di Enzo Melandri

BolkCopertina.jpg[La recente edizione italiana del saggio di Luis (Lodewijk) Bolk Il problema dell’ominazione, per i tipi di Derive e Approdi, a cura di Rossella Bonito Oliva, è senz’altro una iniziativa coraggiosa e meritoria, in quanto mette a disposizione del lettore italiano l’esposizione di una delle più rivoluzionarie scoperte dell’antropologia, le cui implicazioni per tutte le altre discipline umanistiche sono della massima rilevanza.
E’ anche una buona occasione per ripubblicare un articolo sull’argomento del filosofo Enzo Melandri, uscito originariamente sulla rivista “Che fare” di Milano nel numero 3 del 1968
.] (R.S.)

E’ tuttora raro veder citato il nome di Lodewijk Bolk (1866-1930) a proposito dell’antropogenesi. In Italia le concezioni dotate di un certo respiro speculativo sono tenute prudentemente al di fuori di ogni scambio culturale: dagli scienziati, perchè non rientrano nel loro àmbito specialistico e quindi non sarebbe «serio» occuparsene; dai filosofi e in generale dagli umanisti, perchè o non ne sanno nulla o non sanno, data la loro formazione, come farne un argomento di interesse generale; e non parliamo poi del pubblico delle «persone colte», le quali hanno appreso le scienze naturali dai libri della scuola media.


E’ tuttora raro veder citato il nome di Lodewijk Bolk (1866-1930) a proposito dell’antropogenesi. In Italia le concezioni dotate di un certo respiro speculativo sono tenute prudentemente al di fuori di ogni scambio culturale: dagli scienziati, perchè non rientrano nel loro àmbito specialistico e quindi non sarebbe «serio» occuparsene; dai filosofi e in generale dagli umanisti, perchè o non ne sanno nulla o non sanno, data la loro formazione, come farne un argomento di interesse generale; e non parliamo poi del pubblico delle «persone colte», le quali hanno appreso le scienze naturali dai libri della scuola media. Sono testi il cui filo conduttore si svela già dal titolo: «Le meraviglie del creato», o qualcosa di simile. Un breve paragrafo illustra alla fine 1’«ipotesi» dell’evoluzione, con intento chiaramente distruttivo. – Le tesi di Bolk interessano tutti: scienziati, filosofi e uomini comuni. Sta allo scienziato verificarle; ma allora «provando e riprovando», alla maniera genuinamente galileiana, senza lasciar dietro di sè il sospetto di avere usato l’obiettività scientifica per ribadire un potere burocratico. Sta al filosofo, al critico, all’uomo di cultura mostrarne le affinità e i contrasti con altre tesi antropologiche; ma senza confondere ideologia e scienza, e accettando fino in fondo il rischio del confronto con un dato di fatto da accertare indipendentemente dalle proprie predilezioni. Sta infine all’uomo della strada porsi la domanda definitiva: in che modo queste conoscenze e questi schiarimenti possono servire a una presa di coscienza più adeguata della condizione umana, in vista della prassi (più che della teoria)?

