di Mauro Baldrati

OpeladamNel demi-monde dei cosiddetti “creativi” arrivano messaggi: i mittenti non sono dei filosofi, o degli artisti, o dei politici. No, sono degli imprenditori, che pensano di interpretare “la pancia” dei consumatori per elaborare così dei prodotti multimediali che possano, in qualche modo, bucare lo spesso smalto di distrazione e indifferenza degli spettatori televisivi, o degli ancora più distratti sfogliatori di giornali o siti web.
I “creativi”, zelanti, recepiscono e immediatamente eseguono.
A osservare le loro “opere” sembra che non abbiano idee proprie, né ideali. Il “cliente” vuole questo, noi glielo diamo.
Se un imprenditore lanciasse il messaggio: “ambientare durante la rivoluzione d’Ottobre, rendendo il tutto eroico e glamour”, i “creativi” subito si attiverebbero, con rivoluzionari e pasionarie super affascinanti.
Poi, il giorno dopo, un altro ordinerebbe una storia fascista, con tante belle divise nere e “femmes fatales”. Fatto.
Oliviero Toscani diceva spesso che l’Italia è il paese della pubblicità pavida, che nega ogni fantasia. Un mondo di copioni, se uno sfonda poi tutti rifanno lo stesso spot. Erano gli anni Ottanta, molte cose sono cambiate, soprattutto le tecnologie, e gli spot si sono globalizzati, ma la sostanza?

Tra i mittenti, le case automobilistiche sono clienti importanti. Hanno più soldi degli altri, per cui occupano molti spazi. Anche qui, una grande fantasia non buca certo il video. Quando i “creativi” hanno strippato coi rallety, ogni auto procedeva a scatti col sistema misto, veloce-rallenty, in una concatenazione di “corti” che si ripetevano in una sorta di autismo seriale.
Ora qualcuno cerca di differenziarsi, ma sarebbe meglio lasciarli nei loro rallenty, che sono, in fondo, inoffensivi. Ma siccome esiste questo flagello biblico chiamato “crisi” i mittenti dei messaggi ci danno dentro, e i “creativi”, dal canto loro, si agitano più anfetaminici che mai per rendere felici i loro padroni. Ma nell’eccesso di zelo ogni tanto combinano guai: messaggi razzisti, omofobi, spot ritirati tra le polemiche. Ma che farci. E’ la subcultura media dominante, che permea i soprabitini e i blazer dei padroni. E quegli zelig dei “creativi” si inchinano. Vogliono votare il cioccolato bianco? Subito! Poi se nascono proteste sul messaggio razzista nessun problema, l’obiettivo è comunque raggiunto, perché il ritorno si ottiene con l’intensità del messaggio, non con la qualità.

L’ultima perla – diciamo una perlina – è l’ennesimo spot di un’auto, la Opel Adam Rocks. Sappiamo che è una produzione tedesca, diretto da un “creativo” californiano di nome Zach King. Alla guida c’è un soggetto tatuato e con la barba, che apprendiamo essere un modello di nome Keno Weidner, quello che, per un certo immaginario femminile, dovrebbe essere considerato “un fico-strafico” (così per esempio Julia Roberts e l’amica definiscono Nick Nolte in Inviati molto speciali). Il nostro parcheggia, poi scende dall’auto, fa per incamminarsi per una di quelle destinazioni care ai “creativi” che di solito sono uffici da manager di successo con le vetrate che si affacciano su skylines tipo la City o Manhattan, ma si gira, guarda l’auto, fa la faccia seccata, sale di nuovo a bordo e sbatte una ruota sul marciapiede. Adesso va bene. Così è ancora più “fico-strafico”. Perché lui, e ovviamente con lui la sua auto, non è certo uno moderato, monotono e noisamente educato. No, è un trasgressivo, uno che le regole le sfida, le infrange. E’ uno “audace”, e “indipendente”. E la sua auto è “carina, mai”.
Il messaggio è chiaro: in un mondo occupato dal traffico, dove le circolazioni alternative (biciclette, pedoni), sono perennemente minacciate dalla mancanza di spazi e di infrastrutture, uno “figo-strafico” parcheggia male, e se si sbaglia, se gli viene da parcheggiare bene, se si comporta da carino, deve correre ai ripari, mettendo almeno una ruota sul marciapiede. Poi, la prudenza gli ha imposto di non superare la linea bianca, ma è comunque questa, per loro, la “sfida”. Così concepiscono la “trasgressione”.
Aveva ragione Oliviero Toscani?
E infine sorge spontanea una domanda: ma se uno veicola imbecillità è lui stesso un imbecille?
Noi non abbiamo una risposta. E questa affermazione non la faremo mai.
Perché non siamo dei “trasgressivi” noi.
Non siamo dei “creativi”.

[qui, qui e qui i precedenti “creativi”]

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