero Io dello scrittore risulti alla fine inconoscibile.
La crisi dell’Io tradizionale del narratore (e con essa del suo avatàra letterario, il protagonista-eroe, depositario più o meno unico del messaggio o del percorso che tradizionalmente l’autore impone al lettore) è elemento che da solo basterebbe a definire una “cosa” NIE, pur in assenza di un manifesto programmatico, e, almeno nei primi tempi, di una qualsiasi comunanza di intenti. E se a questo elemento aggiungiamo la natura popolare delle origini del NIE (il romanzo noir, di fantascienza, storico, di inchiesta, ecc.), e al tempo stesso le sue istanze civili, possiamo a mio avviso parlare di un movimento articolato e complesso, innovativo nel panorama letterario italiano, che elabora il lutto per la morte dell’intellettuale classico mediante la ricerca di nuove soluzioni narrative (spesso storico-epiche) nel tentativo di ricostruire il rapporto precedentemente compromesso con un pubblico più ampio di quello delle arcadie e delle accademie.
L’italianità del movimento non è poi estrinseca alla qualità letteraria dei romanzi NIE. Integro così l’affermazione di Wu Ming 1, che sosteneva che il NIE è Italian perché nato in Italia. Nelle tecniche narrative policentriche, ora puntilliste ora espressioniste, si riflette la consapevolezza italiana della complessità delle dinamiche storiche e politiche, aggravata e resa non razionalizzabile dal senso di sconfitta epocale che sta alla base del NIE. L’epica del NIE non è infatti la storia dello scontro fra bene e male, ma il canto rabbioso di chi si trova ancora intrappolato nella perenne italicissima zona grigia, senza neanche i pur fallaci anticorpi ideologici dei padri, morti senza lasciare alcuna eredità, per quanto consolatoria.
Gli altri punti evidenziati da Wu Ming 1 come possibili ma non necessarie caratteristiche costitutive del NIE sono in realtà conseguenze di questi elementi essenziali. Lo sono ad esempio i cosiddetti UNO (Oggetti narrativi non identificati), o gli esperimenti letterari con le nuove tecnologie, o la ricerca linguistico-espressiva distante dal linguaggio medio del giornalismo, dai preziosismi della letteratura bianca e soprattutto dagli sperimentalismi barocchi del tardo post-moderno. Si tratta infatti di strategie per la costruzione di un nuovo rapporto con i lettori, e in quanto tali non sono indispensabili alla classificazione all’interno del NIE (e infatti alcuni romanzi NIE mancano di alcune o tutte queste caratteristiche, mentre romanzi o altre opere non NIE possono esserne dotati). Così anche la tematica della morte del Vecchio, spesso ricordata come tipica di molti romanzi NIE, non può non far pensare al rapporto con un mondo politico, quello dei nostri padri, e quindi quello bipolare delle contrapposizioni fra partiti filoamericani e PCI, che, pur non meno problematico di quello presente, riservava spazio a una qualche forma di fiducia istituzionale (fosse anche in un partito come il PCI). Giuseppe Genna esprime bene questo rapporto con la figura di un padre morente che rappresenta non solo una figura biografica reale, quanto il simbolo di ciò che Genna-figlio non potrà mai essere, ovvero un politico ‘credente’ e una voce morale funzionale a un progetto ‘positivo’, per quanto contraddittorio e in effetti ingannevole come fu quello del PCI. Il requiem per il padre è quindi anche un requiem al Giuseppe Genna che non è mai potuto nascere.
Muore, quindi, l’intellettuale come figura strutturata e riconosciuta. Il che è ben espresso da De Cataldo al termine di Romanzo Criminale, quando il commissario Nicola Scialoja si trasforma da ricercatore della verità a costruttore e detentore della Verità, ovvero diviene l’erede del Vecchio. Nel momento in cui il ‘ricercatore’ diviene ‘detentore’ la sua posizione sociale cambia completamente: Scialoja diventa persona importante e autorevole, entrando prepotentemente a far parte, anzi a dirigere, quella zona grigia che prima avversava. In questo senso ben si comprende il senso di sconfitta malgrado tutto avvertito da Sciajola alla fine del romanzo. Se il suo trionfo sociale è indiscutibile, l’ascesa al trono del Vecchio segna la sconfitta del suo essere poliziotto, ovvero, fuori allegoria, intellettuale. Altre opere sono anche più esplicite: si legga ad esempio un racconto come La Storia Unica, contenuto nell’antologia Anteprima nazionale, nel quale il protagonista Paolo è di fatto costretto a uscire dal proprio ruolo sociale dopo essersi scoperto diverso da amici e colleghi, ovvero dotato suo malgrado di memoria, senso estetico e spirito critico.

4. Il NIE e i generi popolari: un rapporto concluso?

Ciò detto, non credo che in quanto movimento il NIE possa essere analizzato a prescindere dalle altre opere dei suoi autori. Ne è una prova indiretta quanto Giuseppe Genna scriveva sul suo sito al momento di annunciare il suo nuovo romanzo con protagonista Guido Lopez, preannunciando (minacciando?) un stile «azzimato e pseudottocentesco» e che «la suspence va a quel paese […]. Esistono inserti di un monologo pronunciato da chi? Non si capisce […]. Spero il tutto non dispiaccia troppo, in primis a chi è affezionato all’ispettore Lopez e alla serie dei fintithriller, poiché qui ci si esprime all’opposto stilistico di Grande Madre Rossa».
Agisce a quanto pare una fibrillazione stilistica che i lettori di opere come Dies Irae e Italia de Profundis conoscono bene. In sostanza, barche di carta in una pozzanghera, le opere di Genna sembrano dialogare fra loro come sospinte dalle rispettive onde concentriche, pur mantenendo ognuna una propria rotta e, ovviamente, scopi e classificazioni di genere distinte.

Un’analisi dei romanzi di Camilleri con protagonista Salvo Montalbano portano a conclusioni simili: se Il cane di terracotta (1996) è un romanzo che con il suo intreccio stratificato e intrinsecamente contraddittorio cerca di rappresentare la complessità del reale (ovvero della storia siciliana) quasi a prescindere dalla figura del commissario protagonista, e se le prime indagini di Montalbano si confrontano con la complessità della realtà socio-politica italiana, i romanzi seguiti al Giro di boa hanno al centro il mero delitto passionale, o comunque di natura antropologica, e non sociale. I cosiddetti romanzi storici e civili di Camilleri si fanno carico, soprattutto dopo il 2001, della passione civile dell’autore.
Un chiaro rifiuto dell’intreccio basico del genere di appartenenza, con conseguente compromissione con una realtà non rappresentabile in modo lineare e razionale, si avverte anche fin dai primi (sofferti) romanzi di altri autori (es. Carlotto, De Cataldo, Genna). Egualmente nei primi romanzi di Eymerich di Valerio Evangelisti troviamo una ricerca sperimentale che va via via scomparendo nei romanzi successivi. Al di là della varietà tematica, infatti, il ruolo del “protagonista” Eymerich risulta più accentuato ne La luce di Orione (2006) che ne Il corpo e il sangue di Eymerich (1996), che invece ha assai più chiaramente al centro la storia politica di una malattia. Di fatto i primi romanzi di genere di questi autori risultano oggi assai più NIE degli ultimi. Il che forse dimostra che questi e altri autori hanno progressivamente normalizzato i propri cicli di romanzi di genere, affidando i messaggi più complessi a romanzi non di genere (Camilleri) o dichiaratamente NIE (Evangelisti).
Ma dimostra anche che, se l’esperienza letteraria di questi autori nasce come necessità di comunicazione popolare, la prosecuzione dell’esperienza della scrittura di genere non va semplicemente in parallelo con i romanzi altri, ma vi si interseca o se ne distanzia interagendo in forme non banali, e certamente degne di essere studiate a partire non dalle singole opere, ma, tradizionalmente, e assai paradossalmente, dall’esperienza letteraria e umana dell’autore. È probabile poi che l’interazione fra generi e NIE sia tutt’altro che terminata. Ritengo quindi che, in barba a tanti critici “moderni”, sempre più in futuro torneremo a parlare del ruolo svolto dai generi nel rilancio civile e morale dell’intellighenzia italiana. E, ovviamente, nella costruzione della Nuova Epica Italiana.

* Dottore di ricerca in Civiltà dell’Umanesimo e del Rinascimento, studioso di letteratura finlandese e filologia ugro-finnica, è attualmente Visiting professor di letteratura italiana all’Università di Jyvaskyla, Finlandia.

NOVITÀ, APPUNTAMENTI, LINK

Dopo la pausa estiva, riprendiamo la pubblicazione di questa rubrica, in cui segnaliamo appuntamenti, contributi e materiali interessanti di varia natura e provenienza.

varsavia.gif VARSAVIA. Il 9 e 10 novembre italianisti da tutto il mondo si incontreranno a Varsavia, Polonia, al convegno “Fiction, faction, reality: incontri, scambi, intrecci nella letteratura italiana dal 1990 ad oggi” , organizzato dal Dipartimento di lingua e letteratura italiana dell’Università di Varsavia e dall’Istituto Italiano di Cultura ( ul. Marszałkowska 72). Molti i panel e gli interventi che faranno i conti, secondo diversi approcci e modalità, con la “nebulosa” del NIE e il dibattito scatenatosi negli ultimi tempi. Un panel sarà espressamente dedicato al NIE, con interventi di Izabela Napiórkowska (Università di Varsavia) su Wu Ming, Inge Lanslots (Università di Antwerp/Anversa) sulla transmedialità nel NIE, Marco Amici (University College di Cork) sulla costante tematica della “morte del vecchio”, Dimitri Chimenti (Università di Siena) sulle retoriche e la “testualizzazione del reale” negli oggetti narrativi non-identificati, Mirko Tavosanis (Università di Pisa) sulla lingua dei nuovi romanzi storici ed Emanuela Piga (Università di Bologna) su memoria, testimonianze e narrazione. In un altro panel intitolato “Autofiction, ibridazione e altre sperimentazioni formali”, Estelle Paint (Université Paris Ouest Nanterre) parlerà di Asce di guerra di Ravagli/Wu Ming come “oggetto narrativo non-identificato”. Qui il programma completo (pdf).

leggeredonna.jpg NEW ITALIAN EPIC E GENDER Nel maggio scorso, sul n. 40 della rivista Leggere donna è apparso un breve ma suggestivo articolo di Rosella Simonari intitolato “New Italian Epic e gender”. Sono riflessioni e allusioni a percorsi d’indagine che varrebbe la pena cogliere, espandere, approfondire: “Una delle caratteristiche che Wu Ming 1 elenca riguardo ai testi NIE è quella dello ‘sguardo obliquo’, ossia un punto di vista insolito, che può comprendere anche oggetti inanimati e animali oltre che persone. Utilizzare il genere per leggere i testi NIE è, in qualche modo, assumere uno ‘sguardo obliquo’ su di essi, è vederli secondo una prospettiva trasversale e molteplice.” Qui l’articolo completo (pdf).

EXIBART Nel luglio scorso la rivista di arte contemporanea Exibart ha pubblicato un articolo di Christian Caliandro intitolato New Italian Tragedy (clicca per leggere il pdf). Parlando di NIE, Caliandro scrive: “La sensazione è quella di essere anni luce lontani dalla versione consolatoria della ‘giovine Italia’ che viene fuori dalle varie notti prima degli esami e muccinate (ormai più Silvio che Gabriele, ma fa lo stesso), di trovarsi finalmente in un territorio sconosciuto e per questo interessante, a tratti anche minaccioso. Di respirare un’aria finalmente nuova, che non potrà non influenzare anche il vicino territorio dell’arte contemporanea […]”

RECENSIONE Un’approfondita recensione di New Italian Epic a firma di Giovanni Solinas, dottore di ricerca con una tesi sulle estetiche performative nella poesia sperimentale del Novecento. Si occupa di teoria della letteratura e di problemi relativi alle avanguardie novecentesche. La recensione è apparsa su Altri Italiani, qui.

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IL DIBATTITO SUL NEW ITALIAN EPIC: RICAPITOLIAMO? https://www.carmillaonline.com/2009/06/16/il-dibattito-sul-new-italian-e/ Tue, 16 Jun 2009 23:59:59 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3085 letteraria1.jpgdi Wu Ming 2 [In calce a questo articolo, curiosità e novità dal dibattito sul NIE.]

[Questo articolo è incluso nel primo numero — appena giunto in libreria – della rivista Letteraria, diretta da Stefano Tassinari e pubblicata da Editori Riuniti (nuova proprietà, nuova gestione, sito in allestimento). Clicca qui per leggere l’editoriale di Tassinari e l’indice del numero. Tra gli intervenuti: Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Simona Vinci, Pino Cacucci, Grazia Verasani, Bruno Arpaia, Marco Baliani, Gianpiero Rigosi, Alberto Sebastiani, Alberto Bertoni, Maria Rosa Cutrufelli, Wu Ming 1, Wu Ming 2 etc. Fotografie di Mario [...]]]> letteraria1.jpgdi Wu Ming 2
[In calce a questo articolo, curiosità e novità dal dibattito sul NIE.]

[Questo articolo è incluso nel primo numero — appena giunto in libreria – della rivista Letteraria, diretta da Stefano Tassinari e pubblicata da Editori Riuniti (nuova proprietà, nuova gestione, sito in allestimento). Clicca qui per leggere l’editoriale di Tassinari e l’indice del numero. Tra gli intervenuti: Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Simona Vinci, Pino Cacucci, Grazia Verasani, Bruno Arpaia, Marco Baliani, Gianpiero Rigosi, Alberto Sebastiani, Alberto Bertoni, Maria Rosa Cutrufelli, Wu Ming 1, Wu Ming 2 etc. Fotografie di Mario Dondero. Buona lettura.]

All’uscita di New Italian Epic (Einaudi Stile Libero), Luca Mastrantonio lo ha definito “l’aggiornamento cartaceo di un libro telematico, che ha avuto un dibattito a monte e che quindi a valle potrebbe non produrre molto di più.” [1]. Confesso che anche noi, come autori, ci attendevamo un affievolirsi della discussione, profezia che invece non si è avverata. La riflessione cresce e si moltiplica, soprattutto in Rete e negli incontri pubblici. Così, mentre sui quotidiani tenevano banco interventi “da stadio”, con tanto di slogan e sfottò, sulla rivista on-line Carmilla [2] uscivano i contributi di Alberto Casadei, Stefano Jossa, Gaia De Pascale, Girolamo De Michele e Guido Chiesa; su Nazione Indiana, un post dedicato al libro “La stanza separata” di Cesare Garboli si trasformava in un gigantesco agone letterario, con oltre 500 commenti, e i pareri di Andrea Cortellessa, Tommaso Pincio, Emanuele Trevi, Dimitri Chimenti, Gianni Biondillo [3]. Con toni più pacati, un’intervista sul blog Letteratitudine di Massimo Maugeri, produceva un confronto altrettanto approfondito [4]. Infine, su Il Primo Amore, compariva un lungo testo di Tiziano Scarpa, intitolato L’epica popular, gli anni Novanta, la parresìa [5]. Inutile dire, con una simile tempesta di stimoli, che i download del famigerato “memorandum sul NIE” viaggiano ancora al ritmo di un centinaio al giorno.
Per chi non ha avuto e non avrà modo di sondare questa impressionante massa critica, vorrei provare a riassumere qui le principali opinioni e materie del contendere.

New Italian Epic è un nome di comodo, usato per indicare un insieme di libri, pubblicati in Italia a partire dal ’93, accomunati da una certa “aria di famiglia” e dal respiro ampio delle vicende. Molti hanno l’aspetto di romanzi storici, alcuni sono opere ibride tra narrativa e saggistica, altri vengono da un superamento di noir, giallo e altri generi popular. In estrema sintesi, la famiglia si distingue per sette caratteristiche: una tonalità emotiva appassionata ed empatica, un punto di vista obliquo sul mondo, l’uso di utensili e linguaggi che vengono dal romanzo di genere, la riflessione ucronica su ciò che sarebbe potuto accadere, una sperimentazione linguistica sottile, la forzatura della forma romanzo a favore di “oggetti narrativi non identificati”, una narrazione aperta, spesso proseguita con ogni medium necessario. [6]
Molte di queste opere raccontano – con allegorie diverse, sotto la crosta di trame diversissime – la difficoltà di ereditare il mondo, di esprimere, oltre la tragedia e il disastro, una soggettività diversa, che scompigli la situazione e tracci vie di fuga.

