di Marilù Oliva

bici blu.jpg“L’Uomo Nero e la bicicletta blu”, è l’ultimo romanzo di Eraldo Baldini, appena uscito per Einaudi Stile Libero BIG. Oltre un preambolo realizzato sulle sensazioni e sui pensieri del presente, la storia si costruisce su un concatenarsi di ricordi sciolti ma ordinati che partono nell’agosto del 1963. Gigi, la voce narrante, ha dieci anni e un chiodo fisso: racimolare i soldi per acquistare l’agognata bicicletta blu, quella con le finiture cromate che Cicognani ha esposto nella vetrina del suo negozio. Contro il progetto concorrono diversi ostacoli, in primis la povertà di una famiglia rappresentativa del mondo rurale della campagna romagnola in quegli anni, pur nella sua peculiarità: un nonno reduce di guerra col fucile sempre pronto a sparare, un padre che vende bestiame, un po’ burbero, fiero della sua onestà, con un debole per Marilyn Monroe, una madre depositaria di saggezza popolare e un fratello minore, Enrico, che appena sveglio sembra scimunito, ma quando si riprende sciorina ad ogni occasione tutta la sua scaltrezza e il suo disinibito senso dell’opportunismo.

Il sapore delle terre rurali degli anni sessanta è regalato dalla scansione dei rituali di campagna, dall’importanza delle consuetudini (nessuno bussa alla porta, ad esempio, e i visitatori entrano direttamente in casa), dall’osservanza dei giorni di festa, dalla galleria di paesani pittoreschi. Come l’oscura figura del Capitano, uomo inavvicinabile e permeato di un alone di mistero: «Sapevo solo che aveva combinato una roba brutta, così brutta che sua moglie l’aveva lasciato, lui aveva dovuto pagare un sacco di soldi e poi isolarsi per sempre, perché il paese non gli perdonava ciò che aveva combinato e neppure il fatto di esistere». O la Rospa o la Tugnina, anziana racconta-fiabe a finale funesto, il millantatore Roberto Amadori e altri ancora. Perfino gli animali tinteggiano la realtà locale, come dimostra Bagarì, cagnetto grasso senza età e con un appetito inesauribile, che vaga di casa in casa a raccattare offerte di cibo.
Allegra, nuovo allieva in classe e nuova amica di Gigi, s’innesta nella storia come personaggio foriero di esotismo. Rappresenta un altrove — giunge dalla città e da un ceto economico molto differente rispetto a quello del ragazzino — che è anche punto di contatto col mondo del protagonista. La sua compagnia è totalizzante e inebriante per lui, un tempo denso e di zucchero, «come riempirsi la bocca di cioccolato».
Poi il male irrompe, poco conta che sia un Uomo Nero o una presenza qualunque. Travolge e sfascia la tranquilla civiltà contadina, insegna la paura, dimostra quanto questa sia tangibile, vicina, costringe a fare i conti con l’impotenza.
Come osservato in quarta di copertina, «Baldini ci fa vedere il mondo con il gusto della burla e dell’invenzione, con lo stupore di un bambino fantasioso e disperato, costretto a inventarsi ogni giorno il suo posto nel mondo. Ci fa ridere di cuore. Ma ci fa anche rabbrividire, per come racconta la banalità del male. Per la malinconia che ci consegna, per ciò che abbiamo perduto».
Lo scrittore riporta una situazione corale attraverso le percezioni individuali di un preadolescente e lo fa con uno stile studiato e ritmico, libero da orpelli, ottenendo l’alchimia più difficile: raccontare le emozioni di un ragazzo con la maestria di uno scrittore accorto:
«Il babbo mi raccontò che negli ultimi mesi alcuni commercianti con cui faceva affari avevano dichiarato fallimento e non avevano onorato debiti importanti con lui, che quindi si ritrovava in difficoltà. […]
– Ma perché non hai dichiarato fallimento anche tu? – gli chiesi arrabbiato. Se bastava fare quello per non pagare i debiti, non capivo perché a un espediente tanto semplice non potesse ricorrere pure la mia famiglia. Eravamo i più fessi, noi?
Sia lui che il nonno misero un’espressione grave e fiera e dissero che i Melandri non fallivano, che eravamo sempre andati a testa alta e dovevamo continuare a farlo.
Non sapevo se fosse meglio andare a testa alta senza una lira o a capo chino con un bel conto in banca, ma il nonno parlò di onore, di onestà […]».
Eraldo Baldini, nato a Russi (RA), è romanziere, sceneggiatore, autore teatrale e organizzatore di eventi culturali. Per Einaudi Stile libero ha pubblicato Medical Thriller (2002), con Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi (riedito nella collana «Super ET», 2006), Bambini, ragni e altri predatori (2003), Nebbia e cenere (2004), Come il lupo (2006 e 2008), con Alessandro Fabbri, Quell’estate di sangue e di luna (2008) e L’uomo Nero e la bicicletta blu (2011). Con Giuseppe Bellosi ha scritto Halloween (2006). I suoi libri sono tradotti in varie lingue.
Il suo sito Internet è www.eraldobaldini.it

