di Marilù Oliva 

rovelliCarlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, 2014, pp. 88, € 10

C’è qualcosa di spaesante nelle classifiche dei libri, gli addetti ai lavori lo sanno e alcuni sono già rassegnati. Non capiscono, non prevedono. Sulle hit di alcuni quotidiani, su Amazon e non solo “Sette brevi lezioni di fisica” del fisico teorico Carlo Rovelli, edito da Adelphi e numero 666 della collana Piccola Biblioteca Adelphi, è in vetta. Questa è la bella notizia. La notizia destabilizzante – ma risaputa – è che, subito dopo, seguono le “Cinquanta sfumature”, nelle diverse tonalità: grigio, nero e rosso. Allora la domanda che scatta è: che succede? Forse continuiamo a ignorare che il mondo dei lettori è irrimediabilmente spaccato a metà? Ovvero esiste una metà curiosa, che anela alla qualità e alla multidisciplinarietà, che si arrabatta, postula, s’interroga e una metà scialba, che compra i pessimi libri, si adagia alle proposte di mercato simulando di deciderne gli andamenti, fa sesso scadente e ha bisogno di un’ipotesi trita di dominazione per eccitarsi?
Io una risposta non ce l’ho.
Sono però contenta che questo libricino snello, “Sette brevi lezioni di fisica” – 88 pagine, incluso l’indice analitico – abbia venduto oltre 70.000 copie e continui a primeggiare nelle classifiche. Credo che il suo pregio più grande sia quello di aver colmato il dislivello tra la nostra sete di conoscenza e il sistema ostico di trasmissione di alcune materie, per il comune lettore, quello cioè a digiuno di un registro scientifico specifico. Altro pregio è quello di aver superato la dimensione farraginosa di un sapere considerato ancora ad esclusiva fruizione settoriale.

L’autore è lo stesso Rovelli che ha dimostrato l’inesistenza del tempo o, per dirla con le sue parole, che «“tempo” non è un concetto utile quando si studiano le strutture più generali del mondo». Membro dell’Institut universitaire de France e dell’Académie Internationale de Philosophie des Sciences, responsabile dell’Équipe de gravité quantique del Centre de Physique Théorique dell’Università di Aix-Marseille, per capire la volontà divulgativa di Rovelli basta soffermarsi su alcuni dei suoi titoli: “Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro” (2011) e “La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose” (2014).

Le sette lezioni spaziano dai quanti ai buchi neri al cosmo, dalla probabilità, al calore fino a noi, delineando una panoramica della fisica completa di rivoluzioni e ricerche in corso. La prima di queste lezioni è dedicata alla teoria più bella di Einstein, che viene introdotto, come se uscisse da un romanzo, quando era ragazzo e, giunto in Italia per seguire il papà ingegnere, ascoltava a tempo perso le lezioni all’Università di Pavia: «per divertimento, senza essere iscritto né fare esami. É così che si diventa scienziati sul serio». É stato su una spiaggia calabrese che Rovelli, da giovane, ha capito la teoria della relatività generale e ha restituito a noi lettori la sostanza magica di quel momento:

«Lo spazio non è più qualcosa di diverso dalla materia: è una delle componenti materiali del mondo. Un’entità che ondula, si flette, s’incurva, si storce. Non siamo contenuti in un’invisibile scaffalatura rigida: siamo immersi in un gigantesco mollusco flessibile».

Leggendo questo saggio si impara molto e si va in profondità con semplici nozioni. Ad esempio, la meccanica quantistica svela la sua peculiarità nell’incontro: «Nella meccanica quantistica nessun oggetto ha una posizione definita, se non quando incoccia contro qualcos’altro». E non importa che protagonisti siano massimi sistemi o elettroni, quarks, fotoni e gluoni, ovvero i componenti di tutto ciò che si muove nello spazio intorno a noi. Perché gira e rigira, anche passando per la nozione di tempo e per il calore dei buchi neri, si torna a un confortante svelamento di cui dovremmo fare tesoro, noi che viviamo in quest’epoca segnata dal senso del possesso e dall’individualismo:
«Il mondo sembra essere relazione, prima che oggetto».