Le riflessioni sull’ipotesi del NIE partono spesso dalla N dell’acrostico, cioè la presunta discontinuità tra i libri descritti e quelli che li hanno preceduti. Un salto, è bene sottolinearlo, che non va interpretato in termini di merito: è chiaro che ci sono moltissime opere di qualità tanto alle spalle che al di fuori della nebulosa “epica”. Ed è altrettanto ovvio che nella storia della cultura nessuna cesura è netta, senza prodromi, anticipazioni, miraggi. Per questo motivo ritengo molto feconda la ricerca dei capostipiti del NIE, opere che precedono il formarsi della nebulosa, eppure già dicono molto su come sarà fatta. Tiziano Scarpa ha fatto due nomi: Insciallah di Oriana Fallaci e Petrolio di Pier Paolo Pasolini (pubblicato postumo nel ’92). Il secondo dei due, in effetti, ritorna come riferimento in moltissimi commenti.
Un discorso simile e parallelo si concentra invece sull’albero genealogico degli UNO, gli oggetti narrativi non-identificati. Alcuni, come progenitore, sono arrivati ad indicare addirittura Dante Alighieri. Tommaso Pincio sostiene che “la commistione di fiction e non-fiction, l’io narrante che coincide con l’autore e fa da guida in un inferno reale non è affatto new, rientra nel solco della tradizione italiana, è il nostro DNA narrativo. Dobbiamo chiederci perché la nostra letteratura ha prediletto un realismo di stampo individualista, dove è l’io dell’autore a raccontare e trasfigurare il reale.” Lo stesso Pincio risponde alla domanda individuando nella morale cattolica e nell’istituto della confessione le radici di “un concetto distorto e strumentale della verità, e dunque del racconto della realtà”. In altre parole, l’elemento di novità del NIE sarebbe da ricercare nell’aspetto romanzesco e fantastico di alcune opere, in quanto del tutto estraneo al codice genetico italiano.
Da questa osservazione riemerge, in altre forme, la tematica che più di ogni altra è stata al centro del dibattito, dopo la messa on-line della prima versione del memorandum: la questione del realismo. Come si è visto, nessuna tra le “somiglianze di famiglia” del NIE ha a che fare con la rappresentazione “oggettiva” del mondo. Molti, al contrario, hanno sostenuto che “il ritorno alla realtà” è la vera caratteristica unificante delle opere analizzate. L’edizione cartacea del saggio respinge già questa tesi, indicando nell’epica un lavoro eccentrico sulla connotazione del racconto e del linguaggio, in opposizione al realismo, che mira piuttosto alla denotazione.
Quanto agli oggetti narrativi non-identificati, è chiaro che ne sono sempre esistiti. Anzi: la storia della letteratura scarta e avanza proprio grazie ad essi (la Divina Commedia, Don Chisciotte, l’Ulisse…). E una volta che lo scarto si è prodotto, ecco che l’oggetto non-identificato trova un suo posto e piano piano diventa norma. Quel che differenzia questi “oggetti”, nelle diverse epoche, è dunque il modo di impastare gli ingredienti che li fanno stare fuori dalla narrativa più tradizionale. Gli UNO di cui si parla in New Italian Epic sono interessanti per come integrano le caratteristiche tipiche della nebulosa, e non perché imboccano la strada del realismo mescolando eventi e finzioni, storie e testimonianze (pratica nient’affatto nuova).

Un altro ambito ricco di reazioni e spunti riguarda il concetto di postmoderno. La nebulosa del NIE, nella nostra interpretazione, si coagula in una determinata forma anche perché reagisce, tra le altre cose, a certi “postmodernismi da quattro soldi” tipici degli anni Novanta: sfiducia nella parola, ricombinazione ironica, disincanto, apologia dell’ineffabilità, irrisione del codice, meta-meta-metadiscorsi… Diversi commentatori hanno fatto notare che in Italia, e in letteratura, non c’era affatto bisogno di una simile reazione, per il semplice fatto che il postmoderno sarebbe rappresentato da un solo romanzo: Il nome della rosa di Umberto Eco. Tiziano Scarpa, invece, sottolinea che gli anni Novanta non furono solo postmodernismi da quattro soldi, e su questo siamo d’accordo con lui: è chiaro che ci interessa un certo tipo di reazione a quella mentalità, che ha intriso la cultura italiana ben oltre il suo materializzarsi sugli scaffali delle librerie.

Anche la periodizzazione del NIE (1993 – 2008) è stata oggetto di un’indagine approfondita. Se l’epica popular che abbiamo descritto è davvero un fenomeno nuovo, almeno per la quantità di opere che lo sostanziano, è giusto farlo iniziare con l’avvento in Italia della cosiddetta Seconda Repubblica? E’ quello lo smottamento, il crollo, dal quale prende il via l’esigenza di raccontare, con diverse allegorie, “la difficoltà di ereditare un mondo”? Non sarebbe più giusto adottare una prospettiva meno provinciale e prendere come punto d’origine la Caduta del Muro, o magari il 1991, cioè la fine del Secolo Breve e l’instaurarsi del Nuovo Ordine Mondiale (Prima Guerra del Golfo)? E dunque, almeno dal punto di vista storico, il NIE è la reazione a una valanga sociale e politica oppure il tentativo di raccontare storie diverse, frame concettuali alternativi rispetto al Pensiero Unico che ha caratterizzato il passaggio dalla Guerra Fredda alla Guerra Globale? La seconda ipotesi mi pare affascinante, e d’altra parte il ’93 viene fissato nel memorandum proprio come risvolto italico (visto che si parla di italian epic) dei vari scossoni iniziati a Berlino nel 1989. La Prima Guerra del Golfo, inoltre, come Prima Guerra in Diretta, rappresenta molto bene un’idea di narrazione e di informazione che il NIE cerca di superare: il mito del reality, della telecamera sempre accesa come garanzia di obiettività, della verità come pura corrispondenza ai fatti, senza un racconto che li organizzi, un’interpretazione che li faccia risaltare, una visione che li metta in rapporto diretto con il futuro. Dunque, facciamo pure due passi indietro, fino al 1991 e alla pubblicazione postuma di Petrolio. Resta il fatto che la nebulosa si è fatta ben visibile, matura e fitta di opere soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta, e in particolare dal crollo delle Torri Gemelle (un’icona eloquente della fine dell’era postmoderna). E’ stato soprattutto da quel momento, ad esempio, che la narrativa di genere più classica si è posta il problema di un superamento di sé stessa, per evitare quella “stanca ripetizione” che Tommaso De Lorenzis ha paragonato al Termidoro del 1794 [7].

Il New Italian Epic, proprio in quanto descrizione di un insieme di libri, è molto legato allo specifico letterario. Ciò non toglie che le sue caratteristiche si possano adattare anche ad altri campi. Per il cinema, Mauro Gervasini ha fatto i nomi di Gomorra di Matteo Garrone e Il Divo di Paolo Sorrentino [8]. Guido Chiesa gli ha fatto però notare che il tono emotivo e lo sguardo adottato di questi due film è in realtà molto distante da quello dei libri classificati come NIE [9]. In entrambi i casi si avverte un forte distacco del regista dalla sua materia, una barriera estetica che ne impedisce il coinvolgimento. Il risultato è che la barbarie viene contemplata, senza preoccuparsi di interpretarla o di metterla in relazione con un’alternativa possibile, che rompa il piano della coazione a ripetere, dell’eterno ritorno, del Male inevitabile che possiamo soltanto descrivere. Questa riflessione ha spinto a cercare altrove un NIE di celluloide e a trovarne traccia, piuttosto, in una ormai vasta galassia di “oggetti documentari non identificati”: dai film di Alina Marazzi (Un’ora sola ti vorrei, Vogliamo anche le Rose) a Le pere di Adamo dello stesso Guido Chiesa, ai Sogni di Cuoio di Meneghetti e Pandimiglio, a Valzer con Bashir di Ari Folman, tanto per uscire dai confini nazionali [10].

Per concludere, vorrei riportare un commento da Letteratitudine, firmato Lorenzo Amato, che mi sembra riassumere bene, con una metafora “alla Benjamin”, alcune delle tematiche affrontate e ancora da sviluppare.

“Il NIE, in questo distinguendosi non solo dagli autori immediatamente precedenti, ma anche dai maestri come Pasolini e Sciascia, non è una letteratura di testimonianza, né propone soluzioni per una battaglia in corso, ma piuttosto sembra analizzare i cocci e le rovine lasciate dalla battaglia. Come fossero pezzi di un mosaico visto tanti anni fa, da bambini, e che si cerca di descrivere in base ai lacerti rimasti, nel modo meno banale possibile, sapendo che comunque il mosaico originale non tornerà più. La speranza implicita è che questa analisi porti a riutilizzare i pezzi sopravvissuti, in nuovi mosaici altrettanto belli.”

NOTE

1. L.Mastrantonio, NIE, il cyberbook sull’epica italiana non pacificata, in Il Riformista, 5 febbraio 2009

2. Sezione di Carmilla dedicata al NIE.

3. Nazione indiana, 14/02/2009.

4. Intervista a Wu Ming 1 e discussione su Letteratitudine, 25/02/2009.

5. Tiziano Scarpa su Il Primo Amore. [ Qui la risposta di WM1, PDF]

6. Diverse critiche si sono appuntate su questo elenco di caratteristiche. Spesso lo si è tacciato di essere “troppo largo”. Una contrapposizione simile a quella tra Frege e Wittgenstein, quando il primo sosteneva che “un’area non chiaramente delimitata non può neppure chiamarsi un’area”, e il secondo rispondeva che “Tutto dipende dallo scopo. E’ inesatto non dare la distanza dal sole a noi fino al metro?”

7. T. De Lorenzis, Termidoro Carmilla, dicembre 2005.

8. M.Gervasini, Cinema e Gomorre. Carmilla, giugno 2008.

9. G. Chiesa, Dove c’è sentimento, c’è speranza Carmilla, gennaio 2009.

10. Si veda a questo proposito il percorso di studi elaborato nella Scuola di Media Design & Arti Multimediali NABA: Dagli UNO alla New Italian Epic

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“MATERIALI DI BASE” PER CAPIRE IL DIBATTITO

LA VOCE “NEW ITALIAN EPIC” SU WIKIPEDIA

WU MING 2: INTERVISTA A MOMPRACEM SUL NEW ITALIAN EPIC
MP3, 128 k, 19 MB. Durata: 21 minuti. Mompracem è un “settimanale avventuroso di letteratura” che va in onda tutti i sabati alle 17:30 su Radio Città del Capo, Bologna. Quest’intervista ci sembra molto, molto chiara e può essere un ottimo punto d’ingresso al dibattito sul NIE.

***

NOVITÀ, CURIOSITÀ E INIZIATIVE SUL NIE

narrazioni_2009.png

FESTIVAL “NARRAZIONI” A POGGIBONSI (SI)
Sabato 4 Luglio sarà la giornata del festival “Narrazioni” dedicata a NIE e dintorni.
H. 18,00 Reading da editi ed inediti di
Wu Ming 2, Alessandro Bertante, Girolamo De Michele

A seguire:
Ritrovare fiducia nella parola: New Italian Epic.
Tavola rotonda con Wu Ming 2, Alessandro Bertante, Girolamo De Michele. Coordina Dimitri Chimenti.

H. 20,15 Reading musicale:
PONTIAC — Storia di una rivolta
Wu Ming 2 & Band: Paul Pieretto — Stefano Pilia — Federico Oppi — Egle Sommacal

GHEDDAFI E IL NIE. Leggendo i resoconti della visita del leader libico, qualcuno di noi si è detto: “Questa pagliacciata post-coloniale sembra un racconto grottesco di Evangelisti, Genna o Wu Ming”.
Alessandro Vicenzi ha avuto la medesima impressione. Da qui la brillante combinazione foto-didascalia apparsa sul suo tumblr.
Subito dopo, sul suo blog “Buoni presagi”, Vicenzi ha spiegato l’accostamento.
Una cosa va detta: il paragone tra Gheddafi e Gene Simmons dei Kiss è particolarmente azzeccato.

sebastiani2.jpg NEW ITALIAN EPIC E FUMETTO. L’8 giugno scorso, sulle pagine bolognesi di Repubblica è apparso un breve articolo di Alberto Sebastiani, a metà tra intervista a Wu Ming 1 e “appello” a chi si occupa di fumetto. L’invito è a raccogliere gli spunti emersi dal dibattito sul NIE, per avviare una riflessione simile in quell’ambito.

A PROPOSITO DI FUMETTO: NOBODY IS ETERNAL Quasimai, pseudonimo di un autore di comics già intervenuto in alcuni dibattiti telematici sul NIE, ha pubblicato on line un suo contributo. E’ un vero e proprio mini-saggio a fumetti, in forma di dialogo filosofico tra due opposti modelli di scrittore, e attinge all’iconografia di Barry Lyndon. Più che un commento al memorandum, è una parodia di alcuni momenti da blog. E’ interessante vedere come la discussione stessa sia diventata una sorta di “opera” da cui trarre opere derivate.

INTERVISTA A STEFANO JOSSA SU “L’ALTRO”. L’italianista Stefano Jossa insegna al college Royal Holloway della University of London ed è autore di libri come L’italia letteraria (Il Mulino, 2006) e Ariosto (Il Mulino, 2009). Qualche tempo fa è intervenuto su Carmilla a proposito di NIE. Ora proponiamo un’interessante intervista apparsa di recente sul quotidiano “L’Altro”, in cui Jossa parla di NIE, realismo, impegno etc. Qui l’immagine JPEG dell’articolo, resa non eccelsa ma leggibile.

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AEDI, RAPSODI, CONTASTORIE https://www.carmillaonline.com/2009/05/11/aedi-rapsodi-contastorie/ Mon, 11 May 2009 00:18:18 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3044 coverNIE.gifIntorno all’oralità del New Epic

di Valentina Fulginiti*

[In calce a questo post, appuntamenti e novità dal dibattito NIE]

[Da oggi potete scaricare un saggio che, qui a Carmilla, riteniamo uno dei più importanti scritti sul NIE dalla pubblicazione del memorandum in avanti. Qualche settimana fa, su questo stesso sito, Fabio Poroli si auspicava più interventi sulla lingua dei romanzi neo-epici italiani, sulla “sovversione sottile” dei registri, senz’altro uno degli aspetti che ha dato luogo a più fraintendimenti. Con questo intervento di Valentina Fulginiti, si può dire che è partita la rumba. Quella che segue è una breve [...]]]> coverNIE.gifIntorno all’oralità
del New Epic

di Valentina Fulginiti*

[In calce a questo post,
appuntamenti e novità dal dibattito NIE]

[Da oggi potete scaricare un
saggio che, qui a Carmilla, riteniamo uno dei più importanti scritti
sul NIE dalla pubblicazione del memorandum in avanti. Qualche settimana
fa, su questo stesso sito, Fabio
Poroli si auspicava
più interventi sulla lingua dei romanzi
neo-epici italiani, sulla “sovversione sottile” dei registri,
senz’altro uno degli aspetti che ha dato luogo a più fraintendimenti.
Con questo intervento di Valentina Fulginiti, si può dire che è partita
la rumba. Quella che segue è una breve presentazione scritta
dall’autrice. In calce, il link per aprire il PDF. N.d.R.]

“Per settimane ho sognato un cavo USB che inserito nella mia nuca si
collegasse alla tua, Direttore”. Così Babsi Jones,
in Sappiano le mie parole di sangue, cerca di
sottrarsi alla fatica del linguaggio e delle parole. O meglio, alla
fatica di tradurre dalla sua realtà al nostro linguaggio, alle nostre
parole di lettori e telespettatori.

Questo è solo un esempio di come, nella vasta nebulosa del romanzo New
Italian Epic, l’apparente semplicità della lingua sia un risultato e
non uno “standard” di riferimento. Quel che noi leggiamo è
stato tradotto
da una realtà e da un’identità più complessa.
Ne sono prova le figure di traduttori e mediatori che a vario titolo
popolano i romanzi: traditori e interpreti, montatori e giornalisti,
spie e informatori, presenti sia come personaggi, sia come “fonti”
immaginarie del testo, sempre pronti a imbrogliare le carte.

Partendo da questa consapevolezza, ho provato ad analizzare da un punto
di vista linguistico la “sovversione nascosta di linguaggio e stile”,
proponendo una “lettura forte” di un gruppo compatto di opere, quasi
tutte pubblicate nel biennio 2007-2008, e provenienti dai territori del
NIE. Mi si è venuta delineando fra le mani una possibile traiettoria di
polifonie e risonanze perturbate. Una traiettoria eccentrica,
individuata sia dal ricorrere di modalità testuali, sia dalle continue
figurazioni allegoriche della parola scritta e parlata.

