di Mauro Baldrati

gramsci300Rileggendo pagine della storia del Partito Comunista emergono tratti importanti di storia italiana, una storia di sogni rivoluzionari, di lotte, di riscatto sociale; concatenazioni di sogni e di passaggi all’atto, mandati in briciole dalla reazione della borghesia e dello stato monarchico-liberale, che è stato a guardare, quando non ha collaborato attivamente, all’irrompere dello squadrismo fascista, nella sua fase iniziale pagato e armato dal padronato agrario, deciso a stroncare una volta per tutte le agitazioni dei braccianti, e poi dagli industriali del nord, terrorizzati dalle occupazioni delle fabbriche del “biennio rosso”.

E quindi si rileggono i testi di Antonio Gramsci. E’ stato, l’intellettuale rivoluzionario sardo, una delle menti più lucide del suo tempo. Forse di tutti i tempi. Negli anni di detenzione ha elaborato, seppure non in forma compiuta dati i problemi soprattutto logistici, quel compendio di analisi, di note sulla politica, la storia e la cultura italiane raccolte col titolo de I quaderni dal Carcere. E’ una lettura importante, anche perché Gramsci, se da un lato appare inattuale, dall’altro è assolutamente moderno. E’ una contraddizione? L’inattualità di Gramsci sta nella determinazione a capire la vicenda storica, come strumento fondamentale per capire l’immanenza del presente. Oggi la storia viene distrutta, dimenticata, falsificata. La storia come ricerca della verità viene negata. Da qui l’inattualità col nostro tempo. Invece la modernità è proprio consequenziale a questa inattualità. E’ la modernità dell’essere rivoluzionario. E’ la modernità della necessità. Partendo dalla critica alla filosofia di Benedetto Croce, Gramsci riflette sul fatto che la Tesi, ovvero il regime al potere, lo stato liberale-borghese, lo stato reazionario populista, lo stato fantoccio che agisce per conto terzi, non può venire “riformato”, importando elementi “buoni”. La Tesi non può che essere distrutta e sostituita dall’Antitesi, che creerà il nuovo sistema socialista a misura d’uomo (e non solo a misura di economia, e qui riconosce l’importanza di Croce). Modernità necessaria è quindi la distruzione dell’attuale casta politica parassitaria e reazionaria, che finge di governare attraverso il populismo e la retorica dei media. Distruzione che prelude alla ricerca di un sistema nuovo, di valori nuovi.

Alcune analisi, anche del giovane Gramsci, sembrano scritte oggi. Riportiamo qui il passo di un articolo pubblicato su L’Avanti il 17 ottobre 1920. Lo squadrismo fascista infuria. Punta dritto al potere. Non è solo storia; è la nostra storia.

“La reazione è sempre esistita in Italia. La reazione è il venir meno dello Stato legale; non da ora lo Stato legale è venuto meno… Nell’attuale periodo, il terrorismo vuol passare dal campo privato al campo pubblico; non si accontenta più dell’impunità concessagli dallo Stato, vuol diventare lo Stato. Ecco che cosa significa oggi la parola avvento della reazione: significa che la reazione è divenuta così forte che non ritiene più utile ai suoi fini la maschera di uno Stato legale; significa che vuole, per i suoi fini, servirsi di tutti i mezzi dello Stato; significa che l’Italia si avvicina a una nuova guerra imperialista, rivolta al saccheggio a mano armata di qualche ricco popolo finitimo… la reazione è la paura folle della morte per esaurimento, mescolata al desiderio sfrenato di buttarsi addosso a un organismo nazionale ancora in qualche efficienza per divorarselo, per cercare di salvarsi con una trasfusione di sangue… la reazione è furiosa anche per ciò: perché deve riconoscere che la classe operaia è la sola forza viva del paese, perché deve riconoscere in se stessa niente altro che gli ultimi spasimi rabbiosi di un organismo esaurito.”

Ovviamente Gramsci si riferisce soprattutto all’esplodere della violenza fascista: le Camere del Lavoro bruciate, le sedi delle cooperative e sindacali distrutte, i militanti malmenati e molto spesso uccisi, mentre le guardie regie e i carabinieri stavano a guardare, oppure intervenivano quando gli aggrediti si difendevano, caricandoli e arrestandoli. Eppure c’è qualcosa di estremamente attuale nelle sue parole: quel venire meno dello Stato legale, quel sostituirsi ad esso, quel “desiderio sfrenato di buttarsi addosso a un organismo nazionale ancora in qualche efficienza per divorarselo, per cercare di salvarsi con una trasfusione di sangue” è l’esatta descrizione di quanto avviene oggi, col capitalismo finanziario transnazionale (o globalizzato) che ha come obiettivo la distruzione del welfare per “divorarselo”, cioè privatizzarlo. Quindi rastrellare risorse dal servizio pubblico, dai lavoratori dipendenti, distruggendone i contratti e le tutele (vedi il cosiddetto Job act dell’attuale governo), per trasferirli ai propri organismi in crisi (banche e finanziarie). E lo Stato legale è venuto meno per l’instaurarsi, attraverso i governi di paglia che da circa un ventennio si stanno avvicendando nel nostro paese, di un sistema a misura di malaffare, dove l’impunità degli operatori politici e para-politici è pressoché garantita: hanno condanne ridicole, oppure i reati entrano subito in prescrizione per le leggi da loro stessi approvate, mentre i soldi rubati non vengono mai recuperati. E il terrorismo di cui parla Gramsci non è solo rappresentato dai manganelli e dai pugnali dei Fasci di Combattimento: è la scorreria della “reazione” divoratrice, e dalla minaccia, agitata dai media asserviti (la televisione in primo luogo) di apocalisse e miseria se non si accettano il rigore, lo Spread, le pagelle delle agenzie di rating, la “crescita” che passa dal sacrificio delle fasce sociali più deboli.

Certo che pensare a Gramsci fondatore de l’Unità, e il cui ritratto è appeso nelle sedi del PD, è imbarazzante.
Ma oggi citare il rivoluzionario Antonio Gramsci a Matteo Renzi sarebbe più o meno come citare il Vangelo al cardinale Bertone: entrambi si farebbero una sonora, torrenziale risata.