blackmirrorsdi Nico Macce

I Black Mirrors sono un gruppo punk rock di Fabriano, fondato nel 1979 e ri-fondato nel 2009, dopo trent’anni sabbatici di esperienze sociali e di movimento, che costituiscono un autentico patrimonio di cultura underground per il gruppo.
Nei loro brani si sprigiona una visione critica dell’esistente che riprende in modo acuto gli avvenimenti politici e sociali più attuali.

Non stiamo dunque parlando di un rock genericamente trasgressivo, tipico di band omologate che fanno il verso punkettaro in un puro esercizio estetico emulativo, ma di una riflessione conflittuale ragionata, frutto di percorsi spesso interni alle dinamiche del conflitto sociale e portata in musica secondo le più nobili tradizioni del combat rock.
I testi sono elementi di critica sociale che di questi tempi scarseggiano persino nel panorama delle band di rottura: una critica viscerale su tutti fronti del dominio sociale, culturale ed etico, che non fa sconti a nessuno.

Il loro primo album “La vita sul serio” (prodotto da Fabio “Dandy Bestia” Testoni degli Skiantos, CC: BY/NC/SA) è uscito nel 2013 e contiene canzoni in italiano e spagnolo che parlano di precariato, crisi finanziaria, Vaticano, Medio Oriente e altro. Il gruppo è composto da: Andrea Morbi (batteria), François Belocq (basso), Gabriele “Cats” Gatti (chitarra e voce secondaria), Giorgio “Camel” Tinelli (voce principale).

Ma lasciamo che siano i Black Mirrors, in questa autointervista, a parlare di loro stessi.

Innanzi tutto, come nascono i Black Mirrors? Da dove nasce il nome? … il contesto della scuola, la musica che vi ha influenzato, i movimenti…


Potevamo inventarci un sacco di cazzate: “le porte della percezione” o “le anime oscure che si evocano” eccosivvia…in verità il nome è del tutto casuale: avevamo bisogno di tirarne fuori uno, la sorella del cantante ha trovato questo, è piaciuto e l’abbiamo anche lasciato dopo trent’anni. Peccato che sia in inglese. E  comunque la serie televisiva non c’entra un cazzo, ci hanno copiato e li denunceremo per plagio.
Ci siamo conosciuti al liceo, non è molto originale: la storia del rock pullula di esempi simili. Nati in provincia, alla periferia della periferia dell’Impero. Al liceo classico eravamo un po’ “pecore nere”, molto incazzati e molto ironici, anche auto-ironici. A livello musicale, come molti della nostra generazione, ci sentivamo nati troppo tardi per i gloriosi anni ‘60 e ‘70 e quindi facevamo finta che non fossero finiti, che ci fosse un filo di continuità con quella epopea politica e musicale. Succede così… ricostruisci le tappe culturali, politiche e soprattutto di storia della musica, che non hai vissuto in prima persona e ovviamente lo fai in ritardo: succede così ai ragazzini, che nell’ontogenesi devono ricapitolare in fretta la filogenesi.

Tra noi c’era chi aveva fratelli più grandi, per cui Beatles e Rolling Stones…in generale, poi, ci si faceva un sacco di seghe su vinili e cassette dei Genesis, Emerson Lake & Palmer, Yes. Poi arrivò il bassista con quel 45 giri, “God save the Queen”. Il commento fu “cazzo”, punto. Si aprì una voragine. Arrivò tutto quello che una generazione può sperare. Ma proprio tutto, compresa la riscoperta di cose degli anni ’50, disincrostate da quella freschezza. Questa è stata la grande cosa del punk. L’atteggiamento pseudo-punk di molti oggi, non ha niente a che vedere con quell’attitudine punk di allora. Creammo anche una radio, senza pubblicità e con metodologie radiofoniche e di gestione tecnico-amministrative assolutamente sguaiate, ai limiti del caos: Rock Station, si chiamava, una radio sgarbata, irriverente, sboccacciata: quella fu effettivamente una bella scossa per quel piccolo, misurato, noioso ambiente di provincia.

Trent’anni di pausa. Un po’ lunga, non vi pare? Nel frattempo cosa è successo ai componenti della band?