Salta agli occhi la sottile presenza, nel testo, di una forma di
oralità (e nel dire questo, recupero spunti e note di chi è già
intervenuto nel dibattito): l’oralità mediata dalla
tecnologia e dai mille testi “altri” che pratichiamo di continuo. È la
voce mentale delle chat e degli sms, la lingua frettolosa dei post e
dei dispacci giornalistici, non certo o non solo l’imitazione
naturalistica del parlato quotidiano. Frammenti intercettati di
conversazione, inserti di film e canzoni remixate entrano nelle frasi e
le sconvolgono; i dialoghi si sciolgono nel racconto, o si trascrivono
secondo la mediazione di altre forme pop, dalla sceneggiatura al
fumetto. Ma dove vanno a finire, allora, le certezze dell’Aedo? Dove la
posa ieratica di un locutore onnisciente? Quest’ultimo, in piena
continuità con la tradizione dei narratori orali, un minuto eccede il
campo e sovrasta il lettore, il minuto dopo si annulla nel punto di
vista neutro di una cosa o di un animale, quando non di una
telecamera… Per questa via, si arriva a ridiscutere il paradigma
“forte” dell’aedo, per aprirlo alla polifonia di una voce rapsodica:
capace non di imitare l’altro, ma di trasportarlo in sé. Includere
l’altro nel proprio, sommessamente. E forse, per questo, c’è bisogno di
paradigmi nuovi.

pdf_icon.jpg CLICCA PER LEGGERE/SCARICARE AEDI,
RAPSODI, CONTASTORIE
(PDF)

Indice:
Premessa – Breve glossario di stile orale – Occhi che sentono, voci che
scrivono – Le voci degli altri: strategie di enunciazione perturbata –
Traduttori traditori sulla linea del testo – Chi ha orecchie per
intendere…

* Valentina Fulginiti si è laureata in Linguistica
Italiana all’Università di Bologna, con una tesi sui problemi della
traduzione intersemiotica. È stata conduttrice di laboratori di
scrittura, scrive di teatro e per il teatro. Si occupa di linguistica e
di drammaturgia.

***

NOVITÀ SUL NEW ITALIAN EPIC

Interventi e iniziative varie

monico.jpgelenco NEW ITALIAN MEDIA EPIC.

Dopo il simposio milanese su NIE, UNO e audiovisivi, svoltosi nel marzo
scorso su iniziativa di Francesco Monico (qui link un
approfondito commento
, e presto verranno pubblicati gli
atti), la riflessione è proseguita. E’ notizia degli ultimi giorni:
Monico ha scritto un memorandum sull’epica nei new media
e gli oggetti narrativi non-identificati, testo che riprende e
contrappunta quello di Wu Ming 1 sulla narrativa. Lo ha presentato
il 25 aprile scorso al simposio link “Oltre Darwin”, alla Sala Parpallò di Valencia, Spagna. E’
imminente la pubblicazione sul sito link New
Italian Media Epic
.

Su quest’ultimo sito, segnaliamo che è da
pochi giorni disponibile per il download gratuito The Big
Bother / Il grande fardello
, indefinibile film di “quasi
fiction” (?) realizzato da Marianna Schivardi nel
carcere milanese di
San Vittore.

L’opera “nasce dall’idea di realizzare un Grande Fratello in un luogo dove le persone vivono perennemente come fossero in un format, sorvegliate da telecamere, introducendo l’elemento straniante del Confessionale e della votazione, questa volta per uscire e non per restare. Il film è interpretato da veri carcerati, che in un’ottica fake restano se stessi. Il metodo utilizzato per la parte recitativa si basa sulla continua osservazione di azioni, dialoghi, modi di dire e pensieri veri dei personaggi a cui è stato poi chiesto di ripetersi sotto la ripresa delle telecamere […] Da tale meccanismo si genera un ritmo da “commedia” e si mantiene una dimensione di verità realtà che dà valore poetico all’opera.”

La forma delle coseelenco ACCADE NELLA DANZA?

Di
Rosella Simonari, Carmilla ha già pubblicato link un
contributo su Sappiano le mie parole di sangue

di Babsi Jones.

Di recente, sul suo blog Dance Scriber,
Simonari – il cui principale ambito di ricerca sono i rapporti tra
scrittura e danza – ha portato avanti una densa riflessione in quattro
puntate su danza e NIE. Simonari scrive:

“[…] il mondo della danza è molto più ricco di quello che appare nei
media. In questo senso, diversi lavori di compagnie italiane mostrano
come la danza in Italia possa avere un senso differente, possa essere
occasione per riflettere, per ricercare e percepire la realtà alla
deriva nella quale viviamo. Alcuni dei loro lavori sono riconducibili
alla nebulosa di cui parla Wu Ming 1 e potrebbero far parte della scia
della New Italian Epic”. Molte le coreografie recenti citate nel testo,
vero “sguardo obliquo” sulla tematica dello sguardo obliquo.
Le quattro puntate sono qui: 1
2
3
4.

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EPICA MODERNA E NEW ITALIAN EPIC https://www.carmillaonline.com/2009/05/06/epica-moderna-e-new-italian-ep/ Wed, 06 May 2009 02:33:31 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3036 ceci-n-est-pas-une-pipe.jpgdi Maurizio Vito*

Per il resto non c’è che da attendere. Se gli ultimi anni hanno visto rifluire i rottami di un secolo ardimentoso, ciò non ha nulla di particolarmente negativo. Il dramma è nel fondo e non è solo un portato dei tempi. F. Ferrucci

1. Ceci n’est pas une épique

La cultura occidentale si è caratterizzata fin dalle origini per la sua endemica conflittualità, non solo nei contenuti letterari (il sacrificale duello tra Achille ed Ettore), ma anche tra i soggetti che ne partecipano, ossia autori e critici (dal dissacrante sberleffo della serva tracia nei confronti del saggio Talete raccontato [...]]]> ceci-n-est-pas-une-pipe.jpgdi Maurizio Vito*

Per il resto non c’è che da attendere.
Se gli ultimi anni hanno visto rifluire i
rottami di un secolo ardimentoso, ciò
non ha nulla di particolarmente negativo.
Il dramma è nel fondo e non è solo
un portato dei tempi.
F. Ferrucci

1. Ceci n’est pas une épique

La cultura occidentale si è caratterizzata fin dalle origini per la sua endemica conflittualità, non solo nei contenuti letterari (il sacrificale duello tra Achille ed Ettore), ma anche tra i soggetti che ne partecipano, ossia autori e critici (dal dissacrante sberleffo della serva tracia nei confronti del saggio Talete raccontato nel Teeteto di Platone, a Socrate deriso dal commediografo Aristofane nelle Nuvole). Spesso, il conflitto testuale degenera, e si giunge al parricidio e/o alla fagocitazione. Nel caso di uno di tali originari mostri mitologici, Crono, le cose si complicano ulteriormente: a scapito della prole. Crono, infatti, dopo aver ucciso il padre Urano, e sposato la sorella Rea, si mise a mangiare i propri figli a causa di una profezia che gli aveva annunciato la morte per mano di uno dei propri discendenti. Si sa, le peggiori profezie, in letteratura, spesso si avverano (chiedere ai Troiani, a Lord Macbeth, o al padre di Edipo, per eventuale conferma).

bakhtin.jpgDunque, quando una anomala forma letteraria, né drammatica né epica, il romanzo, divenne prominente (all’incirca nel diciottesimo e diciannovesimo secolo), l’istinto vessatorio della cultura occidentale riemerse. Per molto tempo, infatti, la critica letteraria considerò il romanzo nientemeno che il becchino dell’epica classica, forse sulla scorta della binarietà oppositiva che i Greci hanno inventato e ci hanno tramandato in quantità inesauribile ed inesausta a tutt’oggi (di dicotomie è lastricato l’inferno delle nostre discipline umanistiche). Cosí, l’epica, che da Hegel in poi era considerata il genere assoluto, monologico, totalizzante, tipico di un tempo inattingibile e di un’unica voce autoritaria, fu contrapposta al romanzo, ritenuto una specie di derivato, corrotto, plurivoco, e refrattario alla gerarchizzazione. È la celeberrima tesi di Michail Bachtin (foto a sinistra): l’epica ed il suo eroe rappresentano un mondo che riflette un unico sistema di pensiero, al punto che l’eroe ed il suo destino si estendono all’intera comunità (si pensi all’Achille di Omero, o all’Enea di Virgilio). Nell’epica, l’eroe può essere opposto ad altri eroi (Ettore ad Achille) ma tutti condividono lo stesso sistema di valori (le divinità olimpiche si schierano per entrambi i contendenti, come è noto). Inoltre, l’epica bachtiniana si fonda sulla memoria (unica), sulla tradizione. Il romanzo, invece, sostiene Bachtin, ricorre alla varietà, e questa viene acquisita tramite l’esperienza che, facendosi conoscenza, permette di modificare il futuro. Mentre l’epica, dunque, si presenta inevitabilmente ciclica, ripetibile, e stabile, il romanzo procede per prove ed errori, per così dire, come Don Chisciotte.

moretti.jpgNegli ultimi decenni le cose sono un po’ cambiate: la molteplicità del moderno si è riversata ovunque e ha reso meticcia anche questa finora intonsa terra della conflittualità binaria. Le tradizioni, anche quelle più inveterate, ne hanno dovuto prendere atto. La perdurante concezione dell’epica quale genere immutabile, neppure sfiorata finora da alcuna fase lamarckiana (nella quale il soggetto in questione si sarebbe adattato alle circostanze e perfezionato col passare del tempo) ha scoperto di avere a che fare con un organismo che recava in sé, darwinianamente, elementi secondari — ma non recessivi — che contraddicevano la sua pretesa univocità. Nel 1994 Franco Moretti (foto a destra) ha introdotto il concetto di “opere mondo”, descrivendo l’epica come “un’ipotesi di ricerca” che si discosta dal modernismo ormai “diventato inservibile perché conteneva troppe cose” (Opere mondo, pp. 4, 5) e le opere mondo “capolavori mancati [la cui imperfezione] è il segno che vivono nella storia” (6-7). Moretti afferma, ad esempio, che potremmo “vedere nell’inerzia di Faust l’unica chance della totalità epica moderna” (16). Al seguito di questa concezione poetica morettiana che tiene assieme il mondo, il moderno e l’epico, ma sforzandosi di evidenziare il legame che ancora intercorre tra l’epica classica e le opere mondo, sembrerebbe essersi messo uno studioso statunitense, Joseph Farrell (foto a sinistra), che ha affermato:

farrell.jpgstudi comparativi stabiliscono senza dubbio alcuno la natura performativa ed orale dell’epica di Omero, ed in questo modo arruolano l’Iliade e l’Odissea nel campo della moderna world epic contro la — tuttora in voga — antica, medievale e rinascimentale interpretazione della epica europea “classicizzante” tipica della tradizione omerica (J. Farrell, “Walcott’s Omeros”, 276).[1]

Opere mondo (come il Faust di Goethe o l’Ulysses di Joyce analizzate da Moretti) o world epic (come l’Omeros di Derek Walcott, di cui parla Farrell) che dir si voglia, importa notare che il paradigma critico è ormai messo in questione da più parti. Recentemente, Massimo Fusillo ha ripreso la critica sulla unidimensionalità dell’epica classica (genere di opere che trasforma una tribù in una entità politica, scritte in versi, appartenenti ad un passato senza connessione col tempo della narrazione, etc), sottolineando che la restrizione operata su di essa è determinata, invece, proprio dalla necessità di affrancamento dal passato tipico dell’età moderna:
“È stata l’ossessione occidentale dell’originario a descrivere l’epica come un blocco monolitico e organico, inattingibile nella sua assolutezza: d’altronde enfatizzare la discontinuità, creando miti di passato assoluto, è uno dei modi con cui la modernità si autolegittima” (“Fra epica e romanzo”, in F. Moretti (ed.), Il romanzo, vol. II, “Le forme,” pp. 11-12). Il riferimento di Fusillo sembra in particolare diretto a Bachtin ed alla sua categoria di “passato assoluto” contenuta in Epos e romanzo, ma tocca anche altri teorici classici, da Schiller a Lukács, via, ovviamente, il già menzionato Hegel.

Le osservazioni riportate sopra di Moretti, Farrell e Fusillo sembrano centrare uno dei principali snodi polemici sollevati attorno al memorandum sul NIE pubblicato nell’aprile 2008 da Wu Ming 1, la legittimità o meno della definizione “epica” applicata alle opere elencate dall’autore in prima, seconda, e terza battuta (due edizioni del memorandum, e la recente pubblicazione del volume). [2] Ovviamente, c’è molto altro in gioco: “le categorie del dibattito pubblico” (S. Jossa), lo “scardinamento del postmoderno” (C. Boscolo), il realismo, il ruolo della critica letteraria e di chi la fa (o di chi rinuncia a farla), i generi e la loro fine, mezzo, inizio, la mitopoiesi (come mi ha ricordato Giuseppe Genna behind closed doors), la questione degli UNO come Gomorra o Sappiano le mie parole di sangue.
A me interessa la questione dell’epica, e Moretti, Farrell e Fusillo propongono sguardi prospettici che credo siano molto stimolanti e colgano nel merito.

2. Storia e narrazioni

maya_calendar.jpgAlcuni critici non accettano la periodizzazione proposta dal memorandum, 1993-2008, attribuendo un grado di eccessiva arbitrarietà al termine iniziale. Capisco l’obiezione, ma non vorrei che fosse una renitenza irriflessa, derivante dalla periodizzazione introdotta da Giovanni Gentile nella scuola dell’obbligo e che ci ha, volenti o nolenti, inculcato l’amore (o l’odio) per i (maiuscoli) secoli del Trecento, Cinquecento, e Novecento. Eric J. Hobsbawm si è sentito autorizzato ad accorciare il secolo ventesimo, ribattezzandolo “il Secolo Breve”, pur attribuendo a tale periodo una coerente prospettiva storica; Paolo Getrevi, nel suo L’incerta favola del personaggio. 1881-1923: il romanzo italiano (1995), considera un periodo letterario a sé stante il tempo trascorso tra Malombra e I Malavoglia (1881) e La coscienza di Zeno (1923), in disaccordo proprio con l’impostazione gentiliana. [3] Dunque, forse si può tentare anche in questo caso una riduzione tematico-temporale senza perdere in efficacia. E dunque, tornando all’epica:

L’uso dell’aggettivo “epico”, in questo contesto, non ha nulla a che vedere con il “teatro epico” del Novecento o con la denotazione di “oggettività” che il termine ha assunto in certa teoria letteraria. Queste narrazioni sono epiche perché riguardano imprese storiche o mitiche, eroiche o comunque avventurose: guerre, anabasi, viaggi iniziatici, lotte per la sopravvivenza, sempre all’interno di conflitti più vasti che decidono le sorti di classi, popoli, nazioni o addirittura dell’intera umanità, sugli sfondi di crisi storiche, catastrofi, formazioni sociali al collasso. Spesso il racconto fonde elementi storici e leggendari (Wu Ming, New Italian Epic, 14).

Così si esprime l’autore del memorandum, espressione che in seguito rimodulerà, sottolineando che “L’epica è un «di piú», il risultato di un particolare lavoro sulle connotazioni del racconto” (72). Forse ha ragione Wu Ming 1, o forse no. Forse è una questione di connotazione, un’ipotesi di ricerca (Moretti); forse “epica” oggi descrive un diverso soggetto, appartiene ad una diversa geografia, come sostengono Farrell e Fusillo. Siccome sembrerebbe che la questione principale sia la definizione di un territorio concettuale, potremmo al tempo stesso e più semplicemente dire con Farrell che “la rigida concezione dell’epica […] è in generale la provincia dei teorici che trovano tale teorizzazione utile ai propri fini discorsivi, e dei non-specialisti, che per definizione non si interessano troppo all’epica” (283, il corsivo è mio) [4]. In altre parole, considerare l’epica in modo strettamente classico fa correre il rischio di ridurre l’epica ad Omero, anzi alla sola Iliade, osserva Fusillo (l’avventurosa Odissea costituirebbe già un passaggio successivo, un’ibridazione del genere), terreno praticabile solo da classicisti iperspecializzati. Opinione rispettabilissima, sebbene non l’unica plausibile.

Questo basti per liquidare, per ora, la questione della forma, e perché ci si possa occupare di cosa c’è in questo territorio. Per cominciare, vorrei suggerire che Wu Ming 1, attraverso il memorandum e la definizione di un nuovo epico italiano (questo è il “sesso” preferito dall’autore, come chiarito nel recente “New Italian Epic: reazioni de panza” 1a parte), sta affermando il ritorno del “moderno” (definizione contingente, e solo perché mi trovo in mancanza di un termine migliore, anzi del termine). In altre parole, NIE appare sintesi dialettica tra la ripresa del romanzo storico (Il sorriso dell’ignoto marinaio, La storia, Le strade di polvere, etc…emersi tra gli anni ’70 e ’80) e la fine della stagione che ha visto imperversare il testo postmoderno.

motherboard.jpgL’esaurimento della spinta postmoderna, con le sue frammentazioni, i paradossi, e la metafiction, ha liberato uno spazio storico- tematico, per così dire, e sollevato la necessità di individuare agenti (opere, personaggi) che ne raccontino o interpretino le dinamiche. In anni recenti, in Italia, ciò ha generato alcuni consonanti tentativi narrativi più o meno riusciti, più o meno ambiziosi. Questa disordinata sintonia è stata interpretata da WM1 e tradotta in una “scheda madre” che accoglie e armonizza le risorse presenti ma sconnesse. L’involucro epico moderno, oggi, può partecipare a tale elastica tassonomia proprio perché scevro della rigidità e univocità tipiche del passato, sia per quanto riguarda le vicende narrate che per gli eroi che ne sono parte. E a questo proposito pare difficile dissentire da ciò che Angelo Petrella ha scritto nel 2006, e cioè che “È con l’epica della “moltitudine” che probabilmente la letteratura dovrà fare i conti per uscire definitivamente fuori dall’impasse della postmodernità” (“Dal postmoderno al romanzo epico. Linee per la letteratura italiana dell’ultimo Novecento,” in Allegoria, nn. 52-53). Credo che ciò sia esattamente quello che sta succedendo, e la presenza della moltitudine quale funzione-soggetto già evocata da Boscolo costituisce per me uno dei tratti più potenzialmente fecondi della nebulosa NIE.

