di Sandro Moiso

anarchiciPasquale Iuso, GLI ANARCHICI NELL’ETA’ REPUBBLICANA. Dalla Resistenza agli anni della contestazione 1943-1968, BFS Edizioni, Pisa 2014, pp. 240, Euro 18,00

Il testo di Pasquale Iuso prosegue l’opera di rigorosa ricostruzione della storia del movimento anarchico italiano avviata da molti anni dalla Biblioteca Franco Serantini di Pisa, che, con i suoi 40.000 libri e i 5.000 periodici depositati nella sua emeroteca oltre alla grandissima mole di materiale documentario (volantini, manifesti, lettere, fotografie, striscioni e bandiere) ivi contenuto, costituisce di fatto uno dei più importanti centri di documentazione per la storia del movimento operaio presenti in Italia.

Rigore che spesso è costato alla BFS più di una critica all’interno dello stesso ambiente anarchico, poiché rigore non sempre fa rima con fervore come una storiografia più schierata, molte volte in ambito antagonista, vorrebbe. Ma il suo stesso definirsi “biblioteca di studi sociali e storia contemporanea” indica già da solo lo sforzo di travalicare i limiti dell’autoreferenzialità politica. Autoreferenzialità che, troppe volte insieme all’eccessivo fervore o alla passione intransigente, ha finito col falsare, anche involontariamente, la ricostruzione della storia del movimento operaio dando vita ad agiografie oppure a rimozioni che di solito non hanno giovato alla conoscenza delle forme organizzative e di lotta assunte dalla lotta di classe e dei problemi teorici e politici che sempre l’hanno accompagnata nel passato. Soprattutto recente.

Sono 25 anni importanti quelli presi in considerazione dall’autore, docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Teramo. Compresi tra due avvenimenti estremamente significativi per la storia del movimento operaio italiano: la caduta del fascismo sul finire del secondo conflitto mondiale e la ripresa dell’azione autonoma di classe alla fine degli anni sessanta. Eventi che, in entrambi i casi, videro una straordinaria mobilitazione giovanile, operaia e civile. Spesso non immediatamente compresi nella loro complessità né da coloro che li vissero in prima persona né, tanto meno, da coloro che cercarono di interpretarli alla luce delle esperienze organizzative e politiche precedenti.

Venticinque anni di storia caratterizzati soprattutto dalla crisi di un movimento, quello anarchico, che si ritrovò ad operare in un contesto politico, sociale ed economico profondamente cambiato rispetto a quello in cui aveva potuto maggiormente esprimere la propria forza e la coerenza delle proprie idee e formulazioni teoriche. Infatti il periodo compreso tra l’inizio del ‘900 e la guerra civile spagnola, nonostante l’avvento del fascismo e del totalitarismo, aveva visto un quadro sociale e politico molto differente da quello successivo al secondo conflitto mondiale.

Un quadro mutato dal punto di vista politico con l’avvento dei grandi partiti di massa la cui finalità oggettiva non era più costituita dal rovesciamento dell’esistente, ma, nonostante le promesse e le roboanti dichiarazioni, dalla sua piena e corresponsabile continuazione.
Motivo per cui il movimento operaio sul finire del secondo conflitto mondiale non aveva più dato vita ad insurrezioni e rivoluzioni, come sul finire del primo, ma a movimenti di difesa nazionale ispirati dalla scelta staliniana di “collaborare” con l’imperialismo americano per poter poi ampliare l’influenza sovietica in Europa.

Una scelta che, esattamente come durante l’esperienza spagnola, aveva non solo diviso il movimento anarchico, ma, più in generala, tutto il movimento operaio tra chi voleva ancora privilegiare innanzitutto la lotta di classe anti-capitalista ed antimperialista e chi invece intendeva fare di necessità “virtù” ed affiancarsi a quello che sembrava rappresentare il male minore tra i molossi in lotta.

Una scelta che, dalla fase resistenziale e del CLN in avanti, avrebbe diviso profondamente e, forse, irrimediabilmente il movimento anarchico italiano; lungo una linea di faglia che correrà all’inizio tra Nord ancora occupato dalle forze nazi-fasciste e Sud già “liberato” dagli alleati occidentali e, successivamente, tra coloro che intenderanno tener conto dei cambiamenti intervenuti adattando la propaganda e l’azione anarchica ai nuovi tempi e coloro che, invece, continueranno imperterriti a difendere la tradizione, si potrebbe dire epistemologica, del movimento stesso.

La frattura tra le due pratiche c’era già stata nei fatti , tra i gruppi che avevano da un lato appoggiato la resistenza armata a fianco, e talvolta all’interno, dei comitati di liberazione nazionale e quelli che, già sottoposti al regime di sorveglianza anglo-americano, non coglievano alcuna differenza tra il regime dittatoriale fascista e l’organizzazione della futura “democrazia” occidentale. In ogni caso erano stati i fatti concreti a spingere i rappresentanti del movimento in una direzione piuttosto che nell’altra e questo lo si può cogliere bene nelle pagine del testo.

