di Danilo Arona

YaraLuxHo scritto quattro volte sul caso della sventurata Yara di Brembate.  L’ho fatto da giornalista e da cittadino turbato nel profondo. Vorrei qui  ripubblicare in sequenza (che per Carmilla Online sono peraltro inediti) quei post. Perché qualche conclusione, per quanto teorica, se ne può trarre. Il primo intervento datava 4 dicembre 2010.

 “Nel 1990 in Italia dilagò per un certo periodo la psicosi dell’ambulanza nera. “Lanciata” dalla triste storia di Santina Renda, scomparsa nel nulla nel marzo di quell’anno a Palermo, l’ambulanza fu “vista” e temuta da migliaia di persone, mentre si aggirava su e giù per la penisola. E’ considerata da tutti gli studiosi di “urban legend” come una delle più esemplari leggende moderne, proiezione allucinata delle nostre paure. Inutile che mi soffermi sui tanti risvolti simbolici del colore “nero”.

Della bambina non si è mai trovato il corpo. Forse anche per lei, almeno si è ipotizzato così, si tratta di una vicenda la cui spiegazione va cercata nell’ambito famigliare o, quanto meno, in quello dei “pochi metri da casa”. Si dice sempre che i mostri vengano da fuori, ma sovente – almeno così sembrano insegnarci le cupe storie di Denise Pipitone e Sarah Scazzi – non è affatto così. I mostri, gli Orchi, sonnecchiano nel buio, da qualche parte vicino a noi.

Ma se ci sbagliassimo? Se veramente in Italia – in Europa, nel mondo – fosse all’opera una sorta di “setta” planetaria i cui membri si aggirano su è giù per le nazioni e ghermiscono giovani vittime per scopi tutti da immaginare (purtroppo)? Da alcuni anni il mezzo deputato nelle “voci che corrono”, a proposito delle sparizioni di bambini e giovane preadolescenti, ha mutato il proprio colore di 360°. Non è più nero, ma bianco. Non più un’ambulanza, ma un normale furgone.

Non si tratta solo di leggenda. Se mai la leggenda la si può applicare nell’amplificazione a raggio di dati di fatto in qualche modo incorporati nell’infosfera mediatica. Furgoni bianchi sospetti sono stati avvistati e registrati in tante vicende degli ultimi anni: per la piccola inglese Maddie scomparsa in Portogallo, nell’orripilante caso del mostro di Marcinelle, nel caso spagnolo della piccolissima Mary Lus Cortes sparita nel 2008, in quello svizzero di Ylenia Lenhard, in quello famosissimo austriaco di Natasha Kampush segregata per otto anni e in molti casi documentati di trafficanti rumeni che importano carne viva e umana dall’Est. Uno dei più famosi serial killer americani, Ted Bundy, usò anche un pulmino bianco per rapire le sue vittime e negli USA quella del “White Van” è una delle prime paure “educative” che si trasmettono ai bambini per insegnar loro a diffidare delle laide mani che offrono caramelle.

Nulla è più fuorviante e dannoso della paranoia. Da troppi anni ne scrivo. Che l’Uomo Nero si aggiri oggi per il pianeta a bordo di un automezzo bianco sembrerebbe proprio una sinossi perfetta  atta a quietare le nostre fantasie pulsionali. Ma il sospetto è legittimo. Anche la possibilità di  tenerlo in vita come una forma di speranza. In più di un caso negli ultimi anni alcune “leggende” sono poi divenute reali. Nell’ultimo, misterioso, caso di Brembate, nel bergamasco, riappare di nuovo lui, l’immacolato fantasma che turba le coscienze di mezzo mondo. E la cronaca recente, purtroppo, ha più volte lasciato lasciato al tappeto la più sfrenata delle fantasie. Il numero dei giovanissimi spariti negli ultimi anni è troppo alto per non tener conto della possibilità di una realtà “leggendaria”.”

Il secondo lo scrissi poco dopo alla vigilia delle festività.

“A Natale mi va di scrivere della ragazzina scomparsa di Brembate di Sopra. Perché l’attenzione, la cosiddetta “luce mediatica”, in questo caso non dovrebbe mai venir meno. Non saranno certo le mie elucubrazioni a illuminare decentemente la scena, ma un dibattito va in qualche modo stimolato. Perché gli Orchi – troppo spesso la gente se ne dimentica – esistono e non sono soltanto figure mitiche consegnate al folclore. In giro per il mondo ci sono persone che, a qualsiasi titolo, incarnano il mito. Come Randall Flagg, il Tizio che Cammina in certi romanzi di Stephen King. Lui è il Male allo stato puro e, se lo incontri, sei fottuto. Ci piacerebbe pensare che si tratta sempre di fantasia, ma qualche volta non lo è.

La trasmissione “Chi l’ha visto?  ha compiuto una ricostruzione sulla vicenda di Yara tanto credibile quanto, purtroppo, inquietante. Perché, mettendo assieme tre testimonianze – attendibili per quel che riesce a capire da un televisore -, il percorso del ritorno a casa della bambina ha incrociato quello in senso inverso quello di due individui non esattamente raccomandabili. E qui, in mancanza di dati, l’immaginazione può lasciarsi andare, anche se è lecito trattenersi sul crinale della speranza e dell’ottimismo. E della fede, per chi è cattolico.