3. Moltitudine

virno2.jpgSe Boscolo e Petrella hanno ragione, nelle opere in questione una certa moltitudine (poiché moltitudine non è chiunque) porta avanti, sia come rappresentatrice (autori collettivi e strumenti collettivi autoriali inclusi) che come rappresentata, la ricerca della propria soggettività, coesa ma espressione di un’unità non assoluta. La moltitudine sembra perciò poter assumere la funzione-soggetto di questo preciso momento storico, e non solo letterario. Della moltitudine alla ricerca di soggettività così parla Paolo Virno (foto a destra): “Anche i molti abbisognano di una forma di unità, di un Uno; ma, ecco il punto, questa unità non è più lo Stato, bensì il linguaggio, l’intelletto, le comuni facoltà del genere umano. […] L’unità non è più qualcosa (lo Stato, il sovrano) verso cui convergere, come nel caso del popolo, ma qualcosa che ci si lascia alle spalle, come uno sfondo o un presupposto” (Grammatica della moltitudine, 8-9, il corsivo è mio, MV).

Sfondo, presupposto, iniziatore, sovrano, Stato tralasciato: nel NIE questa unità è spesso incarnata dal Vecchio, mitologema che appartiene alla narrazione e la determina. Il Vecchio è una figura della realtà che si intreccia con il racconto. Ma è anche una figura trapassata e proprio per questo va assimilata, metabolizzata, riconosciuta, e infine superata. Uno dei tratti dominanti nelle opere NIE è proprio l’affacciarsi su una soglia—storica, politica, simbolica, allegorica—e, dunque, su una finale resa di conto; un finale di partita dalla quale ci si è già congedati, o si sta per farlo, e si è costretti a spingersi in avanti:
“Ora che il tempo finiva, ogni cosa trovava compimento” (Wu Ming, Manituana, 579);
“Migliaia di morti… Nulla sarà più come prima…” (V. Evangelisti, Black Flag, 4);
“Dopo la guerra niente era stato più come prima” (Wu Ming 4, Stella del mattino, 127);
Tu quoque, Oxford. Se perfino gli inservienti si mettevano a scioperare, forse i tempi stavano davvero cambiando” (ancora Stella, 131).

Forse non è un caso che in una recente intervista Wu Ming 1 e Wu Ming 2 abbiano rinunciato a negare la possibile morte del soggetto del memorandum, permettendo che l’intervistatore, Jadel Andreetto, ne ricavasse un necrologio e suggerisse l’ipotesi che l’evento fatale andasse letto come un momento del ciclo naturale delle cose:
“Il New Italian Epic è morto. È morto perché recava in sé il suo epitaffio con tanto di date: 1993-2008; ed è giusto che sia così, in un paese in cui non sembra morire (né nascere) mai nulla, in cui il ciclo della vita è arrugginito, inceppato.” [5]

Il NIE è morto (o morta), dunque? Nel caso, pazienza. Ad ogni modo, se davvero così fosse, è stato meglio lasciarlo che non averlo mai incontrato, per dirla con Fabrizio De Andrè. Con ciò detto, rimane il compito, individuato da Jossa, che attende chi si pone di fronte al NIE: “né liquidarlo né osannarlo, ma verificarne le potenzialità sul piano poetico” (“New Italian Epic and New Italian Criticism”; oppure, nella versione “Malavasiana”: “Non piangere né ridere, ma comprendere”, Scirocco, 64).
Aggiungerei a questo compito poetico un altrettanto chiaro ed impellente compito politico, e ritengo che sia proprio attraverso lo sguardo della moltitudine (questo è oggi il “soggetto che viene”) che dobbiamo volgerci alle rappresentazioni NIE. Il compito è quello di riconoscere ruoli, cifre simboliche, funzioni politiche in senso lato, che la moltitudine già rappresenta, dentro e fuori la letteratura.

4. Ripresa

nebula.jpgPer tornare alle dicotomie che ci hanno intralciato il cammino sin dall’inizio, e rilanciare, vorrei riproporre di nuovo alcune considerazioni di Fusillo a proposito di epica e romanzo:
“Che cosa resta a questo punto dell’opposizione fra epica e romanzo? […] L’impasse si può superare se si smette di considerare l’epica e il romanzo come due entità fisse e immutabili, e li si tratta invece come due fasci di costanti transculturali che di epoca in epoca e di opera in opera possono essere più o meno attive, e possono anche trasformarsi del tutto” (Fusillo, 12-3).
L’invito che riceviamo è dunque ad aggiornare gli strumenti interpretativi della critica letteraria per andare oltre questa nuova impasse, concettuale e storica. Fasci di costanti transculturali, entità mobili e mutanti, oggetti che si confrontano con la propria prospettiva storica presente o appena trascorsa, ne determinano alcune direzioni, ne ridescrivono modi e soggetti e ne sono ridescritti, reinterpretati: così (anche così) credo si possano — e forse debbano — leggere le opere che Wu Ming 1 ha racchiuso nella nebulosa NIE.

NOTE

1. “Comparative study establishes without question the ultimately oral and performative character of Homeric epic and in this way aligns the Iliad and the Odyssey with modern world epic as against the remainder of the ancient, medieval, and early modern tradition of “classicizing” European epic in the Homeric tradition” (J. Farrell, “Walcott’s Omeros. The Classical Epic in a Postmodern World”, in Beissinger, Tylus and Wofford (eds.), Epic Traditions in the Contemporary World, 1999, pp. 270-296). Le traduzioni da Farrell, qui e in seguito, sono mie, MV.

2. Il volume si intitola New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro (Einaudi 2009) e contiene, oltre alla versione finale del memorandum, il saggio “Noi dobbiamo essere i genitori” (già pubblicato online) e l’inedito “La salvezza di Euridice,” scritto da Wu Ming 2.

3. Essendo stato io allievo di Getrevi (negli anni 1991-1993), ho memoria diretta, orale della sua ipotesi critica. Nel 1995, poi, lo studioso ha pubblicato il libro il cui titolo cito. Ho infine scoperto in questi giorni, proprio mentre lavoravo a questo scritto, che nel 1999 è apparso Quindici episodi del romanzo italiano (1881-1923), a cura di Federico Bertoni e Daniele Giglioli, i quali scrivono che il loro “volume presenta i risultati di una ricerca sul romanzo italiano […] coordinata da Franco Brioschi, Remo Ceserani e Mario Lavagetto” (p. 11). La pur corposa bibliografia non menziona L’incerta favola del personaggio (ma ricorda un altro testo di Getrevi, Il prisma di Tozzi). Ora, non so a chi spetti la paternità di tale periodizzazione, e non voglio alludere ad alcunché. Sottolineerò solo che oggi molti critici sembrano considerare “organico” il periodo compreso appunto tra Malombra e I Malavoglia e La coscienza di Zeno. Di nuovo, opere, non autori, come sottolineerebbe forse Wu Ming 1.

4.“the rigid conception of epic […] is by and large the province of theorists, who find such a construct useful for their own discursive purposes, and of nonspecialists, who are by definition not very interested in the epic.”

5. Rilasciata a “Panorama” e pubblicata il 23 gennaio 2009.

Un grazie a Wu Ming, a Wu Ming 1, a Carmilla, e al gruppo PolifoNIE. Senza di loro, questa breve riflessione semplicemente non sarebbe.

* Maurizio Vito è dottorando in Italian Studies alla University of California a Berkeley. Si occupa di filosofia e letteratura politica e di teoria letteraria. Ha pubblicato alcuni articoli in italiano e in inglese. Questo contributo è una versione abbreviata e modificata di un saggio sul New Italian Epic e l’autore collettivo al momento in revisione presso una rivista inglese. Per saperne di più su di lui, qui.

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“SOVVERSIONE SOTTILE” DELLA LINGUA E NEW ITALIAN EPIC. APPUNTI E PROPOSTE https://www.carmillaonline.com/2009/04/22/sovversione-sottile-della-ling/ Wed, 22 Apr 2009 00:00:00 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3019 time_bomb.jpgdi Fabio Poroli*

[In calce a questo post, appuntamenti e novità dal dibattito NIE]

0. Un’analisi più attenta

Questa mia riflessione nasce da un amaro in bocca che mi ha lasciato la lettura – da una prospettiva linguistica – del memorandum di Wu Ming 1 (prima nella sua versione online e poi nella versione a stampa). Perché questa insoddisfazione? Bisogna premettere che per me le pecche nel testo sono principalmente di natura espositiva ed organizzativa, mentre il “semi-silenzio” (ovviamente per quel che riguarda la lingua) che ha seguito il memorandum e la pubblicazione è dovuto ad alcuni pregiudizi frequenti quando ci si [...]]]> time_bomb.jpgdi Fabio Poroli*

[In calce a questo post, appuntamenti e novità dal dibattito NIE]

0. Un’analisi più attenta

Questa mia riflessione nasce da un amaro in bocca che mi ha lasciato la lettura – da una prospettiva linguistica – del memorandum di Wu Ming 1 (prima nella sua versione online e poi nella versione a stampa). Perché questa insoddisfazione? Bisogna premettere che per me le pecche nel testo sono principalmente di natura espositiva ed organizzativa, mentre il “semi-silenzio” (ovviamente per quel che riguarda la lingua) che ha seguito il memorandum e la pubblicazione è dovuto ad alcuni pregiudizi frequenti quando ci si approccia ad un qualche oggetto letterario che sia linguisticamente aperto ad un pubblico ampio. Il primo frettoloso giudizio a priori è il “non è interessante” e per abbatterlo potrei fare mia (distorcendola un po’, visto che era riferita ad ogni tipo di produzione linguistica) una famosa frase di Roman Jakobson ricalcata su una più famosa sentenza di Terenzio: “linguista sum, linguistici nihil a me alienum puto“.
Da un punto di vista scientifico non c’è nulla che non sia interessante quando si parla di lingua, ogni aspetto andrebbe analizzato, anche solo a fini documentari. Naturalmente se avessi voluto fare una raccolta documentaria d’interesse scientifico (e non letterario) con relativa analisi, l’avrei fatto e basta, senza scrivere questo articolo, anzi sarebbe stato certamente più noioso raggruppare un semplice corpus di “lingua media”, ed ecco il secondo pregiudizio, contro il quale lo stesso Wu Ming 1 ha cercato subito di evidenziare come, ad una lettura più lenta dei testi NIE, emerga una certa “sovversione nascosta”, un uso ragionato della lingua con procedimenti sintattici e figure retoriche che formalmente non risaltano in modo eccessivo (paratassi, anafore, catafore, ripetizioni, ellissi, metrica).

Qualcuno si chiederà (o già si è chiesto) a cosa serva sovvertire se poi si nasconde, oppure noterà che non basta qualche figura retorica per rendere linguisticamente letterario un testo. Ma un’analisi linguistica più attenta può verificare come alcune figure retoriche non siano abbellimenti occasionali, e la stessa sovversione non per forza debba sconquassare la forma a costo di ridurre la leggibilità ed allontanare il lettore dalla storia. Questo è sicuramente ciò che Wu Ming 1 vuole sottolineare maggiormente:

“In un mondo in cui i media tendono «connotare al ribasso» ogni parola, a omologare e appiattire il linguaggio, la lingua del New Italian Epic — non interessandosi direttamente alla distruzione, ma «schivando il paradigma» (decisamente banale e puerile) dell’avanguardia che «spacca tutto» – ha indicato una possibilità di controcanto.” (New Italian Epic, p.90);
“Senza che il lettore se ne avveda (e senza che il critico nemmeno lo sospetti), sotto gli occhi – quasi sub limine – si avviano sequenze di piccole esplosioni, che producono effetti utili a portare avanti la storia. E la storia rimane sovrana. La storia è la cosa più importante. Sarebbe davvero troppo facile sperimentare con la lingua scollandola dalla storia, fottendosene della storia: così son capaci tutti! Va bene, va bene, hai trovato la frase scoppiettante, hai scritto la ‘bella pagina’, sei un domatore di parole selvagge, ma non sai raccontare una storia dall’inizio alla fine e quindi a me, lettore Wu Ming 1, di te non frega un cazzo.” (recensione di Nelle mani giuste di G. De Cataldo in Nandropausa, n. 12 su www.wumingfoundation.com).

Più che di “nascondere” la sovversione, potremmo parlare di un’attenzione ad evitare che il lettore presti eccessiva attenzione alla forma, senza per questo rinunciare a quello scarto e a quell’uso ragionato della lingua, necessari in letteratura, che differenziano la lingua letteraria dalla lingua di tutti i giorni. [1]

Questo articolo si muoverà principalmente in margine al saggio nella sua versione cartacea, che tratta di lingua direttamente nel capitolo Sovversione «nascosta» di linguaggio e stile e in Sulla lingua del New Italian Epic, collegando parallelamente altri capitoli dove non si parla esplicitamente di lingua ma che sono strettamente connessi: Epica e realismo, Il popolare, Sguardo «obliquo». Azzardo del punto di vista.

1. Sintassi, epica, realismo

cavalry.jpgLa prima considerazione riguarda i due tratti più evidenti e il cui incrocio credo indirizzi significativamente la lingua verso quel terzo polo eccentrico (cfr. nota 1): l’uso della paratassi e l’uso di connotazione e denotazione. I due aspetti si trovano separati in diverse zone del testo, essendo tuttavia profondamente legati. La paratassi viene inizialmente collegata da Wu Ming 1 ad un tentativo di resa mimetica e di simulazione [2], successivamente alla memorabilità (in parallelo con l’uso di anafore e la conseguenza di avere periodi di forte impatto che tendono a rimanere impressi, p. 86). Il lavoro sulla connotazione e denotazione viene associato soprattutto alla questione epica/realismo (anche se l’analisi è principalmente lessicale, pp. 68-69), spiegando come una parola possa corredarsi di più significati ed avere una funzione epica (connotazione) e allo stesso tempo mantenere il ruolo di rappresentanza della realtà (denotazione).

Perché l’aspetto sintattico e l’aspetto lessicale sono profondamente legati?
La paratassi non esplicita i legami tra due parti del discorso, quindi riduce la denotazione ampliando lo spettro di associazioni implicite. “[…] disporre le frasi per sequenze dai legami impliciti, in modo da produrre piccole ellissi, microscosse nel passaggio da una frase all’altra” (nota 30, p. 38) vuol dire connotare una scena, un’azione, il lettore può anche ricostruire, se vuole, una descrizione e portarla su un piano più denotativo, ma potrebbe anche non farlo, il periodo si digerisce ugualmente, si capisce forse meno ma si intuisce di più. Usare la paratassi in una battaglia è più di un semplice “velocizzare” o “simulare”, è soprattutto un connotare. La poesia spesso connota, ma la poesia si legge più lentamente e richiede molto più lavoro di lettura (generalizzo a grandi linee naturalmente). L’oscillazione negli stessi periodi tra denotazione (sostenuta da un lessico più accessibile, credo, e andrebbe approfondito) e connotazione (sostenuta da paratassi e legami impliciti) consente al testo di essere più agile senza perdere il potenziale spettro di associazioni.

Un perfetto esempio di questo procedimento parallelo è per me “polvere di sangue e sudore chiude la gola”. [3] Lessico di base, comprensibilissimo, nessi impliciti al limite delle possibilità semantiche. Wu Ming 1 si chiede perché non sia stato notato. Polv, sang, sudor, chiud, gola. La lettura veloce con cui normalmente leggiamo è come il completamento automatico delle parole sui programmi di videoscrittura: è ragionevolmente probabile che la frase sia “Polvere, sangue e sudore chiudono la gola”. Un lettore più attento noterà che quel “chiude” non può essere retto da tre soggetti e forse tornerà sulla frase, o forse, preso dall’azione, andrà avanti, perché la connotazione preserva un significato sfocato.