La voce del bambino racconta il suo vissuto, il microcosmo familiare e la comunità intera con la freschezza dei dieci anni. Come ti sei posto nei confronti dello stile? È scaturito spontaneamente o hai seguito un metodo preciso?
Spesso i protagonisti dei miei romanzi e racconti sono bambini. Forse mi è facile risintonizzarmi sulle suggestioni della mia infanzia, forse non sono mai veramente cresciuto, non so… fatto sta che la cosa mi viene abbastanza istintiva, compreso lo stile. In ogni caso è ovvio che occorre prestare una costante attenzione, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi, alla necessità di essere verosimili.

Gli anni ’60 e oggi: cosa si è perso, cosa ti manca?
Be’, intanto mi manca la leggerezza che in quel tempo provavo essendo ragazzino. Poi, in linea più generale, mi mancano (non solo a me, credo, perché si sono in larga parte perduti) l’entusiasmo e l’ottimismo con cui in quel periodo si guardava al futuro. Erano anni di grandi e veloci cambiamenti, che venivano di solito interpretati come positivi: si pensava che le scoperte scientifiche, le entusiasmanti esplorazioni spaziali, il boom economico, il miglioramento della qualità della vita, la modernizzazione galoppante avrebbero portato verso una sorta di età dell’oro in cui la fatica del vivere e tante altre ambasce sarebbero state superate.

Il male cala con la sua ombra di ineluttabilità e di non-senso sulla storia, e tanto meno lo si conosce quanto più è agghiacciante. Come ti poni, come scrittore, di fronte al conflitto e al male?
Come scrittore non ho mai spesso di indagare la «metà oscura», di descrivere l’agghiacciante banalità del male, di interessarmi allo sconquasso che la sua manifestazione può portare soprattutto nelle piccole comunità, dove tutti si conoscono, dove esistono reti sociali a maglie strette e dove, in conseguenza di ciò, un accadimento traumatico può scardinare ogni certezza, far affiorare sospetti e dubbi, far crollare i sistemi di valori e di relazioni.

A proposito del non-senso di cui sopra, in quali occasioni ne hai recentemente sentito la prepotenza?
A dire la verità, mi capita di sentirla molto di frequente. Mi basta ascoltare un telegiornale…

Cosa pensi dell’ambiente culturale italiano? Ci sono dibattiti stimolanti? Partecipi o li eviti?
Sono un po’ orso per natura, vivo appartato in un paesino di campagna, sto alla larga dai «salotti» e da certi dibattiti che trovo a volte un po’ pretenziosi e accademici. Mi ritengo semplicemente un «raccontatore di storie», e su questo non mi piace teorizzare oltre il dovuto.

Il raccontare è un atto che comporta consapevolezza?
Ogni relazione con gli altri comporta consapevolezza, anche il raccontare, che deve essere improntato ad onestà intellettuale e a passione. Ciò non significa che la narrativa debba necessariamente ostentare un «insegnamento», un messaggio etico. Diffido di coloro che vogliono essere «maestri» a ogni costo, buoni o cattivi che siano.

Pensi che lo scrittore abbia dei doveri verso il lettore?
Certo: deve raccontare la più bella storia possibile con le parole più adatte, con l’impegno più profondo, con sensibilità, con onestà e con rispetto.

Che idea ti sei fatto del lettore italiano medio?
L’Italia è un Paese in cui si legge poco e altrettanto poco si frequentano le librerie, e in cui i mass media prestano scarsa attenzione alla letteratura. Il lettore debole, in conseguenza di ciò, a volte è troppo influenzato dal richiamo delle classifiche, dei grandi premi, della notorietà televisiva, e ha poca propensione a scoprire nuovi approcci e nuovi autori. Ma sopra questa fascia esistono categorie di lettori molto più smaliziati, appassionati, curiosi ed esperti. Credo che le donne siano le lettrici più forti e attente.

Se ti chiedessero una o più soluzioni per risollevare culturalmente le sorti del tuo paese, cosa proporresti?
Di avere finalmente un politica culturale seria, in un Paese che potrebbe quasi vivere di sola cultura. Purtroppo siamo molto lontani da ciò. Soprattutto con l’attuale Governo siamo arrivati a una situazione disastrosa, che ci allontana quotidianamente dagli standard di ogni altra parte dell’Occidente. Tutto questo è davvero triste, e fa venire rabbia e sconforto.