Partimmo per l’università e alcuni si trovarono separati da tanti chilometri, ma senza troppi rimpianti: finalmente ci eravamo liberati della laida provincia. Siamo comunque sempre rimasti in contatto, anche molto stretto, ma smettemmo di suonare e, ovviamente, anche la Radio chiuse i battenti. Ma quando hai strimpellato in una band sei marchiato, non puoi liberartene mai del tutto, un tatuaggio lo puoi cancellare, invece il gruppo prima o poi torna a perseguitarti: la musica è un’esperienza collettiva oppure non è.  Nel nostro caso, la musica o la segui ogni giorno con i tuoi amici, QUEGLI amici, oppure non ti interessa più.
Giusto nell’anno del distacco ci fu la scoperta dei Gang. Tante analogie con noi: l’ispirazione etico-politica, il contesto provinciale (la stessa provincia, Ancona). Loro però avevano qualche anno più di noi e magari più intraprendenza: avevano sentito molto prima l’odore che veniva da Londra. In questi anni alcuni di noi fecero politica, nei movimenti antagonisti, studenteschi e non, e poi anche nell’estrema sinistra “parlamentare”. Poi arrivò il lavoro, vissuto anche con gusto e 
passione. Poi l’amore e – conseguentemente – i figli, che poi – almeno nel caso del nostro chitarrista – avranno un ruolo importante nella ripresa del progetto Black Mirrors.

Nel 2009, la Reunion: dopo trent’anni dalla fondazione del gruppo, 26 dall’ultimo live, decidemmo di tornare a suonare insieme in occasione di una rievocazione di quella stagione. Ritrovammo, in quell’occasione, il problema che abbiamo sempre avuto: chi canta? Un cantante c’era, ma la sua voce era sempre stata addirittura troppo sontuosa per le nostre sonorità sgarbate… scoprimmo così, quasi per caso, che quello che trent’anni fa era stato il “direttore” del nostro “fan club”, aveva ormai una voce perfetta e un piglio perfettissimo per cantare il nostro materiale. Per la serie “l’importante non è saper suonare la chitarra, ma saperla portare al collo”.
 Per il resto, beh, dopo aver subito anni e anni di musica fatta da autori che cantano le loro filastrocche senza senso psico-esistenziali-che soffrono tanto-e hanno il male di vivere-e che palle… ci siamo detti: “il rock è morto? Bene, aiutiamolo ad essere seppellito e che si torni a parlare della vita reale”.

C’è stata un’evoluzione musicale? Che percorso state seguendo, in questa seconda fase?


Dopo la reunion del 2009, la voglia di andare avanti fu subito forte, per alcuni anche ossessiva. Niente di strano: il mondo è pieno di cinquantenni-o-quasi che ripercorrono le tappe della propria gioventù e fanno la rimpatriata con i vecchi amici, le vecchie canzoni , il vecchio sound.
Ma non poteva essere questo aspetto rievocativo a soddisfare l’esigenza impellente che sentivamo. Bisognava tirare fuori qualcosa di nuovo. Non siamo mai stati una cover band e non potevamo essere una cover band di noi-stessi-di-trent’anni-fa.

Il batterista-commissario-politico insisteva su questo punto e a ragione: bisognava tirare fuori materiale nuovo. Intanto, cominciammo a rivederci in sala prove e, in questo periodo, il figlio del nostro chitarrista, a sua volta chitarrista di un gruppo favoloso, i Punk Lobotomy (www.facebook.com/punk.lobotomy), suonava spesso con noi, il che fu motivo di confronto, di stimolo, di motivazione. Dovendo liberarci dallo spettro della rievocazione, cominciammo a riprendere in mano vecchi riff lasciati incompiuti trent’anni prima (senza testi, senza linee melodiche), magari anche cover, ma mai fatte e da fare in modo diverso.

