a cura di Wu Ming 1

tirannicida.jpgVorremmo iniziare il 2005 con alcune riflessioni su un dilemma etico/giuridico che ci accompagna fin dall’antichità, col quale si sono cimentati filosofi e artisti, laici e religiosi, massoni e gesuiti, santi e peccatori, rivoluzionari e lacchè del potere. Da Luciano di Samosata a Cicerone, da S. Tommaso d’Aquino a Lorenzino de’ Medici, dalla rivoluzione inglese a quella francese, da Mazzini ai regicidi anarchici, da Tolstoi alle rivoluzioni del XX° secolo per arrivare ai giorni nostri, non si è mai smesso di ragionare sul tirannicidio, questa extrema ratio del “diritto di resistenza”.
Il tirannicidio è giustificato oppure no? E’ solo da comprendere o anche da condividere? E’ sempre da condannare o dipende dai casi? Serve a qualcosa o è inutile o addirittura controproducente?
E poi: chi è un tiranno, cosa lo definisce? Il tiranno di Tizio è l’eroe di Caio. Più polarizzata sarà l’opinione pubblica, più difficile sarà definire il tiranno. E’ sufficiente essere eletto dal popolo sovrano per non essere un tiranno? E’ sufficiente non essere eletto per diventarlo? Nel periodo 2000-2004, il sistema dei media annoverava fra i leader democratici George W. Bush (che governava senza la maggioranza del voto popolare e gravato del sospetto di brogli), mentre includeva fra i caudillos e i dittatori Hugo Chavez (che governava e tuttora governa forte della maggioranza del voto popolare, e senza brogli).

Questo è da sempre l’aspetto più controverso. La dottrina cattolica, ad esempio, distingue tra il tiranno “per usurpazione” (tyrannus in titula, cioè che ha preso il potere illegalmente) e il tiranno “per oppressione” (tyrannus in regimine, cioè che abusa del potere che ha ricevuto legalmente). A riflettere su questi temi furono principalmente Giovanni di Salisbury (1115-1180), S. Tommaso d’Aquino (1224-1274) e il gesuita Juan Mariana (1536-1624), autore dello scandaloso trattato De rege et regis institutione, in cui sosteneva la necessità di uccidere i tiranni.
E ancora: in una società complessa, di capitalismo avanzato, può esistere la figura del tiranno oppure il Potere è spersonalizzato e ogni membro della classe dirigente subito rimpiazzabile? Anche questo problema è stato molto dibattuto. Spesso si è intrecciato e confuso irrimediabilmente con quello della lotta armata, la clandestinità, il terrorismo etc. Noi preferiremmo tenere i due piani distinti, come già fece l’Alfieri: benché a volte possa esistere una congiura, il tirannicidio è il più delle volte iniziativa individuale e occasionale. [Rientrano in una categoria “mista” attentati come quelli subiti da Carrero Blanco nel 1974 (riuscito), da Anastasio Somoza Jr. nel 1980 (riuscito), da Augusto Pinochet nel 1985 (fallito) etc.]
Inoltre, il tirannicida va o vorrebbe andare a colpo sicuro, ammazza o cerca di ammazzare il tiranno o al minimo un suo strettissimo collaboratore, se ne fotte di altri obiettivi (consiglieri comunali, poliziotti di pattuglia, giornalisti etc.).
Di recente, questo dibattito è stato riportato in auge in modo strumentale a proposito della “guerra preventiva” contro l’Iraq. Vi è chi ha cercato di giustificare l’aggressione e l’invasione con la necessità di eliminare Saddam Hussein, e ha utilizzato la parola “tirannicidio”. E’ ovvio che la guerra tuttora in corso non può assolutamente essere definita in quel modo: oltre alle caratteristiche già elencate, il tirannicidio dev’essere compiuto “dal basso”, da un suddito o comunque da una vittima del tiranno, da qualcuno che ha subito il suo potere. Se il tiranno è eliminato da una potenza straniera, non è più tirannicidio, è politica internazionale, è guerra. Bombardare le città, raderle al suolo, compiere massacri di civili, fino a provocare – secondo calcoli della rivista scientifica Lancetcentomila vittime, tutto questo non ha nulla a che vedere con ciò di cui stiamo parlando.
Di solito si afferma che il “terrorista di oggi è lo statista di domani” (ai fini del nostro discorso, non importa se costui sia davvero un terrorista o venga solo tacciato di esserlo).
Per l’Impero britannico, George Washington era un terrorista.
Per l’Impero austro-ungarico, erano terroristi i carbonari e la Giovine Italia.
Per gli occupanti tedeschi, erano terroristi i partigiani.
Negli anni Trenta e Quaranta del XX° secolo Yitzhak Shamir, uno dei padri della patria israeliana, fece parte di diversi gruppi paramilitari e terroristici, responsabili di attentati anti-arabi e anti-britannici, tra cui (nel novembre 1944) l’omicidio del rappresentante inglese in Egitto, Lord Moyne.
Per buona parte della sua vita, Nelson Mandela è stato definito “terrorista”, anche da un leader di governo europeo come Margaret Thatcher.
Allo stesso modo, si può dire che il regicida/tirannicida sulle prime è considerato un “folle” e un “criminale”, per poi essere ricordato come martire, eroe e precursore dei tempi.
A partire dal VI secolo a.C., ad Atene diverse statue di bronzo celebrarono il tirannicidio compiuto da Armodio e Aristogitone, assassini del tiranno Ipparco.
Gaetano Bresci, autore dell’attentato a re Umberto I°, è celebrato come eroe e vendicatore dei proletari, lo commemora una statua a Carrara e periodicamente la tomba e le statue equestri della sua vittima vengono abbellite con cartelli beffardi e scritte “W Bresci”.
A dispetto della “memoria divisa” (per dirla con lo storico Sergio Luzzatto) e delle differenze di giudizio – anche a sinistra – su quanto successo quel giorno, il tirannicidio di Piazzale Loreto è ancora evocato come episodio-chiave e da parte di alcuni ne viene addirittura auspicato un catartico, rigenerativo “remake” (si vedano le recenti polemiche suscitate da una frase di Enzo Jannacci: “Mi ricordo ancora piazzale Loreto e una donna che sparava alla testa di Mussolini appeso per i piedi. Spero di vederlo, anzi sono sicuro che lo vedrò ancora”).
Fin qui la nostra introduzione, il cui fine non era chiarire dubbi o sciogliere riserve, bensì restringere il campo della riflessione.
E ora, la parola agli antenati.

