di Walter Catalano

CarmillaMostraSulla via di Vienna, nello scorso luglio, faccio tappa per una notte a Graz, in Stiria: satollo di birra e di goulash, mi aggiro ignaro apprezzando le slanciate architetture biedermeier lungo Kaiser-Joseph-Platz e quelle ancor più slanciate delle innumerevoli fanciulle al trotto lungo gli animati viali della bella cittadina universitaria: non immagino certo che sto per incontrare, un personaggio famoso… e non si tratta di Arnold Schwarzenegger, a cui Graz diede i natali, ma di una molto più antica e affascinante concittadina. Giro un angolo e, come se indefinibili influssi telepatici mi guidassero, sbatto contro l’ingresso del GrazMuseum, in Sackstraße 18: riconosco l’emblema di un paio di canini sanguinolenti e di due ali di pipistrello su un cartellone bianco dove leggo: “Carmilla, der Vampir und wir”. Ovviamente entro.

Che io sappia è la prima volta che un museo dedica un’esposizione ai vampiri, e che esposizione ! Inaugurata il 30 gennaio scorso, proseguirà fino alla notte di Halloween, il 31 ottobre prossimo. Peccato solo che, al momento, non sia prevista la pubblicazione di un catalogo, perché la mostra lo meriterebbe (qui il link). Non manca proprio nulla: una scelta delle maggiori edizioni internazionali dei classici letterari e fumettistici sul vampirismo (non solo Carmilla, ma Dracula, The Vampyre di Polidori, Varney e altri minori); alcune copie dei preziosi trattati storici sul tema (dalla celeberrima relazione di Gerard Van Swieten all’Imperatrice Maria Teresa, al meno conosciuto Magia Posthuma di Carl Ferdinad Von Schertz, ecc.); le locandine e gli spezzoni riprodotti in video dei principali film in argomento, da Murnau a Coppola, da Bela Lugosi, a Cristopher Lee, a Klaus Kinsky, all’accoppiata Deneuve/Bowie passando per la Famiglia Addams; i ritratti minacciosi di Erzsébet Bathory e di Vlad Tepes e varie riproduzioni di capolavori del romanticismo e del decadentismo vampirico (da Franz Von Stuck, a Alfred Kubin, a Edvard Munch); varia oggettistica amena: come il kit dell’ammazzavampiri (una preziosa valigetta a forma di bara contenente paletti di frassino, crocifissi, candele, flaconi di aglio in polvere e di acqua benedetta), catafalchi antichi ed esemplari impagliati di Desmodus rotundus, il pipistrello succhiasangue amazzonico; collegamenti moderni tra vampirismo e politica nei poster satirici: Hitler-vampiro, Bush-vampiro, Merkel-vampira, ecc. E molto altro, inframmezzato da acute citazioni, commenti e didascalie scritte sulle pareti e accompagnate da disegni umoristici e inquietanti insieme. Si può fare perfino un test compilando un apposito questionario (solo in tedesco): “Entdecken Sie den Vampir in sich !” (rivela il vampiro che è in te !).

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La brochure (in tedesco e in inglese) ci informa che lo scrittore irlandese Joseph Sheridan Le Fanu nel 1872 non scelse a caso la Stiria per ambientare la storia della vampira Carmilla/Mircalla Karnstein: un luogo allora isolato, coperto di dense foreste, di aspre pareti rocciose e di solitarie colline che si estendevano a sudest. Si era basato, per individuare uno scenario sufficientemente gotico, sulla relazione di viaggio Schloss Hainfeld, or a Winter in Lower Styria, scritta nel 1836 dall’inglese Basil Hall: un’immagine romantica e pre-industriale della regione che ben avrebbe potuto rappresentare nelle intenzioni dell’autore di Dublino una sorta di confine fra il mondo civilizzato e urbanizzato e il minaccioso “est” della natura primitiva e selvaggia, dei riti arcaici e delle superstizioni. Più tardi Bram Stoker avrebbe voluto rendere omaggio all’illustre predecessore e concittadino Le Fanu ambientando anche il suo Dracula in Stiria – ne resta traccia nel primo capitolo espunto dal romanzo e pubblicato come racconto a sé stante: “L’ospite di Dracula” – ma i tempi erano cambiati ormai, e nel tardo diciannovesimo secolo i moderni mezzi di trasporto e in particolare la ferrovia – che assume un ruolo cardinale in Dracula – avevano relativizzato le distanze: per gli scopi di Stoker ormai la Stiria non era più abbastanza remota e l’autore la sostituì con la Transilvania, spostandosi agli estremi confini orientali dell’Impero asburgico, in una regione ancora scarsamente toccata dall’industrializzazione, in cui fede e superstizione potevano ancora essere a stento differenziate: la sua attenzione si focalizzò su un personaggio storico del luogo, il Conte Vlad Tepes…

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“Il vampiro – proseguono le intelligenti curatrici dell’esposizione – è una figura in contrasto con l’ordine sociale e morale della famiglia patriarcale tradizionale rappresentata dalla Sacra Famiglia: San Giuseppe, Maria e Gesù Bambino: figure dai ruoli chiaramente assegnati; così come dalla coppia perfetta di Adamo ed Eva, l’uno dominante, l’altra subordinata. Il vampiro proviene da Lilith, la prima compagna di Adamo, che si era rifiutata di sottomettersi alla sua autorità ed era per punizione stata precipitata negli inferni: in una società in cui l’immagine della famiglia tradizionale è progressivamente sostituita da famiglie allargate, irregolari, talvolta monosessuali, o dall’esistenza solitaria dei single, è esattamente il vampiro l’icona mediatica che meglio propaga l’idea di un libero amore in cui ogni forma di romanticismo e di sensualità, anche omoerotica, può essere goduta (le autrici trovano strano e sospetto, in questo contesto, che i vampiri di Twilight sembrino scoraggiare i rapporti sessuali prematrimoniali…). Carmilla e Dracula rappresentano anche due poli opposti nei confronti dell’emancipazione femminile: mentre Le Fanu si distanzia dai ruoli convenzionali, Stoker celebra un’immagine della donna allineata con l’idea classica della moglie fedele e della madre amorevole. Questa può essere ma non deve necessariamente essere la scelta obbligata di una donna: allinearsi all’ideale borghese dell’amore e del matrimonio. Il morso del vampiro, metaforicamente, la sveglia trasferendola dallo stato di oggetto a quello di soggetto: adesso la donna può scegliere cosa davvero vuole essere: se vampiro, amante di un vampiro, e/o ammazzavampiri”.

Niente da aggiungere. Esco dal museo, un po’ incerto sulle gambe. Mi gratto i due, quasi impercettibili, forellini sul collo, appena, appena doloranti e recupero l’automobile: Vienna mi aspetta. Come dice Bruno Ganz/Jonathan Harker nel finale del Nosferatu, Phantom der Nacht di Werner Herzog: “C’è ancora così tanto lavoro da fare !”…