Un punto di svolta è stato l’arrangiamento della vecchia canzone degli Stormy Six, “Stalingrado”, poi venne il resto. Due di noi, aiutati rispettivamente dalla disoccupazione e dalla convalescenza da un cancro, misero un bel gruzzolo di tempo a servizio del progetto collettivo. Lanciammo telematicamente idee (riff/melodia e testi) che poi vennero elaborate collettivamente e verificate quando riuscivamo a vederci in sala prove. Cominciammo a comporre cose veramente nuove e scoprimmo anche la vena letteraria del cantante, non solo in spagnolo ma anche in italiano. Si trattava poi di ri-imparare a suonare, e anche di ri-costruirsi un patrimonio collettivo – fra noi – di ascolti musicali condivisi.
Fondamentale è stata la rete, ma non solo per comunicare tra noi che viviamo in città diverse, ma soprattutto in quanto fonte inesauribile di novità misconosciute e autoprodotte, di tablature, partiture, lezioni online, metodi di studio, ecc.
L’importante, va da sé, è rimanere musicalmente onnivoro: se ci riesci rimani anche interessato alla musica.

Non seguiamo nessun percorso particolare, facciamo ancora quello che ci piace fare, non abbiamo un contratto e comunque non sapremmo fare altro. Siamo un gruppo di rock’n’roll e basta. C’è rock puro e semplice, e c’è il punk, nell’attitudine soprattutto, e l’aspirazione alla contaminazione (lezione dei Clash) ma per quello bisogna essere bravi davvero come musicisti. Comunque ci proviamo e, a volte, ci riusciamo anche.
Intanto il disco lo abbiamo fatto: 7 pezzi nuovi, più due pezzi riarrangiati della “vecchia stagione” che, insieme a una versione remix di un pezzo nuovo, “Anarchy in VK”, abbiamo inserito come bonus tracks.  Dobbiamo molto al nostro amico FabioDandy Bestia” Testoni, storico chitarrista degli Skiantos, che ci ha dato non solo disponibilità come produttore, ma anche gli stimoli giusti per intraprendere la cosa. E poi anche Gianluca Gadda, un vero mago del suono: nel suo studio di Bologna abbiamo registrato, mixato, masterizzato.

Parliamo dei testi dei vostri brani. Certo non potreste suonare in frac a un ricevimento del papa o di Napolitano…

Al nostro batterista i bei vestiti piacciono anche, ma non il frac: è ingestibile sul seggiolino della batteria. Per il papa (solo se con lettera minuscola però) non sapremmo… l’altro chi è? Il neo-liberale che un tempo approvava i tanks sovietici a Budapest? 
Per quanto riguarda i testi: sono di chi li sa fare. Il nostro cantante fa questo, il gruppo poi discute. Niente cantante, niente testi, niente gruppo. La logica è semplice: come detto, le filastrocche non ci interessano. I nostri testi parlano di questioni internazionali, come America Latina o Palestina, di crisi finanziaria internazionale, di No-TAV, degli scandali che riguardano il Vaticano, di disoccupazione e precarietà, ma anche di vicende e personaggi storici un po’ dimenticati dai libri che magari sono considerati marginali ma che per noi non lo sono affatto.
Sui testi, una cosa è importante: crescere significa avere il coraggio di scrivere canzoni rock in italiano. I Gang ci hanno m994945_1431883043705574_774049239_nesso un po’ di anni, noi ce ne abbiamo messi troppi.

Che progetti avete? Che direzione sta prendendo il gruppo?

La seconda domanda la si faceva un tempo a gruppi semidei tipo Pink Floyd. Alla prima in genere rispondeva il manager, noi al momento non l’abbiamo. Ma se ci invitate a suonare, veniamo!
Vogliamo suonare dal vivo tutte le volte che si può, compatibilmente con le distanze chilometriche che ci separano e gli impegni che hanno dei cinquantenni che vivono di altro. Comunque, già qualche settimana prima dell’uscita di questo disco, abbiamo cominciato a ragionare su qualche brano nuovo da mettere nel prossimo disco: ora abbiamo 4 pezzi quasi pronti. Non ci arrendiamo: come gridò Leonel Rugama, poeta e rivoluzionario sandinista nicaraguense rispondendo all’intimazione di arrendersi, “¡Que se rinda tu madre!”. Non è un caso, se gli abbiamo dedicato il nostro primo disco: è una di quelle persone che hanno preso “la vita sul serio” e le cui vicende noi vogliamo continuare a raccontare, nelle nostre canzoni.

I link dei Black Mirrors:

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