di Sandro Moiso

in the pines Erik Kriek, In The Pines. 5 Murder Ballads, Postfazione di Jan Donkers, Eris, Torino 2016, pp. 136, € 16,00

La giovane e coraggiosa (Associazione culturale) Eris, specializzata nella pubblicazione di opere narrative di giovani autori e di fumetti, realizzati a livello internazionale e al di fuori del mainstream statunitense dei comics, dopo aver già precedentemente proposto la trasposizione a fumetti di alcuni famosi racconti di H. P. Lovecraft,1 ci offre oggi, ad opera di uno dei più famosi ed originali disegnatori olandesi, la rilettura di alcune delle più famose “Murder Ballads” della tradizione folk anglo-americana.

Erik Kriek, nato ad Amsterdam nel 1966 dove tuttora vive e lavora, nasce, a suo dire, come musicista ancor prima che come disegnatore di fumetti e proprio con la presente opera riunisce le sue due principali passioni. Nell’edizione originale il testo era accompagnato da una riproposizione musicale, su cd e ad opera dello stesso Kriek, delle cinque ballate contenute nelle sue pagine più quella che dà il titolo all’opera che non compare, però, tra le cinque narrate dai disegni dell’autore olandese.erik-kriek

Ma cosa sono le murder ballads cui si fa riferimento? Molti lettori probabilmente ricollegheranno le ballate omicide all’omonimo disco di Nick Cave, pubblicato nel 1996 dalla Mute Records, ma in realtà si tratta di una tradizione narrativa e musicale molto più antica. Soprattutto, come si diceva all’inizio, nel contesto folklorico anglo-americano.

Sono storie di assassini e di omicidi, di violenze banditesche e di rappresaglie della giustizia. Costituiscono spesso la memoria di femminicidi oppure di manifestazioni della violenza maschile, e talvolta femminile, connessa all’amore passionale. O meglio ad una sua distorta e brutale interpretazione. E stanno molto spesso alla base di tantissimi successi rielaborati e rivisitati nell’ambito della musica rock e di tanta musica folk inglese ad americana.

Sono state cantate e, spesso, rese famose da personaggi come Woody Guthrie, Bob Dylan, Bob Frank, Dave Van Ronk e da un’infinità di altri cantastorie bianchi e afro-americani. Costituiscono un patrimonio immenso di storia orale e popolare e hanno contribuito a dar vita ad un’epica delle classi subalterne più profonda, ben al di là della semplicistica immagine risultante dalla, troppo spesso, retorica riproposizione dei canti del lavoro e delle lotte.

long black veilLong Black Veil”, una delle ballate disegnate da Kriek, ha costituito un grande successo per Johnny Cash, ma è stata interpretata anche dai Byrds (soltanto dal vivo), da Nick Cave, nel disco “Kicking Against the Pricks” del 1986, e da molti altri ancora. E’ la storia di un uomo ingiustamente accusato di omicidio e condannato a morte, a causa di un tranello tesogli dal marito della donna da lui amata, e del lutto che la donna del suo cuore porterà in seguito per sempre con sé.

La stessa “In The Pines”, che dà il titolo al libro, ha avuto un’infinità di versioni, spesso contraddittorie tra di loro e accomunate talvolta soltanto da pochissimi versi.
Kurt Cobain e i Nirvana ne hanno data una delle interpretazioni più drammatiche2, ma prima della loro versione se ne conoscono molte altre incise nei contesti più diversi e dai titoli più disparati. Da Leadbelly ad una moltitudine di cantanti e gruppi degli anni sessanta, come ad esempio i texani Sir Douglas Quintet, oppure da gruppi glam come i Mott The Hoople.