Il libro di Bolk – Das Problem der Menschwerdung (il problema dell’antropogenesi), Jena 1926 – è introvabile. In traduzione francese, un estratto delle tesi principali è stato pubblicato col titolo «La génèse de l’homme» in Arguments, IV, 1960, n. 18, pp. 3-13. Traiamo di qui le citazioni e le parafrasi illustrative fuori testo).
1) Evoluzione ed evoluzionismo – L’evoluzione è un dato di fatto. Quel che può esser messo in questione non è l’evoluzione, ma l’«evoluzionismo». L’evoluzionismo non è un fatto, ma una teoria esplicativa della dinamica evolutiva. Il suo primo problema è quello della morfogenesi. Non stupisce che la teoria sia più filosofica che scientifica; nè che le soluzioni tentate siano divergenti: da Lamarck a Darwin ai neo-darwiniani & c. La revisione critica è avvenuta nel senso di uno spostamento dal funzionalismo (che è massimo in Lamarck, Butler, G. B. Show) allo strutturalismo (quale si ritrova in Mendel, nei genetisti e nei neo-darwiniani).
Bolk ha dato un contributo originale alla revisione strutturalistica della teoria dell’evoluzione. Egli tien fermo al principio biologico fondamentale enunciato da Naegeli: «la struttura e la funzione dell’organismo sono conseguenze di forze interne all’organismo stesso e perciò sono indipendenti da tutte le circostanze esterne fortuite». Il punto di partenza è lo studio morfologico. Le forme dei viventi, in particolare l’anatomia umana, non si spiegano con l’adattamento alle circostanze esteriori, i requisiti della lotta per la vita o il risultato della selezione naturale o sessuale. Senza dubbio questi fattori sono presenti; ma essi agiscono in maniera «significativa» e si riconoscono per la funzionalità dei loro effetti. Proprio per questo, però, sono incapaci di spiegare i tratti non funzionali e perfino disfunzionali dell’anatomia e fisiologia dei viventi. Il funzionalismo non spiega la morfogenesi; dice solo, al massimo, perchè siano scomparse certe forme. L’evoluzione non è un risultato, ma un principio. Il principio dell’evoluzione consiste nella dialettica di destrutturazione e ristrutturazione. Esso è insieme strutturale e funzionale. Ma bisogna partire dalla struttura per intenderne la funzione immanente.
2) La fetalizzazione – Bolk capovolge la «legge biogenetica fondamentale». Haeckel diceva: l’ontogenesi ricapitola la filogenesi. Nello sviluppo dell’uomo, sia come specie, sia come individuo, si doveva scorgere il riassunto di tutta l’evoluzione. Nello sviluppo embrionale, l’uomo ripercorre rapidamente tutti gli stadi tipici dell’intera storia evolutiva, dal protozoo al primate. E’ un fatto. Ma Bolk vi aggiunge qualcosa che ne capovolge il senso. L’antropogenesi non si limita a ricapitolare la filogenesi; ne rappresenta altresì il riflusso. L’uomo è il punto nel quale l’evoluzione ritorna indietro: da ««propulsiva» che era, si fa «regressiva». In parte l’evoluzione è sempre stata regressiva, come dimostra il fenomeno della «neotenia» presso certi batraci: essi raggiungono la maturità sessuale allo stadio larvale, dando così origine a una evoluzione regressiva. Ma è solo nell’uomo che il fenomeno assume la portata di un riflusso complessivo. E’ la famosa tesi della «fetalizzazione»: dal punto di vista corporeo, l’uomo è un feto di scimmia pervenuto a maturità sessuale. (Su questo spunto, Aldous Huxley ha scritto il romanzo satirico After many a summer).
Nell’anatomia dell’uomo adulto si osservano delle «strutture somatiche primarie»: sono quei caratteri che l’uomo ha in comune coi primati allo stato fetale. Per es., l’ortognatia, l’assenza di peli, la carenza di pigmento nella pelle, nei capelli e negli occhi, la forma del padiglione auricolare, la piega mongolica, il valore elevato del rapporto testa-corpo, la persistenza della fontanella dopo la nascita, &c. La legge biogenetica di Haeckel non permette di spiegare tali anomalie; si tratta di posizioni e relazioni strutturali che nei primati (e anche prima) sono presenti solo allo stadio fetale, mentre nell’uomo sono divenute permanenti.