Questo lavoro semantico-sintattico, il sostenersi a vicenda tra paratassi e denotazione/connotazione, contribuisce corposamente alla compresenza di epica e realismo, ed è allo stesso tempo un modo per preservare la leggibilità e la storia, affinché venga linguisticamente rispettata quell’attitudine popolare propugnata con tenacia. Sempre partendo da queste categorie linguistiche traggo spunto per un altro tratto che si potrebbe analizzare ed approfondire. La paratassi è tipica della lingua parlata, la connotazione è tipica della lingua parlata, la metrica, almeno in origine, era tipica di una cultura orale…tecniche di recupero dell’oralità?[4]

2. Le figure retoriche

blowup.jpgLa seconda considerazione riguarda l’uso delle figure retoriche, descritto in entrambi i capitoletti riguardanti la lingua, la cui trattazione può suscitare una sensazione di gratuità. Generalmente s’incappa nella gratuità quando una figura retorica è fine a sé stessa, un vezzo e non un tecnica per raggiungere qualcos’altro. Ancora a secco di qualche analisi linguistica più rigorosa mi limiterò a notare come quella sensazione di gratuità sembri nascere soprattutto dall’esposizione che non sempre puntualizza su obiettivi e non sempre esemplifica a dovere (rispetto ad altre parti ben esemplificate, come per esempio quando si parla di metrica nascosta [5]).

Faccio un esempio: all’inizio di “Sovversione «nascosta» di linguaggio e stile” (p. 37) Wu Ming 1 parla di alcune estirpazioni grammaticali (assenza in alcune zone di testo di aggettivi indefiniti, avverbi in -mente, particelle pronominali) senza che vengano presentati gli obiettivi e le conseguenze di tale tecnica, con la conseguenza che possano facilmente apparire come vezzi, piccoli virtuosismi. Subito dopo parla di estirpazioni verbali e quella sensazione di gratuità sparisce, infatti viene specificato a cosa servano (“[…] nel tentativo abbastanza riuscito di rendere la confusione e la velocità dell’azione” [6]) e di come tale stile nominale s’inquadri nel fenomeno generale della paratassi . Un altro esempio può essere la trattazione dell’anacoluto (“Anche il frequente uso dell’anacoluto non ha soltanto il fine di «riprodurre la lingua di tutti i giorni», ma è un altro esempio di lavoro sui nessi logico-sintattici”, p. 90), che, non essendo corredata da esempi e da una spiegazione dei risultati che ottiene l’uso del fenomeno, risulta abbastanza infelice.

Invece credo che analizzare in modo soddisfacente l’uso delle figure retoriche non sia fine a sé stesso, anzi consentirebbe di puntellare e spiegare meglio gli altri tratti del NIE (come già si è visto per l’uso della paratassi e per la connotazione/denotazione). Lo dimostra lo stesso Wu Ming 1 notando ad esempio posticipazioni verbali, che fanno oscillare un dialogo tra discorso diretto libero e discorso diretto legato e portano ad un’incertezza del punto di vista [7], oppure anafore associate ad una forte scansione paratattica che favoriscono la memorabilità di un periodo (p. 86).

Le stesse figure retoriche non sono sempre associate agli stessi obiettivi, è infatti frequente che raggiungano risultati diversi. Le anafore, accostate nel saggio principalmente alla memorabilità, possono servire per estendere o fissare un determinato punto di vista. Al riguardo propongo due esempi: nella recensione di Nelle mani giuste Wu Ming 1 individua proprio nell’estensione del punto di vista una funzione portante delle anafore usate nel romanzo (“l’anafora dota il nostro occhio di una funzione “multiscatto”, così possiamo girare intorno a un oggetto, un luogo, un personaggio, fotografandolo da ogni angolatura, “scansionandone” la personalità”). Ecco uno degli esempi che Wu Ming 1 riporta:

“Ilio Donatoni era un uomo alto, forte, elegante, bello e virile come un attore del cinema americano. Ilio Donatoni era venuto su dal niente, e sul niente aveva costruito un impero. Ilio Donatoni si era infiltrato in una robusta dinastia avvizzita dalle rughe del successo e l’aveva innervata con il suo sangue corsaro. Ilio Donatoni aveva sempre la battuta pronta e non perdeva mai la calma.” (recensione di Nelle mani giuste di G. De Cataldo, cit.)

Nello stesso saggio New Italian Epic c’è un esempio di cui si serve Wu Ming 1 nell’ambito dello “sguardo obliquo”, dove è presente la ripetizione della parola sguardo per cinque volte:

“Lo sguardo è a diecimiladuecento metri sopra Milano, dentro il cielo. E’ azzurro gelido e rarefatto qui. Lo sguardo è verso l’alto, vede la semisfera di ozono e cobalto, in uscita dal pianeta. La barriera luminosa dell’atmosfera impedisce alle stelle di trapassare. C’è l’assoluto astro del sole sulla destra, bianchissimo. Lo sguardo ruota libero, circolare, nel puro vuoto azzurro. Pace. Lo sguardo punta ora verso il basso. Verso il pianeta. Esiste la barriera delle nuvole: livide. Lo sguardo accelera.” (Incipit di Grande Madre Rossa di G. Genna, citato in New Italian Epic, pp. 30-31)

Qui l’anafora da una parte focalizza sul finto soggetto, lo “sguardo disincarnato”, e dell’altra fissa e cerca di spiegare quel punto di vista inusuale. Questo non vuol dire che tutte le figure retoriche usate siano finalizzate al raggiungimento di un determinato risultato, alcune possono anche essere semplici abbellimenti, certamente un lavoro critico su queste può servire a levare da alcuni libri l’etichetta di “letteratura di genere colorita”.

3. La lingua dei Mohock in Manituana

mohock2.jpgÈ proprio contrariamente alle aspettative della letteratura di genere ed in particolare del romanzo storico che in Manituana avviene qualcosa d’inaspettato: una variazione di registro stilistico e linguistico associata all’irruzione del comico. Qualche passo era stato fatto in 54 (gli accesi battibecchi al Bar Aurora) ma qui lo stacco è molto più forte. A livello extralinguistico cambia completamente il luogo (non più in America, ma a Londra), mentre a livello linguistico si presentano delle variazioni di registro che raggiungono il massimo spicco nelle imprese dei Mohock londinesi. Il registro “epico” usato fin a questo punto del romanzo viene messo in crisi lentamente: di fronte alla prima scorribanda dei Mohock di Londra il vetturino che conduce la carrozza del nobile cerca di comportarsi valorosamente soprattutto con la lingua che usa: “— Chi si avvicina è morto, — ringhiò dalla cassetta.”, e poco dopo “— Non temete, signore, venderemo cara la pelle”. Il registro usato s’inceppa di fronte a quei banditi un po’ squilibrati, che si limitano a colpire il sedere del “milordone” e a derubarlo. La lingua lentamente muta nel seguire quei criminali, fino a diventare quasi un’altra lingua nell’episodio della taverna di Occhiosolo Fred. Ripropongo come campione di questo registro l’incipit dell’episodio:

“Occhiosolo Fred locchiava le mignotte da dietro il banco della taverna. Era in un cortile di Tottenham Court Road, in mezzo a quello che chiamavano, con rispetto parlando, «l’isolato dei tagliagole» di Soho. Da vent’anni, pure se priva di insegne, portava il suo nome, Taverna Occhiosolo, cioè da quando Fred era sbarcato per sempre da gusci e legnacci sopra la terraferma, e con i quattro denghi che aveva gagnato tra paghe, ruberie e contrabbandi, s’era comprato quella stamberga per diventare un poldo bigio e ciucco in santa pace, e si fottesse l’acqua salata. L’affare era ganzo, il gagno sicuro, il truciolo in saccoccia allora non faltava, e la ciangotta ce l’aveva giusta per ispirare il rispetto. Il resto l’avevano fatto l’occhio guercio, ché uno buono era abbastanza per locchiare quello che si doveva locchiare, qualche sfregio a mescolare i tratti e l’espressione, la ghigna storta e i quattro zughi rimasti nel truglio, marci e affilati come quelli di un pescecane morto. S’era ritrovato oste.”

Questo registro porta con sé sia la funzione mimetica di ambientazione dei bassifondi londinesi (ricorda i gerghi della criminalità, anche se il paragone più vicino si può fare con Arancia Meccanica, con la cui traduzione italiana condivide molte trovate lessicali [8]) sia una differenziazione, ulteriore elemento che crea lo stacco tra i confini ed il centro dell’Impero Britannico, tra epica e comico.

La variatio stilistica e linguistica, oltre ad essere evidente per quel che riguarda le avventure dei Mohock londinesi, si trova in altri luoghi del viaggio a Londra, basti pensare alla descrizioni dei nobili nel ricevimento o alla lingua ibrida usata dagli artificieri italiani: (“Sans de machine, de fires sont nud, compris? Nud. Let de Germans being de Germans, we do different, con l’argent of de Lord”).

4. Non è che l’inizio

Epica e realismo, popolare, (oralità), punto di vista, memorabilità. Anche se fossero solo questi i tratti che sfruttano tecniche linguistiche, basterebbe per ritenere molto importante un’analisi della lingua. Dopo sarebbe anche possibile contestualizzare storicamente la lingua letteraria del NIE, verificare se pure linguisticamente ci sia uno stacco dopo il fatidico 1993 (anche se non è facile, i saggi ed articoli sulla lingua della letteratura contemporanea pre e post 1993 sono davvero pochi rispetto alla mole di roba linguistica che si pubblica ogni anno). Per ora credo sia utile:
1. analizzare ed esemplificare meglio l’uso della paratassi;
2. fare qualche indagine sul lessico;
3. stringere il nodo sullo stretto legame tra paratassi e denotazione/connotazione;
4. collegare questo uso sintattico-lessicale all’epica/realismo ed al popolare;
5. esaminare i risultati dell’uso di figure retoriche (memorabilità, lavoro sul punto di vista ma anche anacoluti e figure meno appariscenti);
6. varie ed eventuali (oralità, metrica nascosta, cambiamenti di registro…).
Linguisti, fatevi avanti.

NOTE

1. Non può considerarsi “semplice” un lavoro linguistico che tenti di riportare l’attenzione sulla vera storia, dopo anni di ubriacatura formale (non intendo barocchismo, ma eccessiva attenzione al “bel motto” di buona parte della letteratura), evitando una lingua media che non permetterebbe di sorreggere gli altri tratti ritenuti peculiari del NIE (come qui cercherò di dimostrare). Lo stesso Wu Ming 1 corregge il tiro specificando come la “sovversione nascosta” non sia fine a sé stessa ma tenda ad un “terzo elemento eccentrico, […] una lingua (letteralmente) inaudita” che superi i due poli della lingua di servizio e della lingua estrema (cfr. New Italian Epic, p. 88).

2. Anche se in questo caso si tratta di un caso particolare di paratassi (come non manca di precisare Wu Ming 1) che è lo “stile nominale” presente in alcune parti di Q. In nota l’obiettivo viene allargato sul fenomeno sintattico più generale (New Italian Epic, p. 38), anche se i risultati dell’uso paratattico in generale rimangono inespressi.

3. Esempio in New Italian Epic (p. 30) che Wu Ming 1 prende dall’incipit di Q. Il procedimento che porta da “polvere, sangue e sudore chiudono la gola” alla frase com’è presente nel romanzo è un enallage, come suggerisce Tiziano Scarpa (in L’epica-popular, gli anni Novanta, la parresìa, nota 9, su ilprimoamore.com). Al successivo quesito di Wu Ming 1 (“che genere di enallage?”, si domanda in Wu Ming / Tiziano Scarpa: Face Off), PDF qui), si può rispondere che è un enallage non grammaticale bensì microsintattico, in cui, dei tre soggetti, due cambiano categoria e diventano determinanti del primo, con risultato sinestetico.

4. Parlo di oralità pensando alle origini dell’epica e volutamente forse esagero, tuttavia, escludendo qui la memorabilità così strettamente connessa a queste che potremmo chiamare “tecniche di recupero dell’oralità”, si potrebbe andare a vedere quanto siano ascoltabili queste opere, oltre che leggibili. Cfr. la risposta di Wu Ming 1 alla seconda domanda di Derrick De Kerckhove nell’audio della conferenza sugli oggetti narrativi non-identificati intitolata “Bisogna farlo, il molteplice”, Milano, 4 marzo 2009, ascoltabile qui.

5. Altro aspetto molto interessante, che si lega come già detto alla memorabilità e all’oralità (“È lo spettro del poema epico che appare a noi, […] nascosto nel romanzo”) per quanto le parti in metrica andrebbero comunque contestualizzate e comparate rispetto a tutto il testo (cfr. New Italian Epic, p. 84-85).

6. Come recita la recensione (ottobre 2004) del sito www.threemonkeysonline.com citata nel saggio (p. 38).

7. L’esempio (p. 40) che Wu Ming 1 fa è tratto dal romanzo La vita in comune di Letizia Muratori:
“- Ah, ecco, sei tornato, bene.
Mi disse Isayas, in piedi davanti alla reception.
– Preparati che ce ne andiamo, hanno telefonato. E’ tutto risolto.
Concluse. E chiese al filippino di preparargli il conto.
– E’ già stato saldato, tutto.
Rispose.
– Chi l’ha saldato? Non è possibile.
Lo aggredì Isayas.”

8. Personalmente non so quanto il lessico della traduzione di Arancia Meccanica abbia attinto dai gerghi della criminalità e quante parole siano invece state coniate. Sulla scorta di una brevissima quanto incompleta ricerca mi sembra venga usato anche lo slang bolognese, mentre altre parole ipotizzo siano neoformazioni.

* Fabio Poroli si è laureato in Studi linguistici e filologici e sta conseguendo una laurea specialistica in Linguistica.

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LINK CORRELATI

Compagnia Fantasma, Mohock Club Suite. Radiodramma sguanato ma tamagno, tratto da Manituana. Registrato live allo Stalker:Reloaded, Padova, il 24 novembre 2007. Attori: Daniele Bergonzi, Andrea Giovannucci. Musiche: Stefano D’Arcangelo, Alessandro Giovannucci.

Wikipedia, Indice delle figure retoriche. Dalla A di “Accumulazione” alla Z di “Zeugma”.

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NOVITÀ SUL NEW ITALIAN EPIC
Interventi e iniziative varie

depascale.jpg MERCOLEDI’ 22 APRILE, MODO INFOSHOP, BOLOGNA.
Di New Italian Epic si parlerà [stasera] mercoledì 22 aprile h.21, alla libreria Modo Infoshop di via Mascarella 24/b, Bologna.
Gaia De Pascale presenta infatti il suo libro
Wu Ming. Non soltanto una band di scrittori (Il Melangolo, 2009), introdotta e coadiuvata da Girolamo De Michele e Jadel Andreetto dei Kai Zen.
L’ultima parte del saggio tratta della pubblicazione on line del memorandum e del dibattito che ne è seguito.
Una lettura del libro di Gaia De Pascale alla luce del dibattito sul NIE è quella proposta da Claudia Boscolo, leggibile qui.
[Al momento di scegliere una foto da accostare a queste righe, abbiamo optato per quella dell’autrice. Gli ammiratori di De Michele e Andreetto possono comunque rivolgersi a Google Images.]

WU MING 2: INTERVISTA A MOMPRACEM SUL NEW ITALIAN EPIC
MP3, 128 k, 19 MB. Durata: 21 minuti. Mompracem è un “settimanale avventuroso di letteratura” che va in onda tutti i sabati alle 17:30 su Radio Città del Capo, Bologna.
Quest’intervista ci sembra molto, molto chiara e può essere un ottimo punto d’ingresso al dibattito sul NIE.