Alla ricerca di elementi da incrociare con questa storia mi sono imbattuto in un sito che sostiene l’esistenza di più reti europee dedite al rapimento di bambini su vasta scala in Europa. Il cuore di questa organizzazione sarebbe in Svizzera. I Kidnapping che le si attribuiscono comprendono un raggio d’azione che va dal Portogallo alla Spagna, dalla Francia alla stessa Svizzera. Presumo che ogni forza investigativa sia al corrente di queste storie che, nel sito in questione, vengono corroborate da molte testimonianze. Un dato di fatto è che Brembate non è così distante dalla Svizzera. Un altro è che nei rapimenti attribuiti a questa cosca di orchi compare sempre un pulmino bianco, che di certo è un mezzo quanto mai comune. Peraltro sui molti giornali è apparsa la notizia che, tra le varie piste, gli inquirenti ne stanno seguendo una che viene chiamata “la pista svizzera”

Com’è evidente, sto evocando fantasmi e tentando di riempire dei buchi. Ma qualcosa bisogna fare, bisogna dire. Chiunque, nel suo piccolo, può fare e dire qualcosa. Anche solo indirizzare un picco di energia positiva: la forza della mente è inimmaginabile. Un giorno, se e quando questa storia sarà conclusa (speriamo, nel migliore dei modi), vi racconterò qualcosa sulle modalità attraverso le quali uomini all’apparenza comuni diventano Uomini Neri. E’ il mio campo: da quarant’anni ci scrivo, ci studio, lancio ipotesi. Oggi non lo faccio”.

Ci ritornai il 9 aprile 2011. Il corpo di Yara era stato scoperto a Chignolo d’Isola alla fine di febbraio.

“Ne ho già scritto all’inizio del triste caso di Yara.. Adesso mi pare il caso di riparlarne dopo le ultime testimonianze, mediate dalla trasmissione “Chi l’ha visto?”, provenienti dal Veneto (Montecchio Maggiore) e riguardanti un tentativo di sequestro, andato a buca, di due ragazzine. Sulla scena altrettanti brutti ceffi – un palo e un effettivo rapitore – e il solito pulmino bianco. Il palo si è dileguato e il kidnapper è stato arrestato. Ovviamente non so e forse nessuno sa che ne pensino gli inquirenti, ma il team di “Chi l’ha visto?” presuppone collegamenti sinistri con il caso di Brembate di Sopra: la sospettata coppia di rapitori (nonché assassini), il furgone bianco filmato e visto da più testimoni, le urla di una ragazza provenienti dal pulmino in corsa che un’altra testimone avrebbe senza dubbio udito mentre gettava la spazzatura. Viaggia la teoria dell’analogia puramente casuale perché di pulmini bianchi in giro nell’Italia del nord, per onesti e normali motivi di lavoro, ce ne sono migliaia. Però in rete gira più di un sito – come li leggo io, li leggeranno pure gli inquirenti – dove queste caratteristiche basiche – coppia di uomini e pulmino bianco – si ritrovano pari pari in altri casi europei, quanto mai similari. Quello portoghese della piccola Maddie McCann, quello svizzero dell’altrettanto piccola Ylenia Lenhard, purtroppo conclusosi  in modo simile a quello italiano, quello austriaco di Natasha Campush, risoltosi clamorosamente dopo otto  anni con il ritrovamento della ragazza cresciuta in segregazione e quello orribilmente famoso del Belgio a opera del mostro di Marcinelle. Ora, non sembra strano – un po’ troppo strano – che i mezzi siano così simili così come le tecniche di rapimento? I gestori dei succitati siti sostengono l’esistenza di una rete di pedofili che agisce alla maniera di Al Qaeda, ovvero ogni cellula opera in piena autonomia, in modo anche da “comunicare” su due canali, quello immediato, percettivo, in cui i perturbatori sociali siano interpretabili come “una coppia di balordi” (vi ricorda qualcosa?) e un altro, subliminale, che “semina” quasi in codice l’idea di una rete in grado di colpire ovunque e a macchia di leopardo. Fantascienza? Non lo so, ma su questi siti si sostiene che detta rete avrebbe sede in Svizzera nei pressi della cittadina di Zandvoort. E in Svizzera le statistiche parlano di mille segnalazioni all’anno, ovviamente la maggior parte risolte.