La comprensione di questo fatto richiede una completa inversione di prospettiva. Bolk riassume ciò nella confutazione delle spiegazioni relative alla stazione eretta: non è che l’uomo abbia raddrizzato il corpo per poter scendere dagli alberi (o altra condizione determinante esterna); ma è che l’umanizzazione del corpo gli ha reso indispensabile tale positura. In generale: uno stadio transitorio nella scimmia è divenuto uno stato definitivo nell’uomo. Lo sviluppo dei primati corrisponde a uno stadio finale che manca nell’uomo. Due fattori hanno determinato la forma umana: (i) l’adattamento funzionale all’ambiente, naturale e sociale, il quale ha agito in senso destrutturante e regressivo; (ii) la conservazione dei caratteri primari o non-destrutturabili, i quali da transitori si sono fatti definitivi costituendosi direttamente in assetto ristrutturante. Così, nel corso della storia evolutiva, la forma adulta ha acquisito un aspetto fetale sempre più pronunciato. Anatomicamente parlando, l’ominizzazione è un fenomeno di fetalizzazione, di neotenia regressiva.
3) Il ritardo evolutivo – Nessun mammifero si sviluppa tanto lentamente quanto l’uomo. L’uomo ha due età in più, rispetto agli animali: l’adolescenza e la vecchiaia. Nessun animale sopravvive alla perdita della potenza generativa; e nessun animale è costretto a inserire una vacanza fra la maturità sessuale e il momento della riproduzione. L’infanzia dell’uomo è insolitamente lunga. Il primo anno dalla nascita è un prolungamento dello stato fetale in senso stretto; il periodo della latenza sessuale equivale a una seconda infanzia. E la lunghezza della maturità è forse il carattere più perspicuo in cui si manifesta il «conservativismo» » proprio della condizione umana. Non più soltanto anatomicamente, ma in quanto organismo, l’essenza dell’uomo va colta nella «lentezza del corso della sua vita».
Il principio del ritardo evolutivo si estende a tutta la vita dell’uomo, non solo al momento della nascita. L’antropogenesi è il risultato di una fetalizzazione non solo morfologica, ma anche dinamica. La neotenia dinamica si esprime in senso cinematico come ritardo, come differimento di maturazione. E qui diventa chiaro che i fattori esteriori, funzionali dell’evoluzione non hanno la capacità di «elaborare» le tematiche del ritardo, ma solo quella di «modellarle»: nel senso negativo di una potatura delle formazioni disfunzionali. , La ricerca delle cause del ritardo sposta la ricerca di Bolk dall’anatomia alla fisiologia. In realtà non la sposta: è di qui che essa prende l’abbrivio. La causa principe è l’azione del sistema endocrino. In questo sistema si condensa il segreto stesso della vita. Nel contesto delle teorie evoluzionistiche (e, quindi, tutto sommato, funzionalistiche) la fisiologia veniva considerata in termini di «reazione» dell’organismo agli stimoli dell’ambiente. Per Bolk la fisiologia deve disporre di un principio proprio, direttamente bio-dinamico. Essa è la teoria dell’«azione», non della reazione dell’organismo. La tesi endocrinologica del ritardo è la parte più solida, ma anche più scientifica e quindi meno volgarizzabile del lavoro di Bolk. E’ un fatto che gli ormoni prodotti dal sistema endocrino accelerano o decelerano la crescita. Nella fisiologia umana gli ormoni deceleratori (o inibitori) della crescita giocano un ruolo preponderante. Gli effetti dell’inibizione, quando sono massimi, si manifestano nella scomparsa di certi caratteri somatici. I caratteri primari dell’uomo rispetto ai primati (assenza di peli, carenza di pigmento, &c.) sono negativi. Il sistema endocrino dell’uomo secerne in prevalenza ormoni inibitori. L’ontogenesi è un fenomeno essenzialmente fisiologico. Esso consiste nell’inibire la differenziazione strutturale delle parti rispetto al tutto per favorire una migliore integrazione funzionale dell’organismo rispetto all’ambiente. In questo senso destrutturazione e ristrutturazione diventano termini dialetticamente correlativi.
4) La fine dell’uomo – La «velocità dello sviluppo» vien sempre più diminuita, col crescere dei tempi dell’evoluzione. Questa tendenza raggiunge nell’uomo il punto di flesso. «L’accesso allo stadio adulto è stato sempre più differito; la crescita, rallentata; la durata della vita, prolungata». Non si deve vedere in questo rallentamento il primo passo dell’umanità «verso la sua futura scomparsa»? L’umanità attuale non è eterna. «Solo la vita è eterna e immutabile; le forme che crea sono però destinate a perire». A questo punto Bolk cita la profezia di Nietzsche: tu perirai per le tue virtù. E conclude: «Il progresso di questa inibizione del processo vitale non può superare un certo limite senza che la vitalità, senza che la forza di resistenza alle influenze nefaste dell’esterno, in breve, senza che l’esistenza dell’uomo non ne sia compromessa. Più l’umanità avanza sul cammino dell’umanizzazione, più essa s’avvicina a quel punto fatale in cui progresso significherà distruzione. E non è certo nella natura dell’uomo arrestarsi di fronte a ciò».

(CONTINUA)