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johnofsalisbury.jpgE’ non soltanto permesso, ma anche equo e giusto uccidere i tiranni, poiché chi si appropria della spada merita di perire di spada.
Ma “s’appropria” va inteso come pertinente a chi ha sconsideratamente usurpato ciò che non è suo, non a chi riceve ciò che usa dal potere di Dio. Chi riceve il potere da Dio serve le leggi ed è schiavo della giustizia e del diritto. Chi usurpa il potere sopprime la giustizia e pone le leggi sotto la propria volontà. Dunque, la giustizia si armerà legittimamente contro chi disarma la legge, e il potere pubblico tratterà con durezza quanti cercano di aggirarlo. E, benché vi siano molte forme di alto tradimento, nessuna di esse è altrettanto grave di quella esercitata contro lo stesso corpo della giustizia. Pertanto, se questo accade, la tirannia non è solamente crimine pubblico: è più che pubblico. Poiché se è vero che tutti possono agire nel caso di alto tradimento, lo è tanto più quando vengono oppresse leggi cui dovrebbero stare sottomessi gli stessi imperatori. Di sicuro, nessuno vendicherà un nemico del pubblico, e chiunque non agisca contro di lui tradisce se stesso e tutto il corpo di leggi della repubblica terrena […] In quanto immagine della deità, il principe va amato, venerato e rispettato. Il tiranno, in quanto immagine di malvagità, il più delle volte va addirittura ucciso.

Giovanni di Salisbury, Policraticus, 1159

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Inoltre, consideriamo che un tiranno che si pone al di sopra d’ogni legge e difende la propria ingiustizia con una forza cui nessun magistrato è in grado di opporsi, si pone al di sopra di ogni punizione e al di sopra di ogni giustizia che non sia quella somministrata da qualche mano generosa. E certo l’umanità intera sarebbe ben poco al sicuro, se non vi fosse giustizia capace di raggiungere le grandi cattiverie, e se i tiranni fossero immunitate scelerum tuti, protetti dalla grandezza dei loro crimini. Le nostre leggi, allora, non sarebbero che ragnatele: buone per prendere le mosche, ma inutili a trattenere vespe e calabroni; e si potrebbe allora dire di ogni consorzio civile quel che si diceva di Atene: che vi s’impiccassero solo i ladruncoli, mentre i ladroni erano a piede libero e condannavano gli altri. Ma chi vuole mettersi al riparo da ogni mano, sappia che non può mettersi al riparo da tutte. Chi sfugge alla giustizia nei tribunali deve attendersi di trovarla nelle strade, e chi va armato contro tutti gli uomini arma tutti gli uomini contro di sé. Bellum est in eos qui judiciis coerceri non possunt (dice Cicerone), ovvero: facciamo guerra a coloro contro cui nulla può la legge.

