di Lisa De Lluviaelissa1

Elissa Piccinini, Le sirene esistono: Storia di un mito divenuto simbolo, fiaba, realtà, Ottolibri, 2014, pp. 170, 15 euro.

«Nessuno ci ha mai oltrepassato senza ascoltare la voce dolce come il miele, ma anzi se ne va dopo averne goduto e sapendo più cose. Noi conosciamo infatti tutto quanto nella vasta Troia Argivi e Troiani patirono per volere degli dei. Noi conosciamo tutto quanto avviene sulla fertile terra»

(Omero, Odissea, 12, vv. 158-200)

Dall’età classica al Medioevo fino alla contemporaneità, con un apparato finale tripartito – bibliografia, testimonianze e filmografia – Le sirene esistono è un ricco approfondimento su queste figure mitologiche, attraverso i secoli, i significati, le iconografie, con incursioni filologiche a partire dall’etimo del loro nome: «E se fosse la parola ebraica sir la matrice del loro nome? Sir, il canto, l’in-canto evocatore e persino creatore della Parola. La Parola che plasma, stordisce, ipnotizza. Dai miti cosmogonici mesopotamici ai rituali folclorici e magici, fino al cristianesimo».

Elissa Piccinini – docente di Lingua e Letteratura Italiana Latina e Greca, nonché studiosa del percorso evolutivo che le figure del folclore greco e latino hanno subito nel passaggio alla letteratura cristiana – parte da Ulisse e lo fa restituendo alle sirene la loro accezione aedica. Il loro invito infatti promette canti celebrativi – la storia di Troia, ancora – e il miraggio della conoscenza. Ma l’eroe itacense si è messo nella condizione di non cedere: una resistenza forzata, quella dell’uomo legato che vorrebbe ma non può, lo pone nella condizione di inebriarsi totalmente del loro fascino perverso, sdoppiato tra essere e apparire, tra insidia e soavità. Omero non ce le descrive, ma la studiosa fa un salto nel tempo, indovinando forse la curiosità del lettore, quando, prima ancora degli eroi greco-troiani, fu la volta degli Argonauti che si imbatterono nella “bella Antemoessa”, l’isola delle sirene ornitoformi:

«Le vergini alate si mostravano dall’altura dell’isola: forse erano belle, forse i loro visi candidi acconciati con trecce e nastri facevano dimenticare le penne che dal collo in giù ricoprivano il loro corpo e gli artigli, affilati, di predatrici. “Demoni rapitori della morte”, Raffende Todesdamonen, “Muse dell’Ade”, Musen des Janseits le ha definite qualcuno13, cugine delle arpie, “le rapaci, le rapitrici”. Eppure, da quel poggio mostravano un aspetto ingannevole e indicavano il porto pronto per l’approdo della prima nave. Era il loro canto, erano le loro “voci di giglio”, terse come il cristallo, inanellate d’inganni: come poteva quel miele nascondere una coppa di veleno?».

2014-08-24 20.12.27_resized Esseri mutanti, piegate alle trasformazioni  che, nelle epoche, le hanno rese da orride  donne-uccello a incantevoli esseri metà donne  metà pesce: la polimorfia che le caratterizza è  stata tramite per differenti interpretazioni. Se  per la filosofia pitagorica e neoplatonica  governavano l’armonia delle sfere celesti, per i  Padri della Chiesa la questione era più  complicata, perché si trattava di conciliare  Omero e la Bibbia e di inquadrarle come  demoni o animali. La questione restò in  sospeso, ma non si rinunciò a dar loro  un’etichetta, come quando si declinò anche in  chiave sociale e la sirena, forse in virtù della  sua diversità, della sua bestialità e del suo   erotismo, assurse a simbolo di meretrice:

«Le sirene ci raccontano l’antico. La loro presenza e il loro ricorrere polisenso nelle pagine dei dottori cristiani ci dicono di un mondo diviso. Ci parlano di un oriente greco dall’ardente misticismo e dalla sottigliezza di pensiero, preoccupato soprattutto dello spirito, delle sottili questioni dottrinali. E ci parlano di un occidente più attento ai pericoli materiali e carnali. Le sirene dei Padri latini, quelle di Girolamo, Ambrogio, Paolino di Nola, Siconio Apollinare, Massimo di Torino e Isidoro di Siviglia presero così l’aspetto delle tentazioni del mondo. E tornarono a essere prostitute».

L’autrice affronta quest’indagine con un registro saggistico che si tinge però di una cifra peculiare, la sua voce sciolta tra fonti e narrazioni precise, tra mito, allegorie e fiabe: una voce che procede sicura e suadente, appunto, e non dimentica nulla ma, anzi, anticipa eventuali domande di chi fruisce del testo. Come quella ricorrente sull’aspetto delle sirene. Quando spuntò loro la coda, per iscritto, prima ancora che nell’immaginario collettivo? Nell’VIII secolo, pare, grazie a un libro a metà tra bestiario, mito e mirabilia, il Libermonstrorum. Ma il percorso immaginifico prosegue fino ai giorni nostri, contando prestiti contemporanei, dalle sirene intriganti di Peter Pan a quelle grigiastre e poco consolatorie di Harry Potter, fino alle seduzioni cinematografiche.

Ma l’esistenza delle sirene anticipata nel titolo, è provata? Sarebbe banalizzante rispondere alla leggenda con la certezza della scienza. Eppure vi rimando alla pagina fatidica in cui una suggestiva citazione di H.P. Lovecraft a proposito della popolazione Canachi potrebbe insinuare qualche dubbio anche nei più acerrimi negazionisti e concludo con un prestito alla psicoanalisi, attenzione: qui è Jung che parla.

«Chi guarda nell’acqua vede, è vero, la propria immagine, ma ben presto dietro di essa emergono esseri viventi (…) sono esseri acquatici di tipo speciale. Talvolta un’ondina, pesce femminile semiumano, rimane impigliata nella rete del pescatore. Le ondine sono esseri incantatori (…) l’ondina rappresenta un livello ancora più istintivo dell’essere femminile incantatore che io designo con il termine latino Anima. Possono essere anche sirene, melusine, ninfe dei boschi, grazie e figlie del re degli elfi, lamie e succubi che seducono i giovani e succhiano loro la vita».

 

 

 

 

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