pretty polly Anche le altre ballate riscritte dai disegni di Kriek affondano le loro radici in una tradizione che risale all’Ottocento e talvolta anche al Settecento. “Pretty Polly”, ad esempio, è la storia della vendetta del fantasma di una donna che insegue il proprio assassino anche sull’ oceano, fino a spingerlo a suicidarsi tra le onde del mare in tempesta. Mentre “Taneytown”, “Caleb Meyer” e “Where The Wild Roses Grow” hanno risalito il corso del tempo per giungere fino a noi attraverso le versioni di artisti come gli Stanley Brohers, Judy Collins, Sandy Denny, Steve Earle, la Band, Grateful Dead, Gillian Welch e Handsome Family. Ma non voglio citarli qui tutti proprio perché nella postfazione a cura di Jan Donkers il lettore potrà trovare una colta ed istruttiva ricostruzione dei percorsi discografici seguiti dalle stesse. E che i magnifici disegni dell’autore,ispirati dalla grafica degli EC Comics degli anni cinquanta, privi di “garanzia morale” e visti come fumo negli occhi dai benpensanti dell’epoca, rendono in maniera davvero drammatica ed immaginifica.

A queste si potrebbero aggiungere altre famosissime canzoni, non contenute nella ricostruzione di Kriek, come “Hey Joe”, resa celebre dal primo 45 giri di Jimi Hendrix nel 1966 e poi ripresa da centinaia di gruppi in tutto il mondo. Basti citare, oltre al solito australiano Nick Cave, anche la versione sessantottesca, adrenalinica e folle dei nipponici Golden Cups. La storia di un femminicidio premeditato e di un uomo che viaggia solo, sulla strada per il Messico e armato di un fucile a pompa, per raggiungere la sua donna e l’uomo con cui è fuggita.

Oppure la straordinaria “Tom Dooley” che, nel 1958 con il successo internazionale della versione eseguita dal Kingston Trio (giunse al vertice di tutte le classifiche internazionali, Italia compresa), aprì più di ogni altra istanza la strada al successo del folk revival al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico. Una canzone che risale agli anni successivi alla Guerra di secessione americana e che narra l’attesa della morte per impiccagione di un ex-soldato confederato, Tom Dooley appunto, per l’uccisione della sua fidanzata. In questo caso però la canzone sembra non voler dare un giudizio certo sulla colpevolezza del condannato, forse per drammatizzarne di più le parole e i rimpianti in esse contenuti.

long black veil 1Questi drammi costituiscono, però, soltanto una piccola parte di quell’imponente eredità di storie che la memoria popolare ci ha trasmesso attraverso la popular music.
In una sua prefazione ad un’antologia di canzoni popolari americane incise tra il 1913 e il 1938, Tom Waits ha scritto: “Cicloni, inondazioni, fame, questioni di soldi, naufragi, epidemie, uragani, suicidi, infanticidi, omicidi, malessere, incidenti ferroviari ed aerei, incendi…disastri. Non hanno costituito soltanto il pane e il burro oppure la succulenta bistecca del business della notizia.

Tutto ciò è contenuto anche nelle canzoni popolari: tragiche cronache dei pericoli connessi all’esistenza umana. Canzoni che sono come fosse scavate in fretta lungo le strade e appena ingentilite da croci di legno mentre il delitto era ancora fresco […] Nei tardi anni Venti e nei primi anni Trenta la Depressione strangolava la Nazione. Quello fu il tempo in cui le canzoni costituivano strumenti per poter continuare a sopravvivere. Un’intera comunità cercava di rielaborare i propri lutti e le proprie perdite , diffondendone così i semi della memoria. Questa collezione è un giardino selvaggio sviluppatosi da quei semi”.3

La stessa cosa si potrebbe dire di questa bellissima, preziosa e commovente raccolta di storie che Erik Kriek e la Eris ci hanno voluto così intelligentemente proporre nella collana Kina.


  1. Erik Kriek, H.P. Lovecraft Da altrove e altri racconti, Collana Kina, 2014, pp. 112  

  2. con il titolo “Where Did You Sleep Last NIght” nel disco “Unplugged in New York City” del 1994  

  3. Tom Waits, The Daily Record in People Take Warning! Murder Ballads & Disaster Songs, 1913 – 1938, libro e box di tre cd a cura di Christopher C. King e Henry “ Hank” Sapoznik, Tompkins Square 2007