Edward Sexby, Killing Noe Murder: Briefly Discourst in Three Saentences, 1657

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alfieri.jpgPer unica prova di quanto asserisco, addurrò la sola riflessione, che di quante tirannidi sono state distrutte, o di quanti tiranni sono stati spenti, per destare quel primo impeto universale necessarissimo a ciò, non vi fu mai altra più incalzante ragione che le ingiurie fatte dal tiranno nell’onore principalmente, quindi nel sangue, poi nell’avere. Questo insegnamento non è dunque mio; ma egli sta nella natura degli uomini tutti. Ma pure, a chi dovesse, e volesse, vendicare una simile ingiuria, consiglierei pur sempre di farsi solo all’impresa, e di omettere interamente ogni pensiero alla propria salvezza, e come non alto, e come vano, e come sempre dannoso ad ogni magnanima importante vendetta. E chi non si sente capace di questa totale omissione di se stesso, non si reputi stoltamente capace, né degno, di eseguire una sì alta vendetta; e si persuada, che meritava egli veramente l’oltraggio che ha ricevuto; e pazientemente quindi sel goda. Ma, se l’offeso si trova del pari dotato di alto animo e d’illuminato intelletto; se da quella sua privata vendetta ne ardisce egli concepire e sperare la universale permanente libertà; tanto più allora si muova egli (ma sempre pur solo) al compiere la prima e la più importante impresa; ometta egli parimente ogni pensiero della propria salvezza; tutte quelle risentite parole, che, con grave ed inutil pericolo per sé e per l’impresa, egli avrebbe mosso agli amici per indurgli a congiurare con lui, tutte le cangi in un solo importantissimo, tacito, e ben assestato colpo: e lasci poi all’effetto che ne dee necessariamente ridondare, l’incarico di estendere e di corroborar la congiura; e al solo destino ogni cura della propria salvezza abbandoni. Ma cogli esempli più estesamente mi spiego.
Il popolo di Roma si sollevò contro ai tiranni, congiurò felicemente contr’essi, e la tirannide al tutto distrusse, allorché finalmente si mosse, dopo tante altre battiture, colpito dal compassionevole atroce spettacolo di Lucrezia contaminata dal tiranno, e di propria mano svenata. Ma, se Lucrezia non avesse in se stessa generosamente compiuta la prima vendetta, egli è da credersi che Collatino, o Bruto, inutilmente forse, e con grave dubbio e pericolo, avrebbero congiurato contro ai tiranni: perché il popolo, e il più degli uomini, non son mai commossi, né per metà pure, dalle più convincenti ragioni, quanto lo sono da una giusta e compiuta vendetta; massimamente, allorché ad essa si aggiunge un qualche spettacolo terribile e sanguinoso, che ai loro occhi apprestatosi, i loro cuori fortemente riscuota. Se dunque Lucrezia non si fosse uccisa da sé, Collatino, come il più fieramente oltraggiato, avrebbe dovuto perdere risolutamente se stesso uccidendo l’adultero tiranno; e se egli in tale impresa periva, doveva lasciar poi a Bruto l’incarico di muovere, per via di quella sua giusta uccisione, il popolo a libertà e a furore. Ma, se non fosse stato così pubblico ed importante quest’ultimo tirannico oltraggio; e se, per essere questo aggiunto a molti altri, non fosse stata oramai matura la liberazione del popolo di Roma; i parenti e gli amici di Collatino avrebbero forse congiurato, ma contra i soli Tarquinj: in vece che Collatino, senza punto congiurare con altri, avrebbe egli solo certamente potuto uccidere il tiranno, e quindi forse anche salvare se stesso; e, congiunto poscia con Bruto, avrebbe liberato anco Roma.
È dunque da notarsi in codesto accidente, che l’uomo oltraggiato gravemente nella tirannide, non dee mai da prima congiurare con altri che con se stesso; perché almeno assicura egli così la propria privata vendetta; e, con quel terribile spettacolo che egli appresta ai suoi cittadini, lascia in qualche aspetto di probabilità, e assai più matura, la pubblica, a chi la volesse e sapesse eseguirla. All’opposto, col congiurare in molti per fare la prima privata vendetta, elle si perdono spessissimo entrambe. Quell’uomo dunque, che capace si reputa di ordire e spingere una alta e giovevol congiura, il cui fine debba essere la vera politica libertà, non la imprenda giammai, se non se dopo moltissimi universali oltraggi fatti dal tiranno, e immediatamente dopo una qualche privata atroce vendetta contr’essi, felicemente eseguita da uno dei gravemente oltraggiati. E così, chi si sente davvero capace di solennemente vendicare un proprio privato importantissimo oltraggio, senza cercarsi compagni, altamente e pienamente lo vendichi; e lasci poscia ordir la congiura da chi vien dopo: che s’ella riesce a buon fine, l’onore ne sarà pur sempre in gran parte anche suo; bench’egli rimanesse spento già prima: e se la pubblica consecutiva congiura poi non riesce, tanto maggiore ne risulterà a lui privato la gloria, e la maraviglia degli uomini, che vedranno la sua privata congiura aver da lui solo ottenuto un pienissimo effetto.