Il corpo della piccola Ylenia, cinque anni e mezzo, venne ritrovato nel settembre 2007 in un bosco del canton San Gallo, a oltre due mesi dalla scomparsa. Il cadavere, in parte divorato dagli animali, fu identificato grazie ad alcuni gioielli riconosciuti dai familiari. La bambina era scomparsa il 31 luglio mentre tornava dalla  piscina che distava solo qualche centinaio di metri dalla sua abitazione nel canton Appenzello. Per tutto il tempo  la vicenda fu seguita con apprensione dalla popolazione e dai media elvetici, fino al tragico epilogo di quel sabato. Il presunto rapitore e assassino, uno svizzero di 67 anni domiciliato in Spagna, si  era ucciso nel bosco di Hartmann lo stesso giorno della sparizione della piccola. Prima di togliersi la vita, l’uomo aveva sparato a un  testimone, un uomo di 46 anni, ferendolo al petto. Le analisi del DNA avevano stabilito che il sequestratore aveva toccato gli oggetti di Ylenia (zainetto, casco da ciclista e monopattino) e che la  bimba era salita nel suo furgone bianco. Il suicida era oggetto d’indagine da tempo perché sospettato di collegamenti con il caso di Maddie.”

Quasi un anno dopo, in preda a un vorticoso giramento di zebedei, mi uscì fuori il seguente post. Data, 11 febbraio 2012.

“Questa è una storia di pura immaginazione senza riferimento alcuno a noti fatti di cronaca che possono assomigliarle. Potremmo definirla come il plot generico di un romanzo da sviluppare.

In un paesone benestante della ricca Brianza sparisce in una sera di novembre una ragazzina di 13 anni. Intuibile location della sparizione, una manciata di metri tra il centro e la villetta della famiglia, un po’ defilata. Magari un tragitto all’apparenza inquietante, con zone d’ombra e angoli poco illuminati, ma è un percorso che la bambina compie molto spesso. E poi, insomma, in quel posto si conoscono un po’ tutti e non è mai successo niente.

E invece succede. Ed è una cosa bruttissima. Scattano le indagini e le ricerche. Verifiche accurate con cani addestrati e mappature del cellulare stabiliscono sin dai primi giorni che una delle chiavi del giallo è un centro commerciale in costruzione a tre chilometri dal paese. Uno di quei non-luoghi di migliaia di metri quadrati che, una volta aperto, ospiterà l’iper-mega-supermercato più negozi più cento altri servizi. Ci puoi andare a camminare, a scaldarti d’inverno e a star fresco d’estate. Meno male che esistono questi non-luoghi postmoderni, dentro i quali persino una pubblicità di qualche anno fa consigliava di trascorrere molto tempo, a prescindere o meno dalla spesa da farsi. E poi non scherziamoci troppo, perché, comunque la si voglia vedere, da un centro commerciale di queste proporzioni scaturiscono posti di lavoro che, dato il periodo gramo, non è  proprio il caso di sputarci sopra.

Allora, sempre delirando da parte mia, occorre diversificare le piste investigative. Ipotesi alternative che comunque allentino la troppa attenzione sul cantiere, con il rischio che il troppo zelo lo faccia chiudere per chissà quanto tempo, compromettendo l’apertura già prevista per la data X. Così passa il tempo, troppo, e un brutto giorno, a qualche ulteriore chilometro di distanza, si ritrova il piccolo cadavere mummificato della ragazzina. Si fanno esami, si cercano DNA e altre tracce, e fra tante incertezze una verità buca persino lo schermo del televisore: su quel corpo piagato dal tempo e persino sugli abiti ci sono tracce di cemento usato in edilizia mentre le ferite qua e là indicano quasi senza dubbio la presenza di un taglierino da muratore o da piastrellista. Come dire, le dette tracce confermano alla grande quanto già anticipato dai cani e dalla mappatura del cellulare della bambina.

Intanto il grande centro commerciale apre. La gente accorre a frotte. Migliaia di persone si riversano in quegli spazi. Non è che proprio tutti si siano dimenticati del fattaccio, ma la vita deve proseguire. Solo i carabinieri fanno udire la loro voce nell’esprimere il rammarico per come certe logiche diventino poi padrone del campo a detrimento delle indagini. E allora quando mai giustizia sarà fatta?

Beh, sono il primo a esserne convinto. Puro delirio.”

Okay, nell’aprile 2014 qualche somma si può tirare. Soprattutto all’indomani di una certezza: che gli esami del DNA hanno stabilito al 99% che chi ha ucciso la ragazzina è un figlio illegittimo di un autista di quelle parti, il paese si chiama Gorno, deceduto da tempo. Quindi trattasi di uno della zona. Allora, se mettiamo assieme alcuni dati inconfutabili (riportati nei vari post di cui sopra), il campo d’indagine potrebbe restringersi di molto. Un pulmino bianco, gli ultimi segni di vita del cellulare di Yara che si spegne vicino al cantiere di Mapello alle 18, 49 del giorno fatale della scomparsa, le tracce sul corpo di cemento per edilizia e di taglierini da piastrellista nonché di fibre sintetiche di tessuto rosso. Insomma, tutto che fa pensare a qualcuno collegato all’erigendo centro commerciale. Qualcuno di “locale”. E’ così impossibile scoprire chi? Non esistono elenchi di chi ha lavorato in quel luogo oggi divenuto un shopping mall di 160.000 m2? No?

Dei miei quattro post quello più razionale mi pare proprio quello classificato come “puro delirio”.