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L’EPICA, L’EVENTO, IL DISASTRO, IL CORAGGIO https://www.carmillaonline.com/2009/04/08/lepica-levento-il-disastro-il/ Wed, 08 Apr 2009 10:49:20 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3000 earthquake_1906.jpgdi Federico Simonetti * [In calce a questo post, novità dal dibattito sul NIE: interventi, file audio, iniziative pubbliche]

“Quando il nemico è molto forte, non basta vincerlo. Bisogna saper sognare un mondo nuovo.” Wu Ming 2, Pontiac, storia di una rivolta

Dopo molti mesi di discussione, il memorandum sul New Italian Epic ad opera di Wu Ming 1 è, a tutt’oggi, uno degli argomenti di dibattito più interessanti della critica letteraria italiana. Provenendo da freschi studi di filosofia politica, mi è parso di individuare dei punti di contatto tra la filosofia di Alain Badiou ed alcuni aspetti del discorso sul NIE. [...]]]> earthquake_1906.jpgdi Federico Simonetti *
[In calce a questo post, novità dal dibattito sul NIE: interventi, file audio, iniziative pubbliche]

“Quando il nemico è molto forte, non basta vincerlo.
Bisogna saper sognare un mondo nuovo.”
Wu Ming 2, Pontiac, storia di una rivolta

Dopo molti mesi di discussione, il memorandum sul New Italian Epic ad opera di Wu Ming 1 è, a tutt’oggi, uno degli argomenti di dibattito più interessanti della critica letteraria italiana. Provenendo da freschi studi di filosofia politica, mi è parso di individuare dei punti di contatto tra la filosofia di Alain Badiou ed alcuni aspetti del discorso sul NIE.
Alain Badiou è un autore francese contemporaneo finora poco conosciuto in Italia. È stato un allievo di Althusser e Lacan oltre che un critico di Deleuze [1]: il suo discorso parte da una rilettura della filosofia dell’essere come teoria matematica ed arriva a definire un sistema teorico-politico piuttosto complesso, ma estremamente stimolante. Tra gli interessi di Badiou, infatti, c’è una serrata critica al post-moderno nelle sue chiavi politiche, artistiche e più strettamente filosofiche [2]. Nel suo discorso il tema dell’evento ricopre un posto centrale: un evento per Badiou è un accadimento eccezionale che non era previsto e prevedibile nel normale scorrere del tempo. Nel momento in cui si verifica, esso sconvolge completamente le regole di un mondo e rivela che esso non funziona come si è sempre pensato. Riprendendo un esempio che Wu Ming 2 fa nel suo saggio La salvezza di Euridice [3], possiamo dire che nel mondo dell’astronomia, prima di Copernico, le regole che facevano funzionare l’universo erano quelle dell’eliocentrismo: ma le teorie di Copernico costituivano un evento, imprevisto ed imprevedibile, che ha modificato indelebilmente le regole dell’astronomia portando ad essere qualcosa che prima non era, ossia che la terra gira intorno al sole.

Ciò che mi è parso in particolare compatibile tra i due dispositivi è una serie di suggestioni: da un lato, il concetto di mitopoiesi affrontato da Wu Ming e, dall’altro, quello del soggetto raro ed eroico per come ne parla Badiou. Il mio tentativo è quello di stimolare un discorso politico di analisi dei miti fondativi che già adesso si producono all’interno dei gruppi umani, delle grandi narrazioni i cui effetti sono in atto nelle nostre metropoli e che sta a noi cogliere, se ci riteniamo in grado e vogliamo, anche solo minimamente, invertire la tendenza al disastro che pare circondarci inesorabile.

La nebulosaWu Ming 1 costruisce il suo discorso sostenendo che una corposa nebulosa di romanzi apparsi in Italia tra il ’93 ed i nostri giorni condividono un tono epico. Ma a cosa pensiamo parlando di epica e come facciamo a definire i contorni di un discorso o di un clima epici? Wu Ming 1, nel suo Memorandum spiega il senso di ciò che intende per “epica” in questo modo:

Queste narrazioni sono epiche perché riguardano imprese storiche o mitiche, eroiche o comunque avventurose […] sempre all’interno di conflitti più vasti che decidono le sorti di classi, popoli, nazioni o addirittura dell’intera umanità […] spesso il racconto fonde questi elementi storici e leggendari, quando non sconfina nel soprannaturale […] Inoltre, queste narrazioni sono epiche perché grandi, ambiziose, “a lunga gittata”, “di ampio respiro” e tutte le espressioni che vengono in mente. Sono epiche le dimensioni dei problemi da risolvere per scrivere questi libri, compito che di solito richiede diversi anni, e ancor più quando l’opera è destinata a trascendere misura e confini della forma-romanzo […][4].

Il discorso non ci aiuta a definire effettivamente cosa intendiamo per epica. Ci dice piuttosto in che senso possono essere epici questi romanzi, ma non definisce in alcun modo l’epicità: dire che queste narrazioni rimandano ad imprese “mitiche”, “eroiche” o “comunque avventurose” non risolve il problema della definizione dell’epica dato che mito, eroismo ed avventura sono strumenti della narrazione epica che però non la spiegano.

Più avanti, nelle aggiunte alle versioni 2.0 e, soprattutto, 3.0 del Memorandum e raccolte nel saggio autonomo Sentimento Nuevo [5], ci viene esposto in maniera più chiara per quale ragione chiamare in gioco l’epica: essa sarebbe legata ad un lavoro sul tono e sul «desiderio di spazio, di scarti e differenze, di scontro, sorpresa, avventura» [6] del lettore. A differenza del realismo, al quale per Wu Ming 1 l’epica non si oppone, l’epica è un lavoro sulla connotazione del testo, un lavoro che coinvolge i significati più disparati, figurati e non, che uno stesso testo può avere all’interno di una comunità. Un autore epico lavora appunto su tali connotazioni e producendo un “di più”: usando una definizione piuttosto canonica, possiamo definire un’opera epica come un complesso di narrazioni, di avventure che hanno come protagonista un eroe, una figura mitica (è indifferente se esso sia un singolo o un gruppo, una moltitudine) che si svolgono tra imprese di statura e difficoltà eccezionali. Uno dei caratteri dell’epica è infatti precisamente la sproporzione che si crea tra ciò che l’eroe è e fa ed il resto dei mortali: «l’epica è iperbole che produce attrito — o addirittura scontro aperto — tra familiare ed estraneo» [7] e così facendo produce un effetto di perturbanza generato dal tono sovraccarico generale. Questa specificità dell’epica è ben evidenziata dai due interventi di Wu Ming 4 a proposito della figura di Beowulf [8]: in breve, la figura dell’eroe serve da monito e da esempio per chi assiste alla sua impresa e, attraverso di essa, tutto un nuovo sistema di valori acquisisce senso, viene elaborata una nuova grammatica. L’eroe sposta in avanti il limite dell’umano, funge da nuovo paradigma per l’azione di chi rimane, funzionando da monito anche nella sua fine: proprio perché l’eroe è essenzialmente eccedente, anche la sua fine è figlia di questo eccesso. Come tuttavia ci mostra Wu Ming 4 la narrazione non si esaurisce con la vicenda dell’eroe: essa è spesso soltanto l’argomento principale della narrazione, a cui però si aggiungono un’altra serie di racconti che hanno poco a che fare con la vicenda centrale. Pensiamo a quante vicende “collaterali” circolano all’interno dell’opus omerico: nella stessa Iliade, quello che dovrebbe essere l’argomento centrale — la guerra di Troia e la conseguente morte di Achille — non sono sempre al centro della narrazione, né la narrazione è centrata su di esse (il racconto parte in ritardo rispetto alla guerra stessa poiché siamo nel corso dell’ultimo anno della guerra e finisce in anticipo, prima che Achille muoia). In effetti ciò che l’epica ci comunica è, spesso, solo una vicenda particolare con un denso significato universale: una vicenda con forti connotati generici, un evento che, se slegato dai dati contingenti, si può leggere attraverso le infinite evenienze della vita umana. Rimane da chiarire, tuttavia, che relazione abbia questa narrazione con la produzione di un soggetto: se, cioè, un’epica venga prima o dopo che il racconto si è concluso.

La nebulosaIl rischio è quello di finire in un disastro, nel senso che Alain Badiou conferisce al termine nel suo testo sull’Etica [9]. Per Badiou l’evento politico ha la particolare caratteristica di fare apparire dal vuoto qualcosa che precedentemente non era ritenuto essenziale in un determinato “mondo” [10]: il vuoto presente in tutti i mondi, è la parte del mondo che noi non riusciamo ancora a vedere, a considerare, contiene quegli elementi invisibili che non siamo in grado ancora di considerare (come le orbite planetarie prima di Copernico). Questo vuoto è dunque produttivo, da esso spunta fuori ogni tanto “qualcosa”, qualcosa che era prima invisibile. Un evento straordinario è capace di scardinare l’ordine precedente del mondo facendo venire all’evidenza, dal vuoto, quello che non era precedentemente evidente e la cui emersione rivela delle nuove verità. Ma questo vuoto non si esaurirà mai, non è possibile una emersione dal vuoto completa, una volta per tutte: stabilire che ci sia il vuoto e che, per quanta potenza possa avere un evento o una sequenza di conseguenze, esso non si esaurirà mai — perché testimonia della infinitezza dell’essere come pura molteplicità — è la base necessaria perché l’evento non generi il Male. Il vuoto contiene, infatti, l’infinità di possibilità di una situazione; negare tale infinità di possibilità è estremamente pericoloso. La forma del Male che Badiou identifica con il simulacro consiste appunto nel non cogliere l’evento come possibilità del vuoto, ma come irruzione del pieno della situazione precedente. È questo, per Badiou, il caso del nazionalsocialismo che usa le categorie storiche dei movimenti di emancipazione (rivoluzione, rapporto privilegiato con le masse, elogio della figura del lavoratore), ma non per trarne una politica emancipatrice ed egualitaria, basata sulla possibilità che nuovi sfruttati possano sempre emergere dal vuoto, ma stabilisce un “pieno” a partire da una situazione esistente, che non ha un riscontro nell’universale e risulta ristretto alla sola “Nazione Tedesca”. L’evento/simulacro ha la stessa forza di un evento vero e però, proprio in quanto simulacro, esso fa riferimento a qualcosa che c’è già, non è aperto alle possibilità, ma chiude gli orizzonti fino ad eliminare tutti quegli elementi che non risultano rappresentabili (è il caso del termine “ebreo”).

L’emergere in situazione di un evento provoca, per Badiou, l’emersione di una verità. Essa trasforma i codici di comunicazione e cambia il regime delle opinioni: non è che queste divengano più o meno vere, dato che non è loro compito essere vere o no, ma possono essere cambiate o orientate in modo che ne entrino di nuove nel discorso e che altre preesistenti divengano insostenibili.

A mio parere la riflessione di Badiou sul Male come simulacro ha molto a che vedere con quella che Wu Ming, sulla scorta di Furio Jesi e Karoly Kerenyi, fa sul “mito tecnicizzato”. Dicono infatti i senza nome:

Il mito tecnicizzato si rivolge sempre a quelli che Kerenyi chiamava “dormienti”, ovvero persone il cui spirito critico è assopito, perché le potenti immagini evocate dai tecnicizzatori hanno travolto la coscienza e riempito l’inconscio. […]
Al contrario, un approccio “genuino” ai miti richiede lo stato di veglia e la disponibilità all’ascolto. Dobbiamo porre quesiti al mito e accogliere le risposte che ci dà, dobbiamo studiare i miti, andarli a cercare nei loro territori, con umiltà e rispetto, senza tentare di catturarli e condurli a forza nel nostro mondo e nella nostra realtà contingente.
Il mito tecnicizzato è sempre “falsa coscienza”, anche quando si opera “a fin di bene”. Soprattutto quando si opera a fin di bene. In un saggio intitolato Letteratura e mito, Jesi si chiedeva: “Com’è possibile indurre gli uomini a comportarsi in un determinato modo – grazie alla forza esercitata da opportune evocazioni mitiche -, e successivamente indurli a un atteggiamento critico verso il movente mitico del loro comportamento?”. E si rispondeva: “Non sembra praticamente possibile”.[11]

nebulosa3.jpgCiò che è in questione, vediamo, è la veridicità del mito, come capace di fondare un nuovo linguaggio: è possibile che l’evento di Badiou abbia a che fare strettamente con quello che i Wu Ming intendono con il mito “genuino”, e non è improbabile che possa essere esso a produrre una mitologia, come sua conseguenza. Un mito, infatti, deve essere innanzitutto dichiarazione su un avvenimento o una serie di avvenimenti. Lawrence d’Arabia fa di se stesso e della sua avventura un mito: di fatto la narrazione contenuta ne I sette pilastri della saggezza [12] crea l’evento-Lawrence, ma non perché crea ex nihilo ciò che gli è avvenuto. L’evento-Lawrence diviene tale partendo da qualcosa di esistente e di accaduto sul quale Lawrence è capace di fare un discorso che travalichi il limite del singolo e riesca ad elaborare un discorso generico: il punto è che l’evento stesso (ovvero ciò che inevitabilmente viene prima di questa narrazione-dichiarazione), per evitare di dar luogo ad un disastro o ad un mito “tecnicizzato” dovrà aver avuto un contenuto universale. La narrazione, dunque, segue sempre l’evento, ma è condizionata dalle sue dichiarazioni universali e dalla sua capacità di trascendere gli attuali limiti della situazione, se il suo tentativo è di essere fondativa di una comunità non orientata al disastro. Ma il ruolo della narrazione non si esaurisce in questo: fin qui c’è solo l’opera dell’eroe e la testimonianza di chi ha memoria dell’evento. L’eroismo del narratore sta nella sua capacità di far sì che l’opera prosegua, che generi conseguenze e linee di fuga.

Se la narrazione, infatti, viene sempre ad eventi finiti (e dunque li rispecchia) il suo ruolo è anche quello di testimoniare della superabilità di certi limiti, della loro vacuità all’interno di ogni situazione, di anticipare ed anche prefigurare la strada del soggetto. Mi vengono in mente alcune parole di un teorico poco amato dai Wu Ming (forse per gli accostamenti tanto frequenti quanto poco pertinenti) che, nel suo opus magnum scrive così:

Quella che si chiama “cultura” rispecchia, ma anche prefigura, in una data società, le possibilità di organizzazione della vita. La nostra epoca è caratterizzata, fondamentalmente, dal ritardo dell’azione politica rivoluzionaria rispetto allo sviluppo delle moderne possibilità della produzione, le quali esigono una superiore organizzazione del mondo.[13]

nebulosa4.jpgAl di là del carattere forse eccessivamente sociologico di questa riflessione di Debord, mi pare effettivamente che tra i compiti di chi si propone di scrivere un’epica ci debba stare un’analisi delle fondamenta del nostro immaginario collettivo e, sulla base di essa, il lancio di ponti verso l’universo delle possibili destinazioni. È chiaro che lo strumento privilegiato, in questo, debba essere l’allegoria: ma essa si ferma al punto della comunicazione letteraria. Bisogna fare un passo in più: si deve fare come Paolo di Tarso — o, se vogliamo, come il Paolo che descrive Badiou [14] — e metterci la faccia, le gambe, andare in giro per il mondo e continuare a dichiarare l’evento, avendo bene in mente che non si tratta solo di scrivere lettere, ma di mettere in piedi una critica militante. Per fare questo occorre una capacità che in questo momento appare, quella sì, rara ed eroica: il coraggio di dire, ma anche di dire essendoci, della parresìa. A questo proposito ho molto condiviso l’intervento di Tiziano Scarpa a proposito di epica popular ed anni ’90 [15]: pur non condividendo molte delle critiche che fa al fenomeno-NIE, mi sembra che centri il problema di questo mondo nel quale perdere la faccia è quasi impossibile, come se l’essere impiantati in una società che basa quasi tutto sull’immagine ci avesse immediatamente dotati di una continua lavabilità delle nostre reputazioni. E ciò è probabilmente avvenuto anche a causa del disincanto post-modernista che, con la giusta radicalità, il nuovo tono epico italiano cerca di contrastare. Tornare a metterci la faccia ci priva della maschera dell’ironia e ci espone allo scandalo rappresentato dalle nostre dichiarazioni, finalmente di nuovo serie, di nuovo capaci di prenderci sul serio quando diciamo qualcosa: un prenderci sul serio che testimoni dell’aver contezza della nostra memoria, perché anche quella si è come smarrita nel marasma post-modernista.

Il punto è che, almeno allo stato attuale delle cose, non mi pare che un’opera di ricomposizione delle storie sia stata fatta: essa è da fare, da costruire e da elaborare con il contributo di tutti. Siamo allo stadio degli aedi che, prima di una sistematizzazione scritta, generano miti sulla base di ciò che è avvenuto, a cui hanno assistito o su cui si sono documentati. Il passo successivo è l’intervento di un autore capace di dare un senso complessivo a tutte queste narrazioni, in corrispondenza (o in preparazione?) di un evento che sia capace di condensarle. L’evento che ha aperto la fase alla quale fanno riferimento gli autori nuovepici è, da un punto di vista strettamente politico, identificabile con le lotte zapatiste e le linee di fuga che si sono aperte a partire da esse in Europa e nel resto del mondo; l’evento campale che ha mostrato gli errori e la potenziale caduta può essere identificato in Genova 2001: se saremo capaci di cogliere o di configurare, di anticipare o solo di dichiarare in tempo un nuovo evento, ciò avverrà solo attraverso una cosmogonia, nel senso forte. Abbiamo bisogno di un Esiodo che tiri le fila e tracci le rotte, che torni a segnare le differenze tra il bene ed il male, poiché ogni epica è anche, in un senso profondo, una teodicea, una indagine sul cosa e sul perché del male del mondo, ma a partire dalla definizione di ciò che è bene, ovviamente in un senso né moralistico né religioso.

Ma abbiamo bisogno anche di eroi, di soggetti che elevino l’impotenza all’impossibile e che si sottraggano al servizio dei beni, che è invece l’impotenza del possibile: solo l’impossibile che l’eroe compie è quel reale che può farci superare l’impotenza. Dobbiamo dimostrare che ciò che il potere dichiara come impossibile può essere immediatamente reale, che si da già non appena si scalza il potere, l’ordine esistente. L’atto dell’eroe dimostra che ciò che reputiamo impossibile si può fare, basta usare tutto il nostro coraggio.