Vittorio Alfieri, Della tirannide, 1777

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robespierre.jpgQuando una nazione è stata costretta a ricorrere al diritto di insurrezione, rientra nello stato di natura riguardo al tiranno. Come potrebbe questi invocare il contratto sociale? Egli stesso l’ha annientato. La nazione se giudica opportuno può ancora conservarlo per quanto concerne i rapporti dei cittadini tra di loro; ma l’effetto della tirannia e dell’insurrezione è di romperlo interamente in rapporto al tiranno, di stabilire un reciproco stato di guerra; i tribunali e le procedure sono fatti per i membri della comunità. E’ una contraddizione grossolana supporre che la Costituzione possa presiedere a questo nuovo stato di cose; sarebbe come presupporre che essa possa sopravvivere a se stessa. Quali sono le leggi che la sostituiscono allora? Quelle della natura, quella che è alla base della stessa società: la salvezza del popolo. Il diritto di punire il tiranno e quello di deporlo dal trono sono la stessa cosa. L’uno non comporta altre forme dell’altro; il processo al tiranno è l’insurrezione; il suo giudizio è la caduta della sua potenza; la sua pena quella che richiede la libertà del popolo.
I popoli non giudicano come le corti di giustizia; non emettono sentenze: lanciano la loro folgore; non condannano i re: li ricacciano nel nulla.

Maximilien Robespierre, “Sulle decisioni da assumersi nei confronti di Luigi Capeto”, 3 dicembre 1792
In: M. Robespierre, Scritti rivoluzionari, M&B Publishing, Milano 1995

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connolly.jpgSulle pagine dei giornali, dalle tribune e con l’ausilio di altri mezzi, le classi dominanti cercano di imprimere nella mente del pubblico l’idea della “divinità” che circonderebbe le loro persone e posizioni. Per le vie di Milano cento donne della classe operaia vengono uccise con la baionetta o a colpi d’arma da fuoco, stringendo al seno i loro bimbi affamati, e la buona società riserva loro un trafiletto di giornale. Un’imperatrice è pugnalata in una strada di Ginevra e, apriti cielo!, l’Umanità Ne E’ Sconvolta. Sarà forse l’impietosa mano della storia a rovesciare la procedura, dedicando a quell’olocausto di lavoratrici un intero capitolo in quanto martiri dell’umanità, e confinando quest’assassinio d’imperatrice in una nota a pie’ di pagina. Man mano che progrediamo verso un vero riconoscimento della dignità del genere umano, noi perdiamo il rispetto che ci è stato inculcato, il rispetto per la scintillante gloria di una corona. […] Le passioni criminali esplose a Ginevra sabato scorso solo possono crescere e fiorire nell’ombra oscura gettata dalla società capitalista e dai suoi padroni, finanziari o ereditari. In Europa, è il presente ordine sociale e politico ad allevare simili criminali. Essi sono i suoi figli, lasciamolo ad affrontarli.
Noi, che detestiamo tanto il crimine quanto l’ordine sociale che lo crea, lavoriamo incessantemente perché un giorno le genti illuminate aboliscano il secondo e rendano impossibile il primo.

James Connolly, “Regicide and Revolution”, 17 settembre 1898

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In verità, quanto accaduto al re del Portogallo è solo un “incidente sul lavoro” legato al mestiere di re […] Da parte nostra, ci limitiamo ad aggiungere che una sola cosa ci dispiace: che il movimento repubblicano in portogallo non abbia regolato i conti con tutti gli avventurieri in modo sufficientemente aperto e deciso. Ci dispiace che in quanto accaduto al re di Portogallo sia ancora ben visibile l’elemento del terrore cospirativo, cioè dell’impotenza, di un terrore che non riesce a realizzare il proprio fine e non giunge a quel terrore autentico, popolare, veramente rigenerativo per il quale divenne famosa la Grande Rivoluzione Francese. Può darsi che il movimento repubblicano in Portogallo salirà a nuove vette. La solidarietà del proletariato socialista sarà sempre per i repubblicani contro la monarchia. Ma finora, in Portogallo, essi, assassinando due monarchi, sono riusciti soltanto a spaventare la monarchia, non a distruggerla.

V.I. Lenin, “Ciò che è accaduto al Re di Portogallo”, Proletary n. 22, 19 febbraio 1908

Il discorso continua…