di Mauro Baldrati

G.RENI_La caduta dei gigantiPierluigi Lorenzetti stava sfogliando il catalogo della mostra Da Cimabue a Morandi, che si teneva nella cornice sontuosa di Palazza Fava, il museo della Fondazione Carisbo, a Bologna. Dopo le polemiche furiose sulla scarsa scientificità del curatore Vittorio Sgarbi nella scelta delle opere, con relative querele e controquerele, il pubblico affluiva numeroso.
Lorenzetti, redattore sella sezione culturale di un quotidiano cittadino, ne aveva già scritto diffusamente. Aveva intervistato Sgarbi, alla conferenza stampa di inaugurazione, dove il critico era arrivato in compagnia della fidanzata di turno, spettacolare, vincolata dalla Soprintendenza, come sempre. Poi c’era stato il colpo di scena, un’arte, se così si poteva definire, nella quale Sgarbi eccelleva: la scoperta di un inedito di Guido Reni, un bozzetto preparatorio del capolavoro La caduta dei giganti, che un collezionista anonimo gli aveva sottoposto, a mostra già iniziata. Sgarbi lo aveva attribuito senza indugi a Guido Reni: “Mi rendo conto di trovarmi davanti all’opera preparatoria dei Giganti” aveva dichiarato alla stampa. “La mia attribuzione si basa anche su un documento del Malvasia. È un capolavoro anche per la sua portata storica. Si notano la pittura croccante e una figura in meno rispetto all’opera finale”. Il valore stimato era di 400.000 euro, e subito la Fondazione Carisbo, tramite il potente Fabio Roversi Monaco, presidente della Genus Bononiae, si era detta interessata all’acquisto.
Polemiche, annunci, la scoperta di un inedito: così la mostra procedeva a vele spiegate.

Il telefono di casa squillò. Rispose la moglie di Lorenzetti, che lui chiamava affettuosamente “Mona”, in onore alla mitica seconda moglie di Henry Miller, il suo scrittore preferito.
“Luigi, è una signora. Per te.”
“Chi è?” chiese Lorenzetti.
“Non l’ha detto” rispose Mona.
Lorenzetti prese la cornetta di malavoglia. Non sopportava gli interlocutori che non si presentavano. Sapeva di questuante, di richiedente di favori o di recensioni.
“Dottor Lorenzetti?” disse una voce femminile. Sicura, garbata, non giovanissima. “Dottor Lorenzetti, ho letto con attenzione il suo articolo sulla mostra e sul bozzetto di Guido Reni.”
“Chi parla, scusi?”
“Mi permetta di non presentarmi, dottor Lorenzetti. Non credo di poterlo fare, con quello che ho da dirle.”
“Signora, e lei mi permetta di non recepire dichiarazioni anonime.”
Un breve silenzio. “Dottor Lorenzetti, le ho telefonato perché ho bisogno di capire se noi del mondo dell’arte bolognese siamo stupidi. Quel bozzetto non è di Guido Reni. Ogni studioso lo sa.”
Pierluigi Lorenzetti rimase interdetto. Qualcosa in lui si ribellava, una interlocutrice anonima che pretendeva di fornire un altro annuncio eclatante. Quella telefonata poteva diventare pericolosa. Eppure il tono della signora, così tranquillo e sicuro di sé, gli impediva di riattaccare.
“E’ attribuito a tale Gaetano Gandolfi, vissuto circa 150 anni dopo Guido Reni, un pittore minore.”
“Signora, le ripeto che non accetto una segnalazione anonima, mi dispiace. Mi dica il suo nome, e non lo rivelerò.”
“Non posso, mi creda. Comunque la cosa è verificabile. Qualche tempo fa è stato messo all’asta da Gregory’s per un valore stimato di circa 2.500-3.500 euro. E’ rimasto invenduto. Controlli, le fornisco il link del catalogo.”
Lorenzetti, sempre più confuso, prese carta e penna e si apprestò a trascrivere il link.

Il caporedattore sembrava arrabbiato. Ma Lorenzetti non ne era sicuro. Quando Cataldo si arrabbiava iniziava a parlare pesante, con turpiloquio hard. Invece sembrava riflettere, come se cercasse di mettere a posto i pezzi di un puzzle.
“Sei proprio sicuro, hai controllato?”
“Assolutamente sì. E’ di Gandolfi, è nel catalogo.”
“Fantastico. Lo abbiamo pompato per bene. Mi consola il fatto che anche gli altri giornali lo hanno scritto: favoloso inedito del maestro e simili cazzate. A questo punto senti Sgarbi, scrivi un altro pezzo, e spingi sul pedale. Fallo subito, lo voglio prima della chiusura.”