NOTE

1. Alain Badiou, Deleuze, il clamore dell’essere, Einaudi, Torino 2004.

2. Per avere un’idea chiara del senso dell’opera di Badiou cfr. Alain Badiou, Manifesto per la filosofia, Cronopio Edizioni, Napoli 2008.

3. Wu Ming 2, “La salvezza di Euridice”, in Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Einaudi, Torino 2009, pagg. 126-199.

4. Wu Ming 1, “New Italian Epic”, in New Italian Epic…, op. cit., pag. 14-15.

5. Wu Ming 1, “Sentimento Nuevo”, in New Italian Epic…, op. cit., pagg. 63-99.

6. Ivi, pag. 69.

7. Ivi, pag. 72.

8. Wu Ming 4, Da Camelot a Damasco, wumingfoundation.com, 3 novembre 2008.

9. Alain Badiou, L’etica, saggio sulla coscienza del male, Edizioni Cronopio, Napoli 2006.

10. Con il termine “mondo” Badiou identifica ciò che, fino all’inizio degli anni zero, aveva identificato col termine “situazione”. Semplicemente, un mondo è uno stato di cose, rappresentabile come un insieme (nel senso della teoria degli insiemi di Cantor, quella che si studia alle elementari) i cui elementi devono essere presentati e ri-presentati (ossia rappresentati) affinché il sistema funzioni.

11. Wu Ming, Giap #6, IXa serie – DIECI ANNI FA USCIVA Q, marzo 2009.

12. Thomas E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza, Bompiani, Milano 2000.

13. Guy Debord, La società dello spettacolo, Massari, Bolsena 2002.

14. Alain Badiou, San Paolo, la fondazione dell’universalismo, Edizioni Cronopio, Napoli 1999.

15. Tiziano Scarpa, L’epica-popular, gli anni Novanta, la parresìa, Il Primo Amore, 2 marzo 2009.

* Federico Simonetti è laureato e specializzato in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli con un lavoro su Alain Badiou. Si interessa di democrazia radicale, pensiero critico, critica al postmoderno e mediattivismo.

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LINK CORRELATI

Simone Sarasso, L’Apocalisse formato NIE. Fine e nuova nascita del mondo nella narrativa italiana contemporanea. Novembre 2008.

Claudio Coletta, Storie di sopravvissuti. Lottare contro il probabile, sperimentare l’inverosimile, mettere alla prova la realtà. Dicembre 2008.

Valter Binaghi, L’epica tra conformismo e sovversione, settembre 2008.

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NOVITÀ SUL NEW ITALIAN EPIC
Interventi, conferenze e iniziative varie

kickass.jpg WU MING / TIZIANO SCARPA: FACE OFF
E’ on line da qualche giorno il pdf completo della risposta di Wu Ming 1 a Tiziano Scarpa.
Riassunto delle puntate precedenti: il 2 marzo 2009 lo scrittore veneziano Tiziano Scarpa pubblica sul sito “Il primo amore” un denso articolo intitolato “L’epica/popular, gli anni Novanta, la parresìa”, nel quale critica l’impostazione del memorandum di WM1 sul New Italian Epic.
Wu Ming 1 coglie al balzo l’occasione per scrivere – e pubblicare in tre puntate sul medesimo sito, a partire dal 16 marzo – un testo che non vuole essere soltanto una risposta sui punti specifici, bensì un confronto a tutto campo tra due poetiche, due concezioni dello scrittore e del suo ruolo, “due modi di gettare il proprio corpo nella lotta”. La terza puntata è andata on line il 29 marzo, come anche il pdf completo. Alla data del 7 aprile quest’ultimo, lemme lemme e senza particolari annunci, era già stato scaricato 742 volte – media giornaliera notevole, per un testo in apparenza “circoscritto”. Ennesimo segnale che il dibattito interessa anche quando va più in profondità.

letonline.gif LA RIVISTA LETTURE RECENSISCE NEW ITALIAN EPIC
Sul n. 656, aprile 2009, “Letture” – rivista di letteratura delle edizioni Paoline – manifesta interesse e rispetto per il tentativo di sondare e illuminare una nebulosa di opere “figlie della crisi”, che tornino a “manifestare fiducia nel ruolo sociale degli intellettuali e nel potere salvifico e fondativo della parola”. La recensione si trova qui.

Wu_Ming_Legione.jpg NOI SAREMO LEGIONE: UN PESCE D’APRILE NIE
Un contributo al dibattito sul NIE può presentarsi in qualunque forma, anche quella di un “pesce d’aprile”. L’1 aprile scorso sul blog “Malpertuis” è apparsa la dettagliata anteprima/pre-recensione del… nuovo romanzo di Wu Ming, un horror mutante e fantapolitico intitolato Noi saremo legione. Copertina, blurb, trama, analisi del libro e riflessione sulla sua appartenenza alla nebulosa, mappatura preventiva delle reazioni della critica: tutto radicalmente verosimile. Il misterioso Elvezio Sciallis ha messo insieme un “oggetto teorico/narrativo non-identificato” coi controcazzi, che getta luce su punti di forza e aporìe in un modo che molti critici “militanti” possono soltanto sognare. Il post è qui. Non sappiamo dire se i commenti lasciati in calce siano sinceri o parte della burla.
[N.B. Il vero prossimo romanzo di Wu Ming uscirà in autunno, sarà un romanzo storico e si svolgerà nel XVI secolo]

logo_sis.jpg IL NEW ITALIAN EPIC ALLA UNIVERSITY OF LONDON
Nei giorni 16-19 aprile, la britannica Society for Italian Studies terrà la propria conferenza biennale al college Royal Holloway della University of London. Il titolo dell’edizione 2009 è “Da Dante al Duemila”. In quel contesto, si terrà il panel “New Italian Epic: percorsi nella narrativa metastorica italiana”, organizzato da Claudia Boscolo, diviso in due sedute e articolato in sei relazioni:
– Claudia Boscolo: “L’idea di epica e il New Italian Epic”
– Dimitri Chimenti: “Campi narrativi e il reale: cinque romanzi”
– Emanuela Patti: “Petrolio come modello UNO nella scrittura di Giuseppe Genna”
– Marco Amici: “Urgenza e visioni del New Italian Epic”
– Emanuela Piga: “Metastoria e microstorie in Manituana dei Wu Ming”
– Monica Jansen: “Laboratorio NIE”
Il programma completo è qui (PDF).

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INNESTI, PRELIEVI E INSERTI IN GOMORRA DI ROBERTO SAVIANO https://www.carmillaonline.com/2009/03/16/innesti-prelievi-e-inserti-in/ Mon, 16 Mar 2009 21:25:27 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=2974 Edizione olandeseAppunti per una tipologia retorica, con una postilla su Gomorra e gli “oggetti narrativi”

di Dimitri Chimenti* [In calce a questo post, novità dal dibattito sul NIE: interventi, file audio, iniziative pubbliche]

A Marco, amico e maestro (1972-2008)

1. DUE (O TRE) PROBLEMI TEORICI

Ci sono due impedimenti che, ancora oggi, rendono difficile alla critica considerare Gomorra nella sua valenza letteraria. Il primo è la tentazione di ricondurre il romanzo ad un atteso “ritorno alla realtà”, mentre il secondo consiste nel volervi ritrovare, a tutti i costi, il suo autore in “carne ed ossa”. In entrambi i casi il rischio è che l’analisi [...]]]> Edizione olandeseAppunti per una tipologia retorica, con una postilla su Gomorra e gli “oggetti narrativi”

di Dimitri Chimenti*
[In calce a questo post, novità dal dibattito sul NIE: interventi, file audio, iniziative pubbliche]

A Marco, amico e maestro
(1972-2008)

1. DUE (O TRE) PROBLEMI TEORICI

Ci sono due impedimenti che, ancora oggi, rendono difficile alla critica considerare Gomorra nella sua valenza letteraria. Il primo è la tentazione di ricondurre il romanzo ad un atteso “ritorno alla realtà”, mentre il secondo consiste nel volervi ritrovare, a tutti i costi, il suo autore in “carne ed ossa”.
In entrambi i casi il rischio è che l’analisi letteraria si schiacci esclusivamente sul “cosa”, inteso come la realtà materiale a cui il racconto fa riferimento, e si scordi invece del “come”, ossia di quella costruzione del reale che può essere rintracciata solo all’interno dell’opera stessa. Affrontare questo punto, a ben vedere, può aiutarci anche a determinare la natura del presunto realismo attribuito a Gomorra.

Quando parliamo di realismo di solito ci riferiamo ad una costruzione stilistica che risponde a certi codici compositivi; codici capaci di produrre sia i messaggi che i modi della loro comprensione. Da questo punto di vista il realismo è soprattutto il risultato di un effetto psicologico, stilistico e retorico legato più ai modi di codificazione del reale sul piano della scrittura, che non alla realtà di quanto viene descritto.

Gli eventi narrati in Gomorra di Roberto Saviano, per esempio, non sono più reali di quelli narrati in Sandokan. Una storia di Camorra di Nanni Balestrini, sono solo descritti più realisticamente. La differenza è che mentre Saviano simula una presa diretta sul reale, sia attraverso la messa in campo del proprio simulacro testuale che ricorrendo all’uso della paratassi, Balestrini lascia invece emergere il proprio lavoro linguistico affidandosi a dei flussi discorsivi privi di qualsiasi segno di interpunzione. In questa prospettiva il realismo ci appare come una “dominante retorica”, come un puro fatto testuale perché interamente trattenuto nei limiti del testo e dei suoi codici.

In Gomorra possiamo però individuare anche un altro tipo di realismo, una forma di retorica che agisce ad un livello più profondo del discorso e precede la resa stilistica. Quel che accade è che eventi ed esistenti si prolungano in un loro doppio letterario che favorisce lo scivolamento del reale nella sua ricostruzione testuale. E’ piuttosto evidente che l’uso dei documenti storici fatto dal romanzo è il primo supporto, sia materiale che simbolico, della sua capacità di testualizzare il reale. E lo è a partire da un dato immediato: l’estrema vicinanza tra la denotazione ed i modi della rappresentazione. Questo però non è che il punto di partenza di tutta una serie di operazioni semantiche, messe in atto dal romanzo, per elaborare la densità di significati offertaci dal mondo storico. E’ solo liberandoci da un criterio di referenzialità troppo stretto che possiamo accorgerci come in Gomorra intervenga una strategia narrativa complicata da vari gradi di simulazione e dissimulazione che produce, a partire da un vissuto reale, personaggi e situazioni che hanno invece una natura testuale.

2. REALISMO E TESTUALIZZAZIONE DEL REALE

Edizione lituanaE’ più dalla teoria critica del cinema, che non da quella letteraria, che mi sembra di poter ricavare gli strumenti adatti per comprendere i dispositivi narrativi che permettono al romanzo di agganciare la Storia e testualizzarla.

Maurizio Grande, in un suo saggio di qualche anno fa, parlava di ‘testualizzazione del reale’ [1]. Un concetto del tutto diverso da quello di realismo, perché non si esaurisce all’interno dei canoni della composizione realistica e della scrittura mimetica. Con questo termine Grande indicava la capacità di un testo di esporre e costruire il reale, inteso come spazio socio-culturale rappresentabile e comunicabile, nella misura consentita e stabilita da una determinata cultura in un determinato periodo storico.

Pensiamo, per esempio, ai documenti giudiziari, agli articoli di giornale, o ai film citati in Gomorra. E’ abbastanza ovvio che non abbiamo bisogno che il testo garantisca per questo universo storico, perché non è là che potremmo e neanche vorremmo verificarne la realtà. Ma le cose si complicano, perché la testualizzazione non è separabile dal testo che la opera. Ciò significa che quando Gomorra preleva dei documenti li trasforma, perché trasferisce loro un connotato tipico dei testi artistici, la rileggibilità. Rileggere Gomorra è infatti un’occupazione molto più naturale che rileggere le fonti usate da Saviano.

Ed è proprio per questo continuo rinvio ad un mondo extratestuale e presuntivamente noto al pubblico che Gomorra complica la nostra vita di lettori, perché siamo da subito costretti ad accettare tutta una serie di sovrapposizioni e rilanci tra dimensione testuale e campo del reale, ma, una volta stipulato il patto, dobbiamo anche scegliere se farci carico di questa descrizione della realtà oppure dare forfait.

Quando dico extratestualità, eventi ed esistenti, campo del reale o addirittura reale, non sto indicando un universo di riferimento materiale, esterno cioè al linguaggio ed alla testualità in generale, quanto quella dimensione culturale che è implicata nel linguaggio e che si determina solo in relazione ad una determinata comunità in una determinata epoca storica.

Questo serve a farci capire che la connessione che un’opera letteraria può stabilire con il reale non è una semplice aderenza alla superficie delle cose in cui basti nominare l’esistente. E’ l’opera stessa che si pone come possibile luogo di rielaborazione dei codici culturali e linguistici che strutturano la nostra esperienza del mondo. Una differenza non da poco, perché ci permette di raggiungere il reale non come una datità, ed in quanto tale definita in partenza, ma come risultato di un percorso praticabile del mondo [2].

Questo significa che se il realismo è un fatto di scrittura, la testualizzazione del reale è un fatto di cultura, e proprio in quanto tale è un campo dai confini mobili, perché soggetto a mutamenti storici, sociali e tecno-scientifici.

A questo punto ciò che rimane da comprendere sono le modalità operative attraverso cui Gomorra da una parte cattura una porzione di realtà, e dall’altra la restituisce all’universo culturale con un sovraccarico di senso.

3. INNESTI, PRELIEVI E INSERTI

Marco DinoiMarco Dinoi (nella foto a destra), un giovane studioso di teoria cinematografica recentemente scomparso, nel suo ultimo libro ha cercato di articolare “una tipologia empirica delle tracce del passato storico che un testo filmico può utilizzare al suo interno.” [3]

Dinoi nella sua analisi di Buongiorno Notte e Il Caimano, film che pongono a livello teorico questioni analoghe a quelle che abbiamo sinora incontrato, individua tre figure attraverso cui un testo può catturare il passato storico ed installarvisi: l’innesto, il prelievo e l’inserto. Certo, si tratta di una tassonomia parziale e, soprattutto, concepita per un medium che opera con modalità tecniche assimilabili solo metaforicamente a quelle letterarie. Se però spostiamo l’attenzione sul piano strettamente narrativo, molte differenze tendono a scomparire e con qualche aggiustamento questa tipologia può rivelarsi estremamente utile ai nostri scopi.

L’innesto è, tra quelle proposte, la figura più ricorrente, ed appartiene alla tradizione del romanzo storico in generale. Con questo termine ci si riferisce a quelle situazioni narrative che si inseriscono su degli eventi storici ricontestualizzandone il senso. Perché si abbia un innesto è però necessario che la Storia non sia né ridotta ad un mero fondale scenico, né direttamente manipolata dal testo. La ricontestualizzazione del passato avviene piuttosto grazie allo sviluppo di vicende parallele, di elementi autobiografici, oppure mediante l’accostamento, agito però grazie ad un accordo narrativo o drammaturgico, tra eventi apparentemente distanti ed autonomi. Da questo punto di vista non ha rilevanza se il materiale innestato è frutto dell’immaginazione dello scrittore, del suo vissuto personale oppure di ricerche fatte sul campo (e di solito è una miscela di tutte queste cose). E’ importante invece che sulla narrazione di eventi ed esistenti agiscano delle sequenze costruite per via puramente testuale.

Gomorra fa un uso sistematico dell’innesto, ed è forse perché Saviano è abilissimo nel dissimularlo che talvolta è sfuggita la natura letteraria dell’opera. Ma sono errori di valutazione molto illuminanti, come per esempio quello di Rachel Donadio, all’epoca articolista della book review del New York Times (25 novembre 2007).

Alcuni aneddoti sono sospettamente perfetti – il sarto che lascia il lavoro dopo aver visto in televisione Angelina Jolie che, alla notte degli Oscar, indossa un abito bianco che lui ha cucito in un laboratorio della Camorra; l’uomo che ama così tanto il suo AK-47 da andare in pellegrinaggio fino in Russia per far visita al suo inventore, Mikhail Kalashnikov. L’autore ha cambiato qualche nome? Se è così i lettori non sono stati informati. Non sono questioni di poco conto, e sarebbe stato bene rivelarle.

Gli aneddoti ritenuti sospetti sono degli innesti, e la Donadio si dimostra un’abile lettrice scorgendo il passaggio tra referenze testuali ed extratestuali, lo è forse un po’ meno quando sceglie di leggere Gomorra come se non si trattasse di un romanzo, applicandogli un criterio di referenzialità strettamente evenemenziale. In altre parole ciò che viene rimproverato all’opera è di non potere sempre dimostrare di essere un calco della realtà.