Sono anni, quelli che vanno dal ’43 alla metà degli anni cinquanta ricchi di iniziative tese a riunire e riorganizzare il movimento anarchico. Congressi, giornali, fogli volanti, convegni segnano un periodo in cui lo spirito di rinnovamento caratterizza significativamente il tentativo di riaggregare politicamente e sindacalmente l’anarchismo italiano.

Anni in cui emergono figure nuove ed importanti, come quella di Pier Carlo Masini, con il suo tentativo di ricollegare almeno una parte del movimento all’altro grande sconfitto di quegli anni: quello della Sinistra comunista italiana. Con la formazione successiva di raggruppamenti ed esperienze editoriali che daranno poi in seguito vita a nuove realtà di ricerca storica e di organizzazione politica.

Esperienze, comunque e sempre, minoritarie se paragonate, sia in ambito anarchico che in quello comunista, a quelle degli anni precedenti la guerra civile spagnola, che di fatto sembra davvero aver costituito la linea di confine tra l’organizzazione politica, verrebbe forse da dire anche la “mentalità”, del primo novecento e quella della seconda metà del secolo. Metà del secolo che inizia proprio con i processi di Mosca e l’eliminazione dell’opposizione di classe all’interno dei partiti comunisti e con la divisione in campo anarchico tra chi intendeva partecipare al Governo repubblicano di Madrid e chi si oppose a tale “anarchismo di governo”.

Paradossalmente, quella seconda metà del secolo sarà messa in crisi, nuovamente, soltanto dai movimenti reali e spontanei che sorgeranno a partire dagli anni sessanta e in particolare con quelli compresi tra il 1968 e il 1977, in cui prenderà il sopravvento una nuova generazione di militanti che cercherà, spesso anche inconsciamente, di ricucire la necessità storica immediata con la tradizione di pensiero dell’anarchismo. Generazione che dovrà fare i conti anche con una criminalizzazione feroce e che avrà, per modo di dire, il suo “battesimo del fuoco” da Piazza Fontana in avanti.

Pasquale Iuso si mantiene in rigoroso equilibrio nell’analizzare le posizioni politiche ed ideologiche assunte dal Movimento Anarchico nel corso del quarto di secolo affrontato. Con una ricchezza di materiali tratti da atti di convegni, articoli, lettere ed interventi che denotano una ricerca precisa e meticolosa, ma che fa risentire a tratti il testo di un eccesso di accademismo e fa sentire la mancanza di un’analisi dell’altro elemento che caratterizzò la trasformazione del movimento operaio durante quegli anni: il cambiamento intervenuto nella composizione di classe.

Composizione di classe che mutando non poteva non avere conseguenze anche sulla mentalità e sui comportamenti dei lavoratori. Infatti, da un movimento composto perlopiù da operai di mestiere e piccoli artigiani, spesso orgogliosi del proprio lavoro e, talvolta, della loro indipendenza economica e politica, si era giunti a vedere come protagonisti delle lotte dei lavoratori sempre più massificati e dequalificati che, dopo un’iniziale fiducia nei regimi o nei partiti di massa, avrebbero preso coscienza della propria autonomia politica attraverso il rifiuto del lavoro e del regime salariale tout court.

Il fallimento o meno della proposta politica anarchica, e più in generale della critica radicale dell’esistente, è quindi da collegarsi, più che alle scelte di carattere derivativo operato in ambito ideologico e programmatico ai fattori oggettivi, tanto socio-economici quanto storico-politici, che di volta in volta ne hanno determinato il percorso e i salti, in avanti o all’indietro, avvenuti di volta in volta.

Ma con questo, più che un eventuale mancanza del testo, si segnala quello che è il problema reale che si presenta quasi sempre nell’analisi delle esperienze di lotta e di organizzazione di stampo rivoluzionario. Esperienze che, quando sono reali, sono accompagnate sempre da formulazioni tattiche e programmatiche “nuove”, risultanti dalla dialettica tra la memoria delle esperienze e delle sconfitte passate e le novità intervenute nella composizione di classe e nella dinamica degli elementi politico-economici che danno vita al modello sociale capitalistico e/o alla sua crisi.

Così, come forse è accaduto ad una parte del movimento analizzato nel testo, uno sguardo eccessivamente rivolto al passato è talvolta dovuto alla mancanza di una prospettiva futura e di una sua possibile ed immediata materializzazione nelle contraddizioni del presente. E può capitare, come già si segnalava all’inizio, che l’esaltazione di un passato ritenuto, a torto o a ragione, “glorioso” sostituisca l’analisi rigorosa per non dover fare i conti con la mancanza di prospettive per il presente.

L’opera di Iuso si pone pertanto come una necessaria lettura non solo per coloro che siano interessati alla storia del movimento anarchico, ma per chiunque sia interessato a ripercorrere le contraddizioni, le difficoltà e le scelte del movimento operaio italiano soprattutto dal punto di vista ideologico e tattico.