Il vocione del critico, che aveva riempito di terrore gli interlocutori televisivi che aveva strapazzato o sbranato o addirittura percosso durante la sua lunga carriera di polemista estremo, sembrava frenato. Come se cercasse di tenere a bada una sorta di rabbia compressa.
“Mi riservo di osservarlo nuovamente per poter fare una perizia definitiva. Sapevo dell’opera messa all’asta dalla casa Gregory’s, appartiene allo stesso proprietario che ci ha proposto il bozzetto della Caduta dei giganti. Potrebbe trattarsi della stessa opera. Bisognerà in particolare studiare bene il retro del quadro. Quello di Gandolfi è infatti firmato dietro dallo stesso artista. E questo non lascerebbe alcun dubbio all’attribuzione.” Stava chiaramente fornendo una dichiarazione. Stava mettendo le mani avanti. Cristo, pensò Lorenzetti, ma non poteva “osservarlo attentamente” prima di presentarlo al mondo in pompa magna?
“Ma lo farà entrare comunque nella mostra, come ha annunciato?” chiese Lorenzetti. “Questo fatto non cambia le cose?” Tutti se lo chiedevano.
“Per me non cambia nulla. Il valore artistico del quadro resta immutato. Anzi, aumenta l’interesse intorno a quest’opera. Perché il fatto che 150 anni dopo Gaetano Gandolfi decida di cimentarsi con una immagine così cara a Guido Reni, dimostra la straordinaria modernità del suo predecessore, che continua, tra i pittori, a fare scuola e a essere imitato anche più di un secolo dopo. Quindi l’opera rimane perfetta per la mostra di Palazzo Fava.”
Quindi, non cambiava nulla perché comunque il fatto che un certo Gandolfi avesse dedicato il suo quadro a Guido Reni non faceva che accrescere la statura artistica del maestro. Una bella… paraculite! pensò Pierluigi Lorenzetti.
Ma di sicuro non lo avrebbe scritto.

Il giorno dopo uscì un pezzo dal titolo Vittorio Sgarbi cade su Guido Reni, con una ricostruzione del fatto, i riferimenti alla casa d’aste Gregory’s, ma senza alcun accenno alla telefonata della signora. Lui, Lorenzetti, e il suo giornale, avevano scoperto l’arcano, punto e basta. “E’ davvero la mostra delle sorprese Da Cimabue a Morandi, curata da Vittorio Sgarbi a Palazzo Fava” aveva scritto. “Si susseguono i colpi di scena quasi cinematografici con cadenza quotidiana. Se giovedì, infatti, lo studioso ferrarese aveva annunciato l’acquisizione, all’interno dell’esposizione , del bozzetto preparatorio realizzato da Guido Reni per la sua maestosa Caduta dei Giganti, che già campeggia nelle sale di via Manzoni, oggi la stessa attribuzione di quel lavoro potrebbe cambiare.”
Alla sera il direttore del giornale aveva telefonato sgridando Lorenzetti e il caporedattore per il titolo irrispettoso dell’articolo, ma non sembrava per nulla arrabbiato. Anzi, a Lorenzetti parve di intuire un tono divertito nella reprimenda.
L’indomani uscì un nuovo articolo con una breve intervista a Vittorio Sgarbi e alcune dichiarazioni di Roversi Monaco che si diceva soddisfatto perché l’importanza di Guido Reni ne usciva, se possibile, ancora più clamorosa, e pensava di acquistare comunque il bozzetto di Gandolfi.

Perché da questa storia tutti ne uscirono contenti e soddisfatti. Vittorio Sgarbi per la pubblicità gratuita, il ritorno in prima pagina, le polemiche ecc. Infatti il critico sapeva benissimo che in Italia non esisteva pubblicità negativa o positiva, ma solo il can can, il volume alto, lo spettacolo; tutti requisiti preziosi per chi, come lui, viveva e operava sopra le righe. E la mostra, che aveva aumentato il numero di visitatori, tanto che avevano deciso di prorogarla fino ad agosto. E il giornale, che aveva incrementato le vendite, come sempre quando c’era di mezzo Vittorio Sgarbi. E pure Roversi Monaco, il quale aveva risparmiato un investimento sbagliato di 400.000 euro, che, se pure per la banca erano spiccioli, di sicuro non avrebbe costituito un buon riferimento dal punto di vista manageriale.
Tutti contenti, anche il pubblico di spettatori-fruitori-elettori, i quali potevano sentirsi parte di un evento che aveva creato scandalo, polemiche, ricavando una dose abbastanza soddisfacente di eccitazione per il gossip inaspettato.
L’unico che non gioiva era il misterioso collezionista, che aveva perso un businnes facile facile da quasi mezzo milione, e forse avrebbe dovuto accontentarsi di poche migliaia di euro.

Ma anche questo poteva capitare, nel mondo luccicante, rumoroso e telegenico dell’Italian Way Of Life.

[In apertura: La caduta dei giganti di Guido Reni. Qui il catalogo della casa d’aste Gregory’s; il bozzetto di Gandolfi è il lotto n.40]