Ma ancora prima del vissuto dei suoi personaggi, è proprio Saviano, o meglio il suo simulacro testuale, ad essere innestato sotto forma di un io narrante che sembra trovarsi ovunque: “Al porto ci andavo per mangiare il pesce” (p.17), “Al funerale di Emanuele c’ero stato” (p.32), “Frequentavo Secondigliano da tempo” (p.74), “Stavo per andarmene dal luogo dell’agguato a Carmela attrice” (p.114). Questi sono tutti punti d’entrata che segnalano il passaggio tra il mondo storico, autonomo e precedente al testo, e quello costruito all’interno del romanzo, che testualizza il reale attraverso la prassi letteraria.

Ciò significa che il lettore di Gomorra percorre gli eventi seguendo, per lo più, delle strade parallele, che se talvolta incrociano quella registrata nei documenti, talaltra se ne discostano per aprire all’immaginazione ed alla creazione letteraria.[4]

Angelina in biancoI personaggi di Pasquale e Mariano sono finzionali non perché non esistano nella realtà, quasi sicuramente le loro esperienze appartengono ad individui reali, ma perché ciò che li forma non è la stessa materia documentale di cui sono fatti personaggi come Francesco Schiavone o Cosimo Di Lauro. Pasquale e Mariano sono sottomessi sin da subito alle esigenze del testo, e proprio per questo possono svolgere una funzione che li colloca nello spazio interstiziale che sussiste tra la realtà e la sua rappresentazione. Il risultato evidente, e lo dimostra proprio l’articolo della Donadio, è che l’innesto consente una mediazione tra i due piani capace di installare significati testuali su eventi reali. In altre parole, ci sono alcuni personaggi la cui testimonianza parte dal testo, interseca i territori del reale e torna di nuovo al testo. E’ proprio questo dispositivo di cattura di eventi ed esistenti ad essere messo in scena nella famosa sequenza del vestito bianco di Angelina Jolie.

Ma un innesto, per funzionare, ha bisogno di punti di entrata e di uscita, di continui rilanci e sovrapposizioni tra testo e Storia. Nel capitolo Kalashnikov è Mariano che fa da spola tra il bar, che è un luogo testuale, e la casa di Mikhail Kalashnikov, che è, almeno presuntivamente, un luogo reale. Ma per dissimulare l’innesto, Mariano viene ridotto a personaggio registratore; è un puro sguardo che può essere staccato dal suo portatore e sul quale possiamo installarci a nostra volta. Non sono infatti le parole di Mariano a descriverci la casa di Kalashnikov ma la sbobinatura del video che ha girato con la sua telecamera.

Non sapremo mai se le pareti di casa Kalashnikov siano veramente tappezzate di riproduzioni di Vermeer e foto di bambini che portano il suo nome, non sapremo se Mariano, o chi per lui, abbia mangiato mozzarelle di bufala con il vecchio generale. E’ qui che vediamo come l’innesto possa arrivare a mutare la propria forma e dare vita ad una seconda figura, quella dell’inserto. L’inserto è un oggetto che, pur richiamandosi alla storia ufficiale, non preesiste alla narrazione. A differenza dell’innesto, che si muove parallelamente agli eventi ed esistenti testualizzati, e dunque esercita su di essi solo un effetto di senso indiretto, l’inserto li manipola direttamente dall’interno del testo. Per farla semplice, si può dire che l’inserto introduce sempre un personaggio od un elemento finzionale, che “serve” al testo per poter articolare il racconto. Benché il video girato da Mariano presenti le stesse modalità con cui sarebbe stato prodotto nella realtà, esso contiene al suo interno elementi che sono invece creati all’interno del testo. E’ lo stesso Mariano, un personaggio finzionale perché piegato alle esigenze narrative del romanzo, che entra nel quadro e si mette a tavola assieme a Kalashnikov.

Si tratta a questo punto di individuare la terza figura in gioco, il prelievo. Con tale termine sono da intendersi tutti quegli oggetti che si presentano tali e quali sono nella Storia; documenti autonomi dalla narrazione ed immediatamente riconoscibili dal lettore come tali.

Don Peppino DianaSono le lettere di Don Peppino Diana (foto a destra), gli articoli di giornale, i verbali degli interrogatori, le intercettazioni. Ma se da una parte il prelievo è un documento che connette il testo letterario ad un determinato tempo storico, e così facendo configura realisticamente la narrazione , dall’altra entra in relazione con le altre due figure, innesto ed inserto, espandendo il proprio significato oltre i limiti della documentalità. Pensiamo ad esempio alla breve sequenza degli sms che Francesco Venosa, un giovane affiliato al clan degli Spagnoli, scambia con Anna, la propria fidanzata [5]. Quegli stralci discorsivi non solo ci informano sulle dinamiche interne dei conflitti tra clan, ma ci narrano anche la vicenda, al contempo attuale ed archetipica, di un giovane che sa di essere incatenato ad un destino da cui non può fuggire. In altre parole un documento diviene prelievo solo quando viene fatto interagire con elementi che ne garantiscono lo svolgimento e l’ampliamento dei significati. E’ grazie a questo intreccio che il prelievo, pur mantenendo la letteralità del documento, si apre all’interazione simbolica con testo. Se il documento d’archivio sembra caratterizzato da un semplice valore informativo, e quindi privo di ogni valore estetico in quanto destinato ad esaurirsi nel proprio valore d’uso, Gomorra sposta l’accento sul suo valore simbolico attraverso una forma di indagine-narrazione che rende indistinguibile la materia narrata dal meccanismo narrativo.

Spesso è proprio da un prelievo che prende origine un innesto. E’ il caso dell’intercettazione telefonica in cui si parla di provare il taglio dell’eroina su delle cavie umane. E’ da qui che inizia a svilupparsi una delle sequenze più riuscite del libro, quella in cui il protagonista assiste al test sui Visitors. Benché si tratti di un momento narrativo improntato al più crudo realismo, è anche vero che il suo effetto di realtà viene amplificato dal fatto che il passaggio tra dimensione documentale e dimensione testuale, è dissimulato dalla prossimità in cui vengono a trovarsi prelievo, l’intercettazione, ed innesto, la sequenza che segue. Ma come si è già visto, l’innesto deve anche offrire uno spazio di fuga per garantire la circuitazione ininterrotta dei significati da un piano all’altro. E’ attraverso questo continuo gioco al rilancio che Gomorra costruisce buona parte della propria dinamica narrativa. E’ Pasquale, che non fa più il sarto ma il camionista, a passare per caso di là. E’ lui il punto d’uscita e non solo perché trasporta il protagonista fuori dalla scena appena descritta, ma anche perché le sue parole offrono un lavoro di collazione tra riferimenti testuali ed extratestuali che reimmette la narrazione sul piano degli eventi storici.

Poi mi fissò e disse: “A Secondigliano le cose stanno per andare male… “‘a vicchiarella” è in Spagna, con i soldi di tutti. Devi smettere di girare da queste parti, sento la tensione ovunque. Pure il catrame mo si stacca da terra per andare via di qua…”.

Siamo dinanzi ad un procedimento analogo, ma rovesciato, a quello osservato poc’anzi. Così come il prelievo si ripercuoteva sull’innesto adesso è l’innesto che torna a concatenarsi ad eventi ed esistenti.

Più Pasquale segnalava la pericolosità della situazione, più mi convincevo che non era possibile non tentare di comprendere gli elementi del disastro. […] Raffaele Amato ‘”a vicchiarella”, il responsabile delle piazze spagnole, un dirigente del secondo livello del clan, era fuggito a Barcellona con i soldi della cassa dei Di Lauro.

Comprendiamo quindi come innesto, inserto e prelievo non solo ancorano il testo al mondo storico, ma installano una funzione cognitiva sugli sms, i dati catastali, le intercettazioni e gli articoli di giornale che precedentemente essi non avevano. In estrema sintesi si può dire che quel che accade è che il documento viene sottoposto ad una conversione, da oggetto d’archivio a oggetto della memoria, da documento a monumento.

4. POSTILLA: GOMORRA E GLI “OGGETTI NARRATIVI”

Edizione tedescaUn ‘oggetto narrativo’ è tale, secondo Wu Ming 1, perché non è più un romanzo, ma non è ancora qualcos’altro. In realtà l’intenzione che si può leggere in filigrana sin dalla prima versione del suo memorandum non sembra quella di voler liquidare la forma romanzo, quanto di forzarne i canoni. Il concetto di ‘oggetto narrativo’ se da una parte ha il pregio di dare un nome ad un’attitudine letteraria di cui ancora non sappiamo e possiamo misurare i confini, dall’altra va considerato per quello che è, ossia una definizione provvisoria. Il genere romanzo, soprattutto nella nostra epoca, ha una codificazione assai debole, una forma instabile che lo rende particolarmente adatto alla combinazione con altri generi di discorso, non solo letterari. Se gli ‘oggetti narrativi’ arriveranno a consolidarsi in un corpus di opere riconoscibile, ossia in un canone letterario, la forma romanzo tornerà a comprenderle, perché sarà quest’ultima a dover essere rimessa in discussione.

Ciò che Gomorra sembra avere in comune con romanzi quali Asce di Guerra di Wu Ming, Dies Irae di Giuseppe Genna o Sappiano Le mie Parole di Sangue di Babsi Jones è che, ancor prima che come opere letterarie, essi sono stati concepiti dai loro rispettivi autori come dispositivi capaci di analizzare, ed in un secondo tempo produrre, le modalità con cui la memoria di eventi storici si costruisce e viene rielaborata nel presente. E’ forse a partire da questo romanzo che, nell’attuale panorama letterario italiano, arriva a maturazione una riflessione che parte da lontano, e che riguarda le modalità attraverso cui la letteratura può ancora essere un luogo di rappresentazione ed elaborazione del passato.

In Gomorra possiamo vedere il profilarsi di un doppio binario del racconto storico che, per quanto regolato su equilibri variabili, troveremo anche in altri “oggetti narrativi”. In realtà questo doppio binario è da intendersi come uno strumento analitico, e non come due forme separate del racconto; che, al contrario, lavorano insieme definendo le proprie modalità solo all’interno dei singoli testi.

In estrema sintesi si può dire che, all’interno di un “oggetto narrativo”, possiamo rintracciare due diversi “metodi d’indagine” che si intrecciano. Il primo è, appunto, il metodo “narrativo”, perché cerca di riproporre nei termini del racconto una verità storica documentata, oppure segue una pista insolita definendosi all’interno di un progetto di revisionismo e controinformazione. Il secondo metodo ha invece un carattere più “analitico”, perché piuttosto che cercare di raggiungere la verità dei fatti, lavora sulle modalità attraverso cui i fatti sono stati veicolati; lavora sui documenti che attraversano e circondano il fatto nel tentativo di rinvenirvi non tanto un indizio quanto una “traccia” testimoniale delle forme attraverso cui ci rappresentiamo, o ci siamo rappresentati, in un determinato momento storico. La peculiarità degli “oggetti narrativi” consiste, secondo chi scrive, proprio in questo carattere metatestuale e metadiscorsivo. Non si tratta tuttavia di quell’intertestualità ludica e gratuita che oggi i critici del postmodernismo, così come ieri i suoi cantori, vanno cercando ovunque. Questi romanzi ci invitano ad osservare qualcosa di diverso, e cioè uno di quei “punti notevoli” in cui la letteratura sembra costretta ad interrogare se stessa per riuscire a porre domande al presente ed al passato.

Ringraziamenti.

Questo testo è il sunto di appunti di studio, di alcune relazioni tenute in ambito non solo accademico e, soprattutto, del confronto con molti interlocutori. Tra costoro ho un debito particolare nei confronti di Francesco Zucconi, Massimiliano Coviello, Simone Ghelli, Wu Ming 1 & 2, Giuseppe Genna, Claudia Boscolo, Stefano Jossa e tutto lo staff critico-teorico di PolifoNIE. E’ solo grazie alla loro generosità, fatta di commenti, suggerimenti e critiche, che questo lavoro ha preso una forma compiuta.

Note

1. Maurizio Grande, La Commedia all’Italiana, Bulzoni 2002. Grande nel concepire il concetto di “testualizzazione del reale” si rifà evidentemente alla semiotica della cultura, ed in particolare alle riflessioni di Jurij Lotman.

2. Se, per esempio, osserviamo come vengono citati Pulp Fiction, Donnie Brasco, Taxi Driver, Il Corvo o Scarface è facile accorgersi che essi non intervengono semplicemente in quanto testi filmici, ma come elementi aggreganti della realtà, come modelli di una serie di posture e protocolli sociali già realizzati.

3. Marco Dinoi, Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema, Le Lettere, 2008 cit. p.135

4. Un procedimento che talvolta si fa scoperto. Basti pensare alla sequenza in cui vengono uccisi Romeo e Giuseppe. Da questo angolo prospettico è significativa la presenza del verbo immaginare – “Me li immaginavo sui motorini tirati al massimo, ripassarsi i passaggi salienti dei film, i momenti in cui quelli che contano devono piegarsi all’ostinazione dei nuovi eroi”(p. 279) – che indica il ruolo fondamentale svolto dall’immaginazione letteraria per realizzare il mondo. E’ solo così che Saviano può collocare il proprio sguardo laddove esso non può essere, ed è questa la posizione testimoniale più “forte” assunta dall’io narrante in Gomorra: quella che pur non essendo documentale ci rende sicuri “di una certezza che non potrà mai avere alcun tipo di conferma” (ibidem).

5. Pag. 99 e seguenti.

* Dimitri Chimenti è dottorando alla scuola di dottorato multidisciplinare “Logos e rappresentazione”, Università degli Studi di Siena. Nel biennio 2004-2005 è stato Assistant professor nel dipartimento di italianistica del Vassar College di New York. Come film-maker ha realizzato diverse opere, tra cui un documentario girato in India nel 2003, My own bizarre experience. Fa parte dell’ associazione Level 5 / Centro Studi “Marco Dinoi”. Questo saggio è tratto da un intervento tenuto alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, il 3 febbraio scorso, nel ciclo di seminari “Lo sguardo e l’evento”. Qui l’audio.

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NOVITÀ SUL NEW ITALIAN EPIC
Interventi, conferenze e iniziative varie

faceoff.jpg WU MING / TIZIANO SCARPA: FACE OFF.
Sul blog multiautore “Il Primo Amore”, “Wu Ming / Tiziano Scarpa: Face Off” (Sottotitolo: “Due modi di gettare il corpo nella lotta”), la prima parte dell’intervento di Wu Ming 1 in dialogo con Tiziano Scarpa su NIE e non solo NIE, dopo l’intervento dello scrittore veneziano già segnalato su Carmilla.
In questa parte: la carne, le ossa, i volti di Wu Ming; Il simbolo-Saviano.
Nella prossima puntata: La carne, le ossa, il volto di Tiziano Scarpa; L’io e le retoriche di Gomorra; A-t-on-lu Foucault?; Potere, periodizzazione, rimozione degli anni Novanta; Varie: Petrolio, l’enallage, etc.
AGGIORNAMENTO 28/03/09: Il testo completo di “Wu Ming / Tiziano Scarpa: Face Off” è ora disponibile in pdf.

Nabawood LA CONFERENZA ALLA NABA SUGLI OGGETTI NARRATIVI NON-IDENTIFICATI
Ecco l’audio integrale, bruto (e cativo), della conferenza tenuta da Wu Ming 1 alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (NABA), 4 marzo 2009.
La conferenza si intitolava “Bisogna farlo, il molteplice” e concludeva una giornata di lavori iniziata la mattina col simposio “New Italian (Media) Epic”, tentativo di partire dal memorandum sul NIE (in particolare dagli appunti sugli UNO, sul perturbante, sul rapporto tra etica e retoriche) per capire cosa stia accadendo nel mondo degli audiovisivi.
Dal simposio, su iniziativa di Francesco Monico, è nato un laboratorio permanente. Maggiori informazioni su questo blog.
La conferenza dura 68 minuti. Dialogano con WM1 Francesco Monico e Derrick De Kerckhove. MP3 a 128k, 63 mega.
Buon ascolto. Per lo streaming senza lasciare questa pagina, clicca sull’iconcina di Play Tagger.
Per scaricare il file, clicca col destro (o ctrl + click se hai un Mac) sul link testuale (“Buon ascolto”).
Scaricabile anche in una cartella zippata, per chi si collega dal lavoro e ha un firewall che blocca gli indirizzi che terminano in .mp3.
ErRaTa CoRrIgE: i partecipanti alla maratona di lettura di Infinite Jest di David Foster Wallace (15-18 dicembre 2000) non furono “una ventina”, come detto da WM1 “off the top of his head” rispondendo a De Kerckhove (domanda su dimensione orale e pubblica della letteratura), bensì centotrenta.

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