Una segnalazione dei nuovi titoli latinoamericani di Sur

di Alberto Prunetti

feinmannIn questa nuova uscita di Sur l’opera che più mi ha colpito è il romanzo di Feinmann. Conoscevo José Pablo Feinmann per i suoi articoli sul quotidiano argentino Pagina/12, soprattutto quelli sul peronismo. Mi aspettavo un libro “pesante”, sono rimasto invece sorpreso dalla sua abilità di narratore. L’esercito di cenere (Roma, Sur, 2014, pp. 186, euro 15, traduzione di Francesca Lazzarato) è un romanzo ambientato in un deserto patagonico che da una parte è puro western antartico, dall’altra rimanda a classici del genere fantastico, per ammissione esplicita dell’autore, come “Il deserto dei Tartari” di Buzzati (ma anche a opere come Moby Dick di Melville). Altri metteranno in luce le indubbie qualità narrative ed estetiche di questo romanzo. Io voglio invece evidenziare alcune connotazioni storiche e ideologiche del libro, che sono rilevanti e non si possono trascurare, vista l’indubbia capacità di astrazione teorica dell’autore de L’esercito di cenere. Il romanzo infatti coglie alla base una delle questioni fondamentali della storia dell’Argentina moderna, quella della lotta tra barbarie e civiltà. Il generale Andrade, matto come un cavallo maltrattato, lotta contro la barbarie e questa lotta lo porta alla follia e fa di lui un vero barbaro. Quale metafora migliore per raccontare un paese? L’Argentina ha tra la sua opere fondatrici il famoso Facundo, il discorso sulla civiltà e la barbarie di Sarmiento. L’ideologia fondatrice del paese è stata quella della conquista del deserto, dell’estensione dalla civilizzata ed europeista Buenos Aires verso i territori del lejano sur, popolati da indiani e quindi da “nessuno”, da barbari che andavano civilizzati con l’estinzione. Una storia drammatica raccontata dai migliori studiosi argentini, come Osvaldo Bayer o David Viñas. Ma la lotta per  la civiltà, in Argentina come negli Stati Uniti o altrove, come in Iraq e in Afghanistan la war on terror e la sbandierata lotta per la democrazia, fanno presto a partorire il loro opposto: a diventare incivile barbarie e tortura. Così la guerra civile del nuovo stato argentino decolonizzato e indipendente, mentre omaggiava San Martín, produceva la guerra incivile tra fazioni guidate da ambiziosi caudillos, un conflitto sanguinario raccontato ne Il matadero, il capolavoro di Esteban Etchevarría. Ma l’incubo non finisce lì. Gli indipendentisti diventano i nuovi massacratori dei popoli originari che abitavano il paese prima dell’arrivo degli europei o di quei creoli che nella pampa cercavano di sfuggire al controllo di un nuovo stato-nazione. La lotta per la civiltà, contro le barbarie, rivendica quindi l’affermazione di valori europei creolizzati contro quei liberi signori della pampa, i gauchos e gli indios patagonici e i neri, figli di schiavi della tratta africana. Una volta assimilati o distrutti, i primi furono mitizzati nella forma narrativa del Martín  Fierro, e i secondi espunti dalla storia patria – “Indios no hay”, recita l’adagio – o infilati in un museo, per non vederli mentre si oppongono, anche oggi, alle logiche dei latifondisti, argentini e europei che siano. Quanto agli schiavi neri, sono scomparsi letteralmente dal dna del paese, anche se si vuole che beffardamente qualcosa delle loro musiche riecheggi nel tango, marchio musicale per eccellenza del Rio de la Plata. Si racconta che siano morti tutti in un’esplosione di colera ma dietro questa leggenda mi immagino un percorso genocida più complesso. Di certo, un tempo erano nere le trippaie che lavoravano le interiora della grande industria della carne argentina. Di questa storia, ci rimane nel romanzo di Feinmann la figura della nera Tumba, “bella, scura e selvaggia”, che il tenente Quesada doma con uno schiaffo, riportandola nell’alveo della civiltà e quindi della sua disponibilità sessuale.

Ora, intendiamoci, L’esercito di cenere non ci racconta tutto questo ma lo fa riemergere in maniera narrativa agli occhi di un lettore che si sia confrontato con la storia dell’Argentina. Il percorso di lettura segue le orme in un deserto di cenere del nemico, un nemico che come in un western di gran classe ti fa girare attorno per riportarti sul punto di partenza, per scoprirlo incendiato e distrutto. Un nemico che non si vede mai perché protagonista e antagonista si identificano, perché l’avversario alberga nel cuore della civiltà stessa; è la civiltà con la sua volontà di potenza che si autodistrugge, avvitandosi su se stessa, produttrice dell’alterità negativa che vuole combattere. Sta qui il nucleo della questione argentina, senza la quale non si può spiegare come una dittatura militare, nata con la mostruosa pretesa di “difendere la civiltà dei valori cristiani”, abbia potuto sterminare 30 mila argentini, chiamandoli terroristi; abbia potuto sottrarre dei bambini ai propri genitori, dopo averne uccise le madri che li avevano partoriti, per affidarli a famiglie cattoliche, evitando così che diventassero comunisti. Il punto è proprio qui: che la civiltà è la barbarie e il deserto di Feinmann è il cuore di tenebra conradiano della Buenos Aires cosmopolita.

Dopo questo gran bel libro, segnalo che gli altri due titoli in collana usciti per Sur sono Raccattacadaveri di Juan Carlos Onetti (Roma, Sur, 2014, pp. 298, euro 16, traduzione di Enrico Cicogna) e Il marmo di César Aira (Roma, Sur, 2014, pp. 123, euro 14, traduzione di Raul Schenardi).

Ma il piccolo gioiello di quest’uscita di Sur è forse un volumetto fuori serie intitolato Un certo Julio. Si intuirà subito che si tratta di un omaggio a Cortázar, il più famoso Julio d’Argentina. Il libro è composto da una serie di illustrazioni del disegnatore Rep, che seguono la vita dell’autore di Rayuela con la stessa logica ludica e complessa del suo libro più importante, e di una lunga intervista di Sara Castro-Klaren all’autore argentino. L’intervista attraversa le tematiche care ai bibliofili, dalle abitudini di lettura all’influenza letteraria, dal lavoro di traduzione alla pratica della scrittura. Il risultato è appassionante, anche se forse contribuisce a riconfermare l’idea che di Cortázar ultimamente si apprezza più l’icona e la biografia che la sua opera letteraria. Tuttavia è indiscutibile che si tratta di un gioiellino che chi ama Cortázar non può non apprezzare. E anche chi non dovesse essere esaltato dall’autore argentino (io stesso lo stimo ma non lo considero tra i miei autori imprescindibili) non potrà non rimanere entusiasta per quella carrellata inebriante tra le pieghe delle pagine dei libri di